Sergio Fant: «Vi racconto il mio Trento Film Festival»

TRENTO. Fino all’8 maggio Trento è la città del Film festival della montagna, giunto quest’anno all’edizione numero 64. 108 proiezioni, 23 opere in concorso. Ma non solo: convegni, incontri, mostre fotografiche e letterarie. Il Trento film festival ha l’obiettivo ambizioso di essere una rassegna che tratta – come si legge sul volantino ufficiale – di “montagna, società, cinema e letteratura”. [QUI il programma completo]

Abbiamo incontrato Sergio Fant, da cinque anni una delle anime del Festival, con il ruolo di responsabile del programma cinematografico. Abbiamo parlato naturalmente dell’edizione di quest’anno del suo festival, ma anche del percorso che gli ha permesso di trasformare in lavoro la sua passione per il cinema.


Un’idea visionaria

«Il festival – spiega Fant – è ormai alla sua sessantaquattresima edizione. Io curo la programmazione cinematografica da cinque anni, quindi, rispetto all’età del Festival, sono relativamente un novellino. Però il fatto che il Festival abbia una storia così lunga è particolare. A Trento lo si dà ormai per scontato, perché ci sono famiglie intere che sono cresciute partecipandovi. Però non è lo stesso ad esempio per gli studenti universitari che vengono da fuori regione: è una cosa nuova, da scoprire».

«Quando io viaggio, e all’estero racconto di un Film festival specifico sul tema della montagna, e che già ha 64 anni, la gente non ci crede – continua Fant –. Ai tempi della prima edizione, i Festival di cinema a mala pena esistevano, ancora più innovativo era pensare una rassegna su un solo argomento specifico. Era un’idea quasi visionaria».


Un programma ampio e diversificato

«Il Festival ha quindi una storia importante, ma anche un’energia innovativa che mi piace tenere in vita. Il programma è molto ampio: ci sono 108 film. Abbiamo quattro sale cinematografiche a disposizione. Negli ultimi anni c’è stata anche una crescita di pubblico, secondo me dovuta anche dal fatto che il programma è molto diversificato».

«Un tempo il Festival puntava al 90% sul tema dell’alpinismo e dell’avventura. Negli ultimi anni, pur tenendo viva questa tradizione, abbiamo aggiunto degli sguardi sulla montagna che sono anche di altro tipo, da altri punti di vista. Quindi questioni sociali, storie personali, fiction, film di genere, horror, cinema sperimentale, … Certo, c’è la montagna come tema obbligatorio, però poi la programmazione è molto trasversale, con l’idea d’incontrare pubblici molto diversi».


Scoprendo le montagne del Cile

«Al Cile – aggiunge Fant – è dedicata una sezione chiamata “Destinazione“, definita volutamente con un termine molto vago, perché ogni anno la decliniamo in maniera diversa. Negli anni scorsi ad esempio siamo andati alla scoperta della Filandia, della Russia, della Turchia, del Messico e dell’India. Sono sempre paesi in cui la natura, la montagna, o la wildness in generale è caratteristica dell’identità del paesaggio. Poi ovviamente scelgo questi paesi anche sulla base dell’interesse per il cinema che proviene da lì».

«Quest’anno l’idea era appunto di andare per la prima volta in Sud America, dove non eravamo mai stati. E in questo caso, in merito alla montagna, è istintivo pensare alle Ande, e al Cile in particolare. Con territori diversi, fra i deserti del nord, la Patagonia e la Terra del fuoco, che richiama anche al fascino dell’esplorazione e della scoperta».

«In più, dal punto di vista della storia recente, ha vissuto il dramma della dittatura, della repressione: ha un passato molto forte da raccontare. Però è anche un Paese che molto rapidamente si è spinto verso la tecnologia, con investimenti per le energie alternative, ed una società molto dinamica».


 In cerca dell’innovazione continua

Il Festival dura poco più di una settimana, ma in realtà il lavoro dietro alle quinte è molto più lungo. «Lo sanno in pochi – conferma Fant – ma c’è un’ampia attività di ricerca che praticamente dura tutto l’anno. È così che scegliamo i film. Certo, come la maggior parte dei festival anche noi abbiamo un bando, approntiamo una selezione fra i film che ci vengono proposti. Ma oltre a questo, c’è anche una parte di ricerca attiva. Ed è così che riusciamo a garantire ogni anno un profilo innovativo al Festival».

Un esempio? «Abbiamo varato una nuova sezione, chiamata “Sesto grado”, anche se per quest’anno coincide con una sola proiezione – spiega Fant –. È legata alla sperimentazione visiva tra cinema ed arte contemporanea, al lavoro di artisti che utilizzano il paesaggio della montagna come elemento della loro ricerca».


Una passione che diventa lavoro

In coda all’intervista, come detto, approfittiamo della disponibilità di Fant – e del fatto che siamo un giornale degli universitari – per chiedergli qualcosa in più del suo lavoro, ed in particolare come è riuscito a renderlo realtà.

«Il mio lavoro al Film festival, ma anche in altri contesti – spiega Fant – è quello che in gergo viene definito come “programmatore”, sono insomma colui che cura i contenuti. Poi ovviamente mi occupo anche di altri aspetti più organizzativi, però il mio profilo è essenzialmente quello di “selezionatore del programma”».

«Come sono arrivato a farlo? Nel mio percorso di studi mi sono occupato di cinema, al Dams di Bologna, in una fase in cui il clima culturale della città era molto fertile. Anche e soprattutto per quanto riguarda il cinema. Attraverso l’Università, ho avuto modo di partecipare a delle collaborazioni avviate dalla Cineteca di Bologna e di cominciare a lavorare all’archivio dei film».

«A Bologna avevamo anche qualcosa di molto simile a l’Universitario. Era una rivista di cinema, si chiamava Voci Off. È stata una grande palestra per tutti noi che ci lavoravamo. Poi abbiamo preso strade diverse, ma tutte legate al cinema: chi nell’Università, chi come giornalista, chi come responsabile marketing… io mi occupo di Festival».


Giovani, costruitevi la vostra strada

Un consiglio per un giovane che vorrebbe intraprendere questa strada? «Intanto avvicinarsi a ciò che già esiste. Quindi, banalmente, a Trento anche al Film festival. Ogni anno facciamo una “call” per i volontari, molti sono proprio universitari. Coinvolgiamo diverse decine di persone».

«Ovviamente s’inizia da un livello molto basso, ma poi – anno dopo anno – riusciamo ad individuare quelle persone che hanno dimostrato passione e disponibilità, insieme a qualche valore aggiunto. Due di queste persone, per esempio, quest’anno le abbiamo coinvolte nello staff vero e proprio, come prima esperienza più professionalizzante».

«Bisogna cominciare ad avvicinarsi, fare esperienza. Capire insomma se una strada è quella che davvero interessa, così poi da investirci energie e tempo».


erler

Daniele Erler

Daniele Erler

Giornalista praticante all'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino (www.ilducato.it), collaboratore quotidiano Trentino dal 2012, stage in redazione a la Stampa, direttore de L'Universitario dal 2016, laureato in Storia all'Università di Trento // Twitter: @daniele_erler

More Posts

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. Maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi