L’OPINIONE. Il diritto allo studio non è una mensa nuova. Non solo.

Il diritto allo studio non è una mensa nuova. Non è solo una mensa nuova.

In questi giorni lo scontro si gioca su quel campo, con Confcommercio che si oppone alla realizzazione della nuova struttura e gli studenti che invece difendono la necessità di ampliare gli spazi adibiti alla ristorazione, visto l’aumento di studenti che scelgono il nostro Ateneo. Ambedue posizioni corrette, a mio modo di vedere, sebbene non nello stesso modo: da una parte, gli esercenti temono un crollo nei propri guadagni, complice la lenta delocalizzazione delle attività universitarie e degli universitari che si attuerà a partire dall’apertura della nuova biblioteca che andrà a rafforzare il magnetismo economico delle Albere, forti già del Muse, che attira gran parte dei turisti che salgono a Trento. E per i commercianti questo è un problema reale, che il comune sembra sottovalutare, ma che, in ogni caso, non può essere risolto a nostro scapito.

Dall’altra, gli studenti sono preoccupati per il sovraffollamento sempre maggiore delle nostre mense, preoccupazione che si unisce a quella della carenza (ad oggi, in assenza della nuova biblioteca) di luoghi di studio adatti i quali si limitano a qualche sporadica stanzetta a Giurisprudenza e a Lettere, ad un paio di aule ad Economia e Sociologia e, naturalmente, al CLA, che comunque si limita a contenere circa 300 posti. Un po’ di numeri sparsi: a fronte, secondo i dati dell’Anagrafe Nazionale Studenti del MIUR di 17620 immatricolati tra il 2009 ed il 2014 (sono i dati più recenti calcolati sui cinque anni di durata dei corsi di studio), che diventano 31352 se si considerano gli immatricolati dal 2003 al 2014, poco più della metà frequentano le facoltà del Centro, con ripercussioni su queste strutture. Si tratta di circa 2000 immatricolati all’anno: 10mila ragazzi e ragazze che devono poter essere messi in condizione di usufruire, oltre che del servizio di ristorazione, delle aule studio, predisposte per l’accoglienza (e qui vado ad occhio, visto che non sono riuscito a trovare da nessuna parte quanti posti contino effettivamente queste sale) di circa 1500-2000 studenti. Si potrebbe fare meglio. Se poi contiamo che a Giurisprudenza e Lettere la più gran parte di questi posti non sono in aule chiuse, silenziose, che siano in grado di garantire quella quiete necessaria allo studio, ma sono tavoli buttati in un corridoio, la situazione è anche peggiore.

Certo, gli studenti in questo potrebbero essere più collaborativi: invece che parlare a voce alta, far casino entrando ed uscendo dalle aule per le lezioni, potrebbero e potremmo rispettare la concentrazione e la necessità di silenzio dei nostri compagni. Così facendo risolveremmo (forse) metà del problema. Tuttavia rimane il fatto che l’Università non sembra essere in grado, ad oggi, di soddisfare il suo stesso slancio verso la grandezza: da un lato, attrae sempre un maggior numero di studenti, dall’altro non innova i propri servizi, non li adatta alle nostre necessità. Questo discorso però sembra andare in naftalina con l’apertura della nuova biblioteca delle Albere, sponsorizzata come panacea di tutti i mali che noi studenti lamentiamo da anni. Vero ma non verissimo: le aule studio del centro rimarranno il fulcro dell’attività degli studenti: non (solo) per una qualche forma di pigrizia, quanto piuttosto perché, per sei mesi l’anno siamo impegnati in lezioni con orari talvolta difficili da conciliare con lo studio. Se poi a questo aggiungiamo una biblioteca decentralizzata, il quadro si complica, rendendo la sua frequentazione un po’ più difficile di come possa sembrare. Oppure non è così: basta aspettare e vedere.

Ma il pettine porta alla luce altri nodi: ad esempio, l’incomprensibile ritrosia da parte del sistema Esse3 (ma “sospetto” non sia un problema della macchina, quanto piuttosto della mentalità che le sta dietro) di mostrare agli studenti le date degli appelli con un più ampio anticipo, magari sottoponendole alla possibilità di essere modificate in corso d’opera (cosa che sovente accade anche adesso), consentendoci di programmare l’intero semestre in funzione degli esami e non di stravolgere tutto nell’ultimo mese. E questo mi pare che sia un elemento fondamentale del diritto allo studio o almeno un gesto di cortesia e rispetto verso di noi, che siamo il cuore pulsante dell’Ateneo. Nonostante tutto.

Oppure l’innegabile verità per cui il libretto cartaceo comporta, spesso, una forma di stigmatizzazione dello studente oppure di inspiegabile rispetto reverenziale, a prescindere dalla materia oggetto d’esame, verso la valutazione che un altro collega ha svolto per il candidato, portando a spiacevoli scambi in cui i professori o gli assistenti vivisezionano quel foglio di carta maledetto sotto gli occhi del malcapitato.

Tornando alle mense, altro elemento di irrazionalità o, meglio, di irragionevolezza del nostro sistema, è dato dall’inafferrabile senso del divieto di consumare cibi portati da casa dentro alle strutture di ristorazione: o meglio, il senso è chiaro, ma manca comunque di giustizia. Infatti se uno studente, come è suo diritto (peraltro riconosciuto recentemente, sebbene in un ambito diverso da quello universitario, dalla Corte di Appello di Torino in un ricorso di alcuni genitori contro l’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte), decide di portarsi da casa il pranzo non ha un luogo dove poterlo consumare che non sia lo stesso in cui studia: non esattamente un modello di civiltà, visto che ci tratta come vacche all’ingrasso, che mangiano, producono e vivono ferme in stretti cubicoli in attesa del macello. Vero è che il divieto è semplicemente ignorato, con una forma di (quasi) tacito accordo con il personale addetto alla ristorazione: ma il punto è un altro. Perché impedire agli studenti di compiere quella scelta è, quantomeno, un’indebita ingerenza dell’Opera, gestore del servizio, nella libera scelta dello studente. A nulla vale, secondo me in modo piuttosto evidente, opporre a questa considerazione il fatto che l’Opera pone in essere un’attività commerciale: il servizio mensa fa parte del diritto allo studio di ciascun studente e dunque egli può decidere come e se intende usufruirne, ivi compresa la possibilità di trovare un posto in cui non sia circondato dalle stesse quattro mura in cui studia tutto il giorno e possa rilassarsi e socializzare con i propri compagni mangiando da una scatoletta di plastica. Punto di vista semplice quanto contestabile, me ne rendo conto, ma non credo privo di una logica di fondo.

Ma si potrebbe andare avanti parlando di quanto poco chiaro sia il meccanismo dell’ICEF, e della distribuzione delle fasce di reddito che porta a strani accostamenti in fasce elevate e che da anni è oggetto di “riflessioni” o “progetti di riforma”, ad oggi inconcludenti; oppure della difficoltà di comprendere la progressione dei chiamati alle Collaborazioni 150 ore, meccanismo avvolto nel mistero dato che non esiste alcuna documentazione che attesti chi sia stato chiamato per cosa e che lascia il ‘sospetto” che così chiaro, corretto e cristallino quel meccanismo non sia.

Quelle che ho espresso (forse) sono più opinioni personali che fatti: tuttavia, la sensazione è che l’Università degli Studi di Trento non sia esente dalle critiche che si possono svolgere alla maggior parte degli Atenei italiani quanto al rispetto del diritto allo studio. Siamo ai vertici delle classifiche nazionali, forniamo i servizi migliori, le maggiori possibilità di internazionalizzazione e, nel complesso, siamo un’eccellenza. Ma questa eccellenza è da rapportare alla realtà in cui si inserisce. E così perde un po’ di sbrilluccichio.

Non tutto è da buttare a mare: l’Ateneo dovrebbe decidere, molto più che il Comune, quale sia la linea che vuole seguire. Vuole crescere ed evolversi continuando a prestare poca attenzione alle idee, alle necessità ed alle richieste dei suoi iscritti (o quantomeno a quelle che vadano a smuovere lo status quo attuale), o vuole diventare davvero un’eccellenza tra gli istituti universitari italiani, diventando capace di coinvolgere più attivamente e più complessivamente gli studenti? Il continuo rimpallare nelle sedi istituzionali delle perplessità sollevate dai rappresentanti, di oggi e di ieri, unito ad interventi importanti ma (in apparenza: spero di essere smentito!) non risolutivi e ad una generale presunzione di superiorità da parte dell’amministrazione universitaria nei confronti di noi studenti sembra non lasciare troppo spazio a dubbi su quale cammino sia stato intrapreso.

Ma si può sempre cambiare rotta e migliorare.

Emanuele Pastorino

Vivo a Trento, orgogliosamente come immigrato, da un po' di tempo. Membro dell'associazione Ali Aperte.

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