Al centro Astalli per riflettere sulle migrazioni

TRENTO. Sabato 8 ottobre alla “Casetta Bianca” situata alle Laste si è tenuto il Laboratorio Migrante, fortemente sostenuto e ospitato dal Centro Astalli la cui meritevole storia va, almeno in parte, riportata.

Centro Astalli è la sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati-JRS che da oltre trent’anni è impegnato in numerose attività e servizi. La Fondazione, nata nel 2000, ha come obiettivo principale quello di contribuire a promuovere la cultura dell’accoglienza e della solidarietà, a partire dalla tutela dei diritti umani. Nello specifico, il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati è un’organizzazione cattolica internazionale attiva in più di 40 nazioni la cui missione è accompagnare, servire e difendere i diritti dei rifugiati e degli sfollati, rispettandone dignità e diritti.

gentemigAll’evento hanno partecipato diverse associazioni tra cui:Il Clan 11 degli Scout, Libera e non ultima Divieto di Sosta (un gruppo non associato di volontari che compiono servizi di cittadinanza attiva, la cui fondazione ha una storia recentissima).

Il tema centrale del dibattito, arricchito da diverse testimonianze di persone richiedenti asilo politico, ha interessato la mancanza di apertura mentale riguardo il tema migranti. Il principio eurocentrico secondo cui, anche in materia “immigrazione”, l’Europa si pone come paladino del progresso dell’Occidente, è oramai insostenibile.

Secondo le stime di UNHCR (la principale organizzazione al mondo impegnata a proteggere i diritti di milioni di rifugiati, di sfollati e di apolidi, che opera in 127 paesi del mondo e si occupa di circa 60 milioni di persone) sono ben 65,4 i milioni di persone tra migranti, sfollati e richiedenti asilo che nel 2015 hanno vissuto le tribolazioni più diverse. Nelle successive analisi condotte, risulta che l’86 % di essi emigra in paesi extra-europei e molto poveri , tra cui i maggiormente coinvolti sono Turchia, Pakistan, Afghanistan, Somalia e Sudan. È dunque per questo necessario parlare del ruolo dell’Europa, della sua spesso grave impreparazione logistica e della mancanza di empatia verso queste persone.

globaltrendsUn tetto sulla testa è una dimora, non una casa; il grigiore di una città al mattino non è il baluginio dei vetri che balzano agli occhi ancora assonnati; l’abbraccio di un salvagente, non è quello della propria madre. Dietro al fenomeno migratorio sussistono conflitti economici e politici di non trascurabile portata. Solo negli ultimi 5 anni si sono riaccesi 15 conflitti che, apparentemente in fase di latenza, sono esplosi nuovamente e con maggior violenza provocando morte e dissesto per milioni di individui. È stato dunque naturale sviscerare, all’interno del dibattito, i principali fenomeni di “causa-effetto” alla base della crisi migratoria.

È ovvio che l’insieme di conflitti politici e militari hanno pesanti risvolti sull’humus sociale internazionale: la fuga di un singolo non pregiudica solo il migrante ma anche i meccanismi esistenti tra scambi economici di ingente portata. Come è stato testimoniato, la “tassa” da pagare al fine di superare il “Corridoio della morte” si aggira attorno ai 4000-5000 euro. Moltiplicazioni a parte, è facile intuire l’ammontare della somma di denaro che gravita attorno a questi veri e propri “traffici”.

Armi, milizie, schiavitù (ricerche sostengono che vi sia un fenomeno di schiavismo più evoluto oggi che in passato) vengono finanziati anche da questi scambi che influenzano, inevitabilmente, in misura molto forte le condizioni socio-economiche di realtà molto povere e disagiate.

Ci si è dunque chiesti quali fossero le strategie migliori da attuare in un campo tanto complesso quanto importante. Le proposte sono tante e tra queste vale la pena citarne una riguardante la modifica del Trattato di Dublino che regolamenta le condizioni politiche dei migranti e le richieste di asilo e apolidi.

Quando è accertato che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un Paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale».(Art. 13 Trattato di Dublino). Il problema alla base di questo Trattato e che riassume, seppur sinteticamente, le problematiche logistiche lesive del sistema Europeo: “viene contestato l’obbligo del Paese di primo approdo di gestire tutti gli accessi e accogliere chi arriva, sia l’Italia, la Grecia o l’Ungheria, alfieri europei più esposti agli sbarchi e desiderosi di maggiore solidarietà. In seconda battuta, lo stesso precetto impedisce di diritto la possibilità di arrivare a un meccanismo di emergenza che conduca alla redistribuzione obbligatoria di parte dei rifugiati nei momenti di maggiore crisi, ipotesi suggerita da Francia e Germania” (Marco Zatterin, La Stampa).

Possiamo infine considerare l’ultima delle problematiche prese in esame all’interno di questo lungo dibattito: è sufficiente quanto viene raccontato nelle scuole o dai mass media? Ebbene, attraverso i mezzi di informazione, la coscienza e conoscenza dei cittadini può essere contaminata da falsità, mistificazione dei fatti reali o semplicemente omissione degli stessi.

mignuAllo stesso tempo, la possibile e libera fruizione di internet rende il mondo dell’informazione un vero e proprio “melting pot”. Grazie all’intervento di volontari e di personalità come Alidad, rifugiato politico laureando in Filosofia politica che da anni collabora con associazioni di sensibilizzazione (ha tenuto oltre 500 conferenze in Italia), è stata analizzata la problematica dell’informazione nelle scuole e nelle realtà sociali.

Alidad ha confermato che spesso vengono omesse letture di quotidiani e di testi inerenti l’attualità interazionale nelle scuole, il che rende pressoché impossibile per un ragazzo entrare in contatto con la realtà europea e comprenderne le diverse implicazioni. Proprio per questo è stato fondamentale, e tutt’ora risulta tale, l’apporto logistico e informativo che associazioni come Divieto di Sosta, Centro Astalli e Libera (come molte altre) danno e daranno.

Non dobbiamo e non possiamo però dimenticare quale sia il contributo, non solo simbolico, che ognuno di noi può dare in qualsiasi momento. Volontariato, partecipazione, o semplicemente un caffè con uomini e donne che hanno perso tutto e vogliono solo tenersi stretti i propri ricordi più cari. Davanti alla sofferenza, al dolore, alla scomparsa di quei valori che noi ritenevamo e forse non riteniamo più così scontati, dobbiamo anteporre il valore della dignità, del rispetto e della fratellanza, in un Europa che deve diventare migliore.


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