Alex Schwazer, una melodia incompiuta in cerca di giustizia

Alex Schwazer è alla sua prima uscita pubblica dopo l’esclusione dalle Olimpiadi di Rio, momento che ha segnato la fine della sua carriera, dopo essere tornato da una prima squalifica per doping ed essere pronto a riconfermarsi ad altissimi livelli, quelli che lo avevano portato all’oro olimpico di Pechino 2008. Alla conferenza organizzata dal Presidio Universitario di Libera e dal Cus Trento è presente anche l’allenatore che lo aveva aiutato nella sua rinascita, quel Sandro Donati, prima elogiato da tutti come icona antidoping e poi scaricato.

E quando inizia a parlare, Sandro Donati non può che dire le cose come stanno, caratteristica che lo ha portato a farsi nemici ed ad essere escluso dalle cariche sportive di questo paese. “Ho prima scoperto lati mostruosi delle istituzioni e poi sperimentato il silenzio dei grandi media sulle vicenda, dopo che avevano scritto di tutto su Alex”.

Donati era stato la stessa persona che aveva “causato” la prima squalifica del marciatore altoatesino. Alla vigilia delle Olimpiadi di Londra il medico si accorge che Alex ha deciso di passare l’ultimo mese di preparazione in Germania, senza allenatore nazionale e assicurazione, un comportamento davvero strano. Da questi dubbi di Donati partono quindi gli esposti e i controlli che porteranno alla squalifica di Schwazer. Ma Donati dice una cosa importante su questo punto: “Quello che io ho segnalato era perfettamente a conoscenza di tutte le istituzioni sportive italiane”, tutti cioè potevano fare partire controlli che però nessuno stava facendo, tanto che Donati si lascia andare un chiaramente provocatorio “pensavo che combattere il doping fosse impegno di molti”.

Poi la rinascita. Alex si rivolge al professor Donati, fatto curioso, senza sapere che era stato proprio Donati a far partire le indagini che avevano portato alla sua squalifica. E una delle prime domande che Alex fa al professore è: “Io sono pronto a mettermi in gioco, lei?”, come per dire, sono io il dopato, lei è dalla parte del giusto, è disposto a mettere in gioco la sua credibilità per me? Una volta accertato che Schwazer era ormai pulito, aveva detto la verità sulla vicenda ed era stato poi eccessivamente vittima di una lapidazione collettiva per lo scivolone del doping, accetta di aiutarlo a tornare.

Quello che si trova davanti lo stupisce immediatamente: “Alex è un atleta fenomenale, dopo un po’ di allenamenti ho capito la grande differenza che c’era tra lui e tutti gli altri. Bisognava esser stati davvero bravi per farlo andare così piano. Gli allenamenti poi erano tutti documentati, lo portavo nei laboratori a fare continui test”. Insomma Alex stava tornando, e lo stava facendo con la massima trasparenza possibile.

“Era diventato velocissimo, gli veniva da ridere. Era come una tastiera di pianoforte in cui erano stati toccati tre tasti, quando invece si poteva fare una melodia. Lui prima faceva allenamenti non adeguati al suo talento e in una situazione depressiva grave. Quando però l’ho preso con me non ha mai assunto più niente. Alex era nella stratosfera, non aveva bisogno di niente per vincere”. Donati racconta la rinascita di Alex in modo emozionato ma sincero, che coinvolge totalmente il pubblico: “Mi rendevo conto che stavo gestendo un campione straripante. Gli feci fare un test in pista e fece la migliore prestazione del mondo. Per capirci meglio: in un test successivo in mezzo al traffico fece 17 secondi meglio del campione del mondo di quell’anno”.

Poi arriva all’indagine della procura di Bolzano che sta provando a fare chiarezza sulla vicenda: “Combatteremo questa battaglia fino alla fine. Alex ha sbagliato prima ed ha ammesso i suoi errori, io ora mi fido di lui, non ha una doppia personalità come alcuni hanno scritto. Combatteremo fino alla fine perché il controllo che Alex ha subito ha dei risvolti inquietanti. In un’intercettazione si sente perfino un signore dire: <questo crucco ha da morire ammazzato>. Un’altra cosa assurda è che “alla ditta che farà il controllo viene comunicato il nome dell’atleta 15 giorni prima, cosa che non si fa mai per prudenza, per non compromettere l’esito del controllo. La catena di custodia è stata poi stranissima. Il laboratorio il primo gennaio è chiuso (caso unico nella storia fare un controllo il primo gennaio) e quindi i campioni sono stati un giorno senza andare direttamente nel laboratorio. Il laboratorio di Colonia poi, più famoso al mondo, da subito esito negativo. La federazione invece, il committente del controllo, ne ordina un altro.” Insomma, tante cose non tornano.

Poi prende la parola Alex, con il volto serio e in apparenza scosso, anche se poi dimostra grande lucidità nel raccontare la sua versione della vicenda: “vi potrei dire tantissime cose ma vorrei dire qualcosa che sia utile a voi. Mi sono state rivolte spesso queste domande, perché ti sei dopato? Qual è la ragione più profonda per cui un giovane non dovrebbe doparsi? Io mi sento di dire che la cosa fondamentale è come viene seguito l’atleta. L’anno dopo la vittoria alle Olimpiadi il mio allenatore, nel mio centro sportivo, si mette ad allenare atleti cinesi, quando il primo passo per darmi sicurezza dopo aver vinto un Olimpiade, in uno sport povero come atletica, sarebbe stata avere accanto una persona che mi guidasse e seguisse. Poi ho cambiato l’allenatore, il luogo di allenamento, sempre continui cambiamenti che alla fine mi hanno portato a doparmi. Se non hai vicino una persona che ti guida diventa tutto difficile

Quando ho poi deciso, mi sono giurato di doparmi. Non ho usato il doping per esser più forte ma avevo cosi una rabbia dentro che ho voluto doparmi fino alla fine, sono entrato in un tunnel da cui non riuscivo ad uscire. Ho un flash ancora in mente: mi sono accorto di non essere più normale, quando ero in Turchia (luogo dove Alex era andato per procurarsi le sostanze dopanti, ndr), confezionando Epo in hotel e guardando le coppie mano nella mano passeggiare sulla spiaggia”. Poi ci tiene però a parlare della sua rinascita: “Io senza sport non ce la faccio. Mi piace allenare, fare sport e anche senza pensare ad una gara. Quando sei dopato non pensi a rientrare. Io poi però ne sono uscito e mi sono posto il problema di come mi avrebbero guardato, di come avrebbe reagito l’ambiente, avrebbe avuto senso fare questa cosa? La risposta è stata si, perché ho voluto dimostrare di essere cambiato. Non pensavo più al doping, mi sentivo bene. Uno non può cominciare la preparazione a novembre per vincere la gara ad agosto senza essere convinto e senza che gli piaccia quello che fa, nel mezzo devi stare bene, ci sono 300 giorni in cui tu fatichi tanto. Ed io in quei giorni l’ho fatto, seguivo tutto quello Sandro che mi diceva, facevo più controlli del necessario per dimostrare la mia assoluta pulizia.

Insomma tutto era cambiato. Pensate che nel 2012 il mio vecchio allenatore mi diceva fai come vuoi, come ti senti. Io invece avevo bisogno di un vero allenatore. Avevo detto a Donati: se tu Sandro dici di no io non riesco, non me la sento di tornare e aver tutte le dita puntate addosso. Alla fine però abbiamo lavorato tanto e bene, e siamo andati oltre le mie aspettative. Avevo solo bisogno di un punto di riferimento per esser sicuro. Una volta in un allenamento ho fatto 46 km e ho fatto un tempo che mi avrebbe messo nei primi 5 all’Olimpiade”. Proprio sulla mancata partecipazione all’Olimpiade Sandro Donati ci tiene ad aggiungere un’ulteriore stranezza: l’avviso di positività venne notificato 6 mesi dopo e guarda caso a pochi giorni prima della scadenza per l’iscrizione alle Olimpiadi, quando di solito viene notificato dopo 15 giorni dal controllo.

Stranezze, manomissioni, ingiustizie, sono solo tre dei fili conduttori di questa vicenda che Donati e Schwazer hanno trasmesso al pubblico, il quale ha inevitabilmente solidarizzato con loro, salutando i due ospiti con un lungo applauso. I ragazzi del Presidio di Libera, introducendo l’incontro, hanno voluto sottolineare due dei valori che da oltre vent’anni animano tutte le attività di Libera, verità e giustizia, due cose di cui Alex e Sandro sono in ricerca. Perché se non potranno avere indietro l’Olimpiade di Rio, dove Schwazer sarebbe partito da favorito, potrebbero almeno mettere fine a questa vicenda, che ci ha privato della possibilità di vedere gareggiare quello che il suo allenatore ha definito una melodia incompiuta.

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