Referendum in Veneto e Lombardia | quali considerazioni fare, quali lasciare da parte

Il Referendum in Veneto e Lombardia

Un’occasione per riflettere sull’autonomia, nel “caldo autunno autonomista”.

di Vincenzo Rischitelli, redattore della sezione Attualità

In provincia di Trento il tema autonomia è sempre stato in primo piano, ed è peraltro bastata una critica (non originale) alla condizione privilegiata della realtà trentina da parte del noto giornalista Enrico Mentana al “Festival delle Resistenze”, per riaccendere il dibattito in merito.

Dibattito che in realtà in questi giorni si estende a gran parte del resto della Penisola, che sta per assistere a due importanti referendum. Infatti come noto, il 22 ottobre i cittadini lombardi e veneti si recheranno alle urne per esprimere la loro opinione.

I due quesiti referendari, seppure articolati in modo diverso, chiedono in sostanza la stessa cosa, ossia se si è favorevoli o meno allattribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alla propria regione. Posta così la domanda, la risposta sembrerebbe quasi scontata, tuttavia occorre una prima precisazione: i due referendum hanno solamente valore consultivo, e dunque anche qualora vincesse il sì, nell’immediato non cambierebbe proprio nulla. Entrambe le regioni, nel quesito fanno riferimento (la Lombardia in modo esplicito) all’art. 116 della Costituzione, che prevede che alle regioni possano essere attribuite “ulteriori forme e condizioni di autonomia concernenti le materie di cui al terzo comma dell’art. 117…”, ma che queste devono essere accordate alle regioni interessate con legge dello Stato, che dunque dovrebbe eventualmente seguire quelli che sono i modi e i tempi dell’iter legislativo.

In capo alle regioni rimane solamente un generico potere di iniziativa, che Veneto e Lombardia hanno deciso di rafforzare attraverso l’indizione di referendum.

Occorre ora un’altra precisazione: anche se il Veneto e la Lombardia, alla fine di questo lungo procedimento si vedessero in futuro riconosciute le ulteriori forme e condizioni particolari, la loro condizione di autonomia non sarebbe comunque paragonabile a quella delle cinque regioni a statuto speciale (Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta). Queste infatti trovano l’origine della propria specialità in tempi molto risalenti, e i loro statuti, approvati con legge costituzionale, per essere modificati devono seguire una lunga procedura aggravata.

Oltre alla veste giuridica formale, anche i motivi che hanno portato alla specialità delle già citate cinque regioni erano diversi da quelli che oggi portano avanti Veneto e Lombardia. I motivi erano dei più vari, dai forti movimenti indipendentisti della Sicilia, fino alle rivendicazioni territoriali austriache (per dirne uno) nel Trentino-Alto Adige. Nel caso del Trentino-Alto Adige inoltre, il suo stato di regione a statuto speciale è stato ulteriormente rafforzato dal famoso accordo De Gasperi-Gruber, che diede rilevanza anche sul piano del diritto internazionale alla specialità della regione.

D’altro canto Veneto e Lombardia, come noto, sono entrambe guidate da Presidenti di giunta appartenenti alla Lega Nord, partito che ha sempre considerato il tema dell’indipendenza prima, e quello dell’autonomia ora, di capitale importanza.

Allo stesso tempo, se le rivendicazioni indipendentiste sono state fiaccate dalla necessità più impellente, molto cara al leader Matteo Salvini, di ottenere un bacino più ampio di consensi, c’è sempre spazio per rivendicazioni di maggiore autonomia.

Autonomia, che come ha affermato lo stesso Salvini in piazza a Genova, l’1 ottobre 2017, giornata del referendum catalano, sarà funzionale “per gestire meglio le scuole, le strade, i treni, gli ospedali”.

Quindi, ciò a cui aspira la Lega è un’autonomia che non ha nulla a che fare (ovviamente) con l’indipendenza rivendicata in Spagna dalla Catalogna, e che anzi si porrebbe nel quadro delle possibili scelte percorribili dalle regioni, delineato dalla Costituzione.

Le rivendicazioni autonomiste di Lombardia e Veneto, seppure trovano una spinta evidente da parte della Lega Nord, non sono disdegnate neppure dai sindaci del centro sinistra (in particolare della Lombardia) che, nonostante il PD avesse inizialmente apostrofato come inutile il referendum, si dicono ora favorevoli. Questo dato è a mio avviso quanto mai significativo, in quanto ci obbliga a riflettere, e chiederci se il “modello centralizzato” che finora è stato tendenzialmente adottato in Italia, sia quello ancora auspicabile. Probabilmente, se sono venuti meno (come molti denunciano) i motivi originari che hanno condotto al riconoscimento di statuti speciali a determinate regione, potrebbe essere altresì vero che siano venuti meno i motivi che hanno portato ad una generale e prevalente centralizzazione statale delle competenze.

Una gestione della cosa pubblica più vicina al cittadino, dunque decentralizzata, è sicuramente auspicata dalla Carta Europea dellautonomia locale del 1985, e come ogni cosa presenta i suoi pro e i suoi contro, tanto più in un Paese come l’Italia, in cui rimangono forti differenze sociali ed economiche tra diverse regioni.

Per ora rimane solamente il problema di due referendum identici, che sono irrilevanti dal punto di vista giuridico, ma i cui costi, indipendentemente dall’esito graveranno sin da subito sulle casse delle regioni Lombardia e Veneto, innanzitutto per la gestione delle forze pubbliche di sicurezza – anche se il Presidente veneto Luca Zaia ritiene che i costi non dovrebbero essere addebitati alle regioni, “è come se avessero presentato a Marco Pannella, maestro di democrazia diretta e di conquiste di diritti sociali, il conto per la forza pubblica per tutti i referendum che ha organizzato per dar voce al popolo”.

Occorre però tralasciare per il momento alcune considerazioni, in primis sulla opportunità politica ed economica dei due referendum; occorre poi tralasciare i propri sentimenti nei confronti della Lega Nord; e in ultimo, far finta di non sapere che tra qualche mese in Lombardia si terranno le elezioni regionali.

Tralasciando tutto ciò, questi due referendum, ed i risultati che ne deriveranno, devono servire a farci riflettere: il modello centralizzato delle competenze (tenendo conto anche dei tentativi di contemperamento, come la modifica del titolo V della Costituzione, del 2001) è ancora il più conveniente? Rispondendo a questo quesito sapremo se il “modello autonomo” rimarrà appannaggio di poche regioni privilegiate, o se nel futuro esso sarà esportabile anche in altre regioni italiane.

Redazione

La redazione de l'Universitario è composta perlopiù da studenti dell'Università di Trento

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