Sentieri Sinfonici: esordio per “Dyscrasic Morphing” di Uvietta nella terza serata dell’orchestra Haydn di Trento e Bolzano

STAGIONE SINFONICA
15.11.2017
Trento, AUDITORIUM, via S. Croce, 67
ore 20.30

“La grande musica e le grandi melodie sono immortali. Cambiano le culture; cambiano le mode; cambiano gli usi, ma la grande musica è immortale. La gente non smetterà mai di ascolatre Mozart; Tchaikovsky; Rachmaninov. La grande musica è come una grandiosa scultura, un fantastico dipinto. Ha consistenza in eterno. Questo è un fatto.” M. Jackson

Sinfonia n°99 in Mi bemolle maggiore
Magnifica e pomposa Haydn scrisse questa sinfonia su commissione di Johann Peter Salomon per il colto pubblico londinese di fine 1700, che egli cercò di impressionare producendo una sinfonia che andasse al di là di una impostazione cameristica. Haydn giunge così ad una composizione pienamente sinfonica, ricca e con una tenace forza espressiva. Dalla pace solare delle parti in Adagio ci si trova inconsapevolmente a battere il tempo nelle parti di Vivace e Minuetto: un’alternanza tra melodie amabili e prepotenti che invoca fortemente Beethoven. Ciò che sicuramente si percepisce dal primo all’ultimo istante è il carattere armonico delle melodie, che rende l’idea di una musica nobile e spaziosa capace ancora oggi di donare serenità, di far venire voglia di alzarsi e danzare.
Sinfonia da camera n°2, op. 38
Il problema di presentare al pubblico un lavoro di Schöenberg è che, nell’opinione comune le sue composizioni risultano complesse, difficili da capire e da apprezzare. Glenn Gould trovò invece nell’anima musicale del compositore tutto il contrario: un semplificatore. Nella sua interpretazione proprio con il sistema dodecafonico, all’apparenza meccanico e stabilito aprioristicamente, Schöenberg cercò di condurre un processo di semplificazione melodica.
Questa sinfonia da camera, iniziata nel 1906 poi abbandonata e completata nel 1934, si fonda su questa forma dodecafonica. E dunque anche se ad un primo ascolto si può rimanere smarriti, invasi dalla preoccupazione di non capire, è proprio in questo smarrimento che bisogna crogiolarsi lasciandosi trasportare da una musica carica di un sottile effetto evocativo.
Dyscrasic Morphing
Non è questo lo spazio adeguato per sollevare le questioni che la musica contemporanea porta con se’, pur sapendo che prescinderne comporta una menomazione all’utilità di queste parole. Marco Uvietta è un compositore e professore presso l’Università degli Studi di Trento. Dyscrasic Morphing viene commissionata ed eseguita stasera per la prima volta dall’orchestra Haydn di Trento e Bolzano, e risulta difficile trasmettere il fervore che l’ascolto di un nuovo brano comporta per un appassionato di musica classica. Bisogna ammettere che i compositori non giocano nel terreno più semplice, offrono ad orecchie scettiche ed attente il frutto delle loro più grandi fatiche. E’ lo stesso Uvietta a definire questa composizione un puzzle di “esperienze che hanno influenzato la sua formazione”, un gioco di richiami, come un labirinto di specchi deformanti, dove l’ascoltatore, girato l’angolo trova, o ritrova, il primitivo sorriso conseguenza dello stupore. Ricordi frastagliati, mescolati ed nuovamente ordinati. Un grande augurio quindi, che le matricole del 2317 possano scrivere di quest’opera con lo stesso entusiasmo con cui ci prepariamo oggi al primo ascolto.
Variazioni su un tema di Haydn, op. 56a
Brahms compone quest’opera prima di cimentarsi nella scrittura di partiture puramente sinfoniche, operazione che gli costerà molte sofferenze e ripensamenti. Il suo atteggiamento di riverenza verso i grandi a lui predecessori gli costò infatti un costante timore nel misurarsi con questi geni. Nonostante già a vent’anni venne notato da Robert Schumann, che gli attribuiva “un modo di suonare quanto mai geniale” Brahms faticava ad accettare la sua altezza stilistica, a sottolineare che quando il genio si manifesta, nella sua forma essenziale, è un genio umile. Per fortuna il tedesco superò queste paure recondite, e già in questa composizione, eseguita nel 1873, ci da un assaggio di quella che sarà la sua opera futura. Delle variazioni abbiamo già trattato parlando di Tchaikovsky, tuttavia in Brahms esse assumono una valenza differente, sono esercizio di stile, ma anche un modo di omaggiare i suoi predecessori, in un gioco di richiami e citazioni più o meno esplicite che fanno di questo brano un capolavoro, che nulla ha da invidiare alle opere sinfoniche compiute. Il tema viene presentato, successivamente manipolato in otto differenti creature, ripresentato nell’ultimo movimento. Una circolarità che vede Haydn quale perno centrale di rotazione, un movimento però del tutto naturale, mai meccanico.

La serata di oggi elabora un percorso innovativo, un gradino in più rispetto al solito che ci porta ad oggi. Haydn, Schonberg, Uvietta, Brahms, tentare di elaborare una logica razionale in questa successione potrebbe essere un arduo compito persino per i matematici. La musica però è anche questo, sfonda con prepotenza i linguaggi “esatti”, rovescia la rigida schematicità classificatrice e ci permette di accedere ad una dimensione parallela: la date qui sono indici asettici per menti asciutte, etichette ormai sbiadite. Musica e tempo, e non tempo: colpiti al petto da questa rivelazione tornare indietro è un atto di disonestà intellettuale, d’altronde chi rinuncerebbe alla fonte dell’eterna giovinezza?   

Gabriele Barichello
Giacomo Floreano

Immagine di copertina: Andrea Voigtländer,  andreavoig.tumblr.com

 

 

 

 

Redazione

La redazione de l'Universitario è composta perlopiù da studenti dell'Università di Trento

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