Le promesse di Trump che diventano realtà: Gerusalemme capitale di Israele

Il presidente Trump annuncia lo spostamento dell’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo quest’ultima come “capitale di Israele”: questa la notizia più rilevante dello scacchiere internazionale, dopo i test missilistici della Corea del Nord. Molti attori internazionali si dicono preoccupati, come Federica Mogherini per conto dell’Unione Europea. L’ambasciata USA in Giordania avverte i cittadini del posto di non mandare bambini a scuola e limitare gli spostamenti, just in case.

Da tempo presidenti degli USA si ripropongono di risolvere le questioni interne allo Stato di Israele: già nel 1995 Bill Clinton approvava una legge sul riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello “stato ebraico” e contemporaneamente firmava la sospensione giuridica per mantenere l’ambasciata statunitense a Tel Aviv, invece che spostarla a Gerusalemme (quest’ultima azione sarebbe stata il riconoscimento ufficiale della capitale). Per anni la questione del riconoscimento è stata utilizzata dagli USA come arma di negoziazione per fare concessioni ai palestinesi. Dopo la prima intifada (quella del 1987) e le negoziazioni dei primi anni ’90 s’era deciso di congelare la questione della capitale.

Dopo la scelta, annunciata in campagna elettorale, dell’attuale presidente Donald Trump, di porre la capitale nella città di Gerusalemme – con conseguente spostamento dell’ambasciata statunitense da Tel Aviv – si prevedono proteste anti USA e un inasprimento delle spaccature mediorientali, anche se per lo spostamento potrebbero volerci anni.
Va ricordato che “Gerusalemme capitale” non significa automaticamente “Gerusalemme unica e indivisibile” – tra le comunità ebraiche, armene, cristiane, musulmane e magari palestinesi – anche se questa è la lettura che viene data dal Presidente dell’Autonomia Palestinese Abu Mazen.

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