5 libri per capire la mente

Questa è una lista che si fonda sui presupposti di cui parlano i libri della lista. Perché è scritta sfruttando una cosa che ho imparato leggendo proprio questi 5 libri: la nostra mente ama le liste. Essa è il risultato dell’ambiente in cui si è evoluta, diverso da quello in cui oggi si trova ad operare. Tutto quello che facciamo è riadattare funzioni che erano emerse per problemi totalmente diversi: scappare dai predatori, prevedere dove avrebbe colpito la freccia, trovare femmine con cui riprodursi sono comportamenti molto diversi da scegliere rispetto a quale università frequentare, leggere un articolo scientifico o scrivere un libro. Nel linguaggio tecnico della biologia evolutiva questo processo di riutilizzo di caratteristiche emerse per una funzione diversa da quello attuale si chiama exaptation, un termine inventato da Stephen Jay Gould.

L’esistenza di un filo conduttore che unisce tutti i libri è la tesi fondamentale secondo cui la nostra mente ama le storie, ovvero ha un marcato istinto verso la semplificazione e la modellizzazione del mondo al fine di farci agire nel modo più proficuo possibile. Tendiamo a collegare parti del mondo che non sono collegate all’interno di una narrazione sensata e questa tendenza ha prodotto alcune delle cose peggiori e migliori della nostra specie: letteratura, film, capacità di sopravvivenza e di aggregarsi in comunità, ma anche semplificazioni che costano la vita, distorcono la realtà, ci rendono ansiosi e ci fanno sistematicamente prendere le decisioni sbagliate.

Questa lista ha la stessa dose di rischi e benefici: asseconda il nostro desiderio di semplificazione ma è anche uno stimolo ad approfondire e leggere i libri citati. Buona lettura!

  1. Godel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante, di Douglas Hofstadter

È possibile essere originali seguendo un processo algoritmico? Esiste la libertà se siamo il risultato di forze meccaniche? Esiste la coscienza se esiste solo il cervello e nessuna anima immateriale? Queste sono le domande del libro che vale l’acquisto anche solo per il meraviglioso e geniale sottotitolo “una fuga metaforica su menti e macchine nello spirito di Lewis Carroll”. È il libro più ambizioso che abbia mai letto, e anche uno dei pochi che riesce a sostenere la sua ambizione senza implodere. Come tutti i grandi libri parla di cosa significhi essere umani e lo fa mettendo insieme musica (Bach), arte (Escher), matematica (Godel), informatica, filosofia, biologia e logica, sostenendo che il nucleo dell’intelligenza sia la ricorsività. La domanda che riassume l’opera è “che differenza esiste tra uomo e macchina?”. La risposta è : “Tutta la differenza possibile”, ma anche “nessuna differenza”, dipende da che livello usi. Intelligenza significa sapere come spostarsi di livello. Un manuale unico su come demistificare l’uomo, senza fargli perdere la sua magia, anzi, accrescendola.

2. Pensieri lenti e veloci, di Daniel Kahneman

Usa lo stesso escamotage che uso io con questa lista per parlare della razionalità: asseconda la nostra irrazionale passione per le storie. La storia che racconta è semplice e lineare, ha appena due personaggi: Sistema 1 e Sistema 2. Sistema 1 è il sistema automatico sempre in funzione del nostro cervello, quello del pensiero intuitivo e associativo, quello che ci fa distinguere il sorprendente dal normale, inferisce e inventa cause e intenzioni, trascura l’ambiguità e reprime il dubbio, si concentra sulle prove subito a disposizione e ignora tutto il resto e in generale ci fornisce sia un mondo immediatamente fruibile e comprensibile sia un mondo estremamente influenzato da bias ed errori di percezioni, analisi e comprensione. Sistema 2 è il sistema pigro ma riflessivo che entra in funzione per verificare, analizzare e controllare tutto ciò che viene reso disponibile da Sistema 1. I due sistemi funzionano solo insieme. Consapevolezza dei propri bias è l’essenza della razionalità.

3. Coscienza. Che cosa è, di Daniel Dennett

Da leggere obbligatoriamente in coppia con il libro precedente. Kahneman dice fin dall’inizio che la sua storia di Sistema 1 e 2 è solo metaforica, Dennett ha scritto un libro esattamente su questa metafora. Propriamente ha scritto un libro che distrugge le radici concettuali di questa metafora, che lui chiama metafora del Teatro Cartesiano. Secondo la tradizione cartesiana, la mente e la coscienza funzionano come un teatro su cui vanno in scena dei personaggi. È la visione omuncolare della coscienza per cui c’è un omuncolo che registra e analizza i dati nel cervello, fatto di una sostanza diversa da quella materiale (la famigerata res cogitans). Dennett propone un modello della coscienza più scientifico: noi non siamo né i nostri neuroni, né una sostanza immateriale omuncolare, bensì esistiamo e i nostri pensieri esistono nei collegamenti del cervello. È il modello delle “molteplici versioni”, per cui nel cervello non c’è un Boss, un centro operativo singolo, ma un guazzabuglio di processi che si sovrappongono. Tutto è decentralizzato e spersonalizzato, ma la spersonalizzazione può creare la personalità.

[…] il sé (altrimenti noto come il Pubblico del Teatro Cartesiano, l’Autore Centrale o il Testimone) si rivela essere una valida astrazione, una finzione teorica piuttosto che un osservatore interno o un boss. Se il sé è “soltanto” il Centro di Gravità Narrativa, e se tutti i fenomeni della coscienza umana sono “soltanto” i prodotti delle attività di una macchina virtuale realizzata dalle connessioni incredibilmente modificabili del cervello umano, allora, in linea di principio, un robot opportunamente “programmato”, con un cervello costituito da un calcolatore a base di silicio, sarebbe cosciente, avrebbe un sé.(Daniel Dennet, Coscienza. Che cos’è, Rizzoli, Milano, 1993, pag. 480)

4. L’errore di Cartesio, di Antonio Damasio

Nel caso non l’aveste capito Cartesio è il bersaglio preferito delle scienze cognitive. Il suo errore è aver separato rigidamente il corpo dalla mente, imputando al primo le passioni e al secondo la ragione. Emozione, sentimenti e ragione non sono separati ma collegati l’uno all’altro in un legame indissolubile, come dimostra il celebre case study di Phineas Gage, in cui a seguito di una lesione al lobo frontale sinistro, implicato nella elaborazione delle emozioni, ci furono delle ripercussioni sul suo comportamento razionale e sociale. Le emozioni orientano e adeguano la scelta razionale, e non sono ad essa contrapposte.

5. Behave. The biology of Humans at our best and worst, di Robert Sapolsky

Perché ci comportiamo come ci comportiamo? Sapolsky manda indietro il film a partire da quello che accade nel nostro cervello qualche istante prima di compiere una determinata azione, fino a milioni di anni prima. Quello che siamo è il risultato di un reticolo di cause e forze che ci preesistono e di cui per la maggior parte non sappiamo niente. Ancora una volta, la vera razionalità parte dal presupposto dell’ignoranza abissale riguardo quello che abbiamo di più intimo: noi stessi.

Angelo Andriano

Nelle feste piccole, non c'è intimità.

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