Ogni incontro è l’inizio di un viaggio e di un nuovo sapere

On the road, tre giorni a Salorno !

Si è conclusa domenica la residenziale di tre giorni a Salorno che ha visto i venti ragazzi protagonisti del
progetto “On the Road – Sulle rotte dei migranti” incontrarsi per la prima volta in questa terra di confine.

Il progetto On The Road che nasce dalla collaborazione tra diverse realtà quali Piattaforma delle resistenze
Contemporanee, ARCI Bolzano, Punto Europa, T.A.U.T., Deina Trentino, Fondazione Langer/Teatro Zappa,
Kaleidoscopio, Il Gioco degli Specchi, Club Alpbach, Liceo Da Vinci (Trento), Liceo Bonporti (Trento) e
che è stato reso possibile grazie al supporto delle Province autonome di Trento (Incarico speciale per le
Politiche giovanili) e Bolzano (Servizio Giovani – Ripartizione Cultura Italiana) si propone di dare la
possibilità a questo gruppo di ragazzi di attraversare le tre maggiori rotte (Balcanica, Francese e Greca) che i
migranti percorrono per arrivare in Europa.

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La residenziale a Salorno, iniziata nella giornata di venerdì 12 maggio, è proseguita poi nella giornata di
sabato che ha visto come ospiti durante tutta la mattinata i registi Razi e Soheila Mohebi, rifugiati politici in
Italia da quasi cinque anni, fuggiti dalla loro terra d’origine, l’Afghanistan, e produttori di numerosi
documentari come “Afghanistan 2014” o “Cittadini del nulla”.

Il dialogo con Razi e Soheila è iniziato a partire dalla analisi di che cosa sia la conoscenza la quale è
quell’entità che si genera quando “due limiti si incontrano al confine”, quando diverse prospettive entrano in
interazione
così che ognuna possa riconoscere la propria specificità in un dialogo aperto con l’altra.

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La conoscenza per essere trasmessa deve essere raccontata e, come Razi e Sohelia illustrano, per quanto
riguarda il cinema ci sono due modalità di raccontare: il documentario e il reportage di notizie. Per quanto
riguarda la prima modalità vi sono tre tipi: il documentario tematico, quello osservativo/scientifico e quella
narrativo/artistico; mentre per quanto riguarda la seconda le modalità sono le più diverse, ma la differenza
fondamentale è che qui il modo di raccontare, il filtro del reporter, il taglio, la prospettiva, il focus che
vengono messi in atto per raccontare importano di più della notizia.

“Il modo giusto di raccontare viene dalla vita, dallo stare vicino alla vita” questo è quanto dice Razi quando gli viene posta la domanda su quale sia il modo migliore per raccontare, documentare, restituire quanto gli
occhi potranno vedere lungo quelle strade battute da migliaia di piedi.

Stare vicini alla vita e incontrare l’altro al confine, in quella linea labile che separa l’io ed il tu, tra lui e me,
questo è ciò che crea conoscenza, questo è ciò che crea dialogo ed è possibile solo quando non si alzano muri
nel punto di congiunzione tra le due parti.
Appunto “l’umanità come qualità è il dialogare” dice sempre Razi ribadendo così il fatto che il vuoto di
sapere si crea quando si mettono in atto dinamiche di non-dialogo, di non-incontro. Il muro costruito con i
mattoni dell’ignoranza e del silenzio è il più difficile da abbattere.
Ecco che ritorna allora l’importanza del documentare, ed è quello che dovranno fare i ragazzi una volta
tornati dal viaggio: vedere per essere testimoni e divulgatori, per creare sapere, per decostruire i confini.

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Razi e Soheila nel loro ultimo lavoro “Cittadini del nulla” raccontano la storia di Monira, una rifugiata
afgana che arriva in Italia, e del percorso che questa è costretta a intraprendere. La figura di questa
protagonista è emblematica per poter raccontare ciò che accade davvero ad ogni profugo nel nostro paese.
I due registi descrivono, raccontando anche un po’ della loro storia personale, con una sensibilità acuta il
percorso esistenziale e psicologico che porta un profugo a raggiungere lo stadio della depressione a seguito
del progressiva atrofizzazione del pensiero data dalle dinamiche di assistenzialismo e dalle frustranti
situazioni di precarietà e inattività in campi e centri di accoglienza. “Il corpo diventa la tomba del loro
pensiero” dice Razi.

Invertire questo meccanismo di annullamento, riconquistare il senso dell’umano e favorire un vivere assieme
nella diversità come “cittadini della stessa terra” è ciò che Razi e sua moglie Soheila propongono nella loro
lettera aperta e che trasmettono con le loro parole e la loro arte.

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Dopo l’incontro con i due registi è intervenuta Irene Serangeli, operatrice legale del Centro Astalli di Trento che ha proposto una panoramica chiara e precisa di quelli che sono stati nella storia i vari cambiamenti inambito giuridico per quanto riguarda la tematica delle migrazioni e come si sono spostate e ridefinite lefrontiere nella nostra mappa del mondo; riguardo a questo è stata focalizzata l’attenzione sul Codice delleFrontiere di Schengen che precisa quali siano le norme che disciplinano l’attraversamento delle frontiere.Irene inoltre, data la sua esperienza anche sul campo, ha raccontato come, al di là appunto delle leggistabilite, lungo i confini il modo di operare più usato sia dettato dall’informalità e dalle varie modalità di prassi che eludono i riferimenti alla legge.

I due dialoghi del mattino hanno fatto da trampolino di lancio per i racconti di viaggio di Anna Clementi,
operatrice e mediatrice linguistico-culturale presso il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati
di Venezia, e Diego Saccora, operatore sociale all’interno del sistema di accoglienza del Comune di Venezia
nell’ambito dei minori stranieri non accompagnati.
Anna e Diego hanno pubblicato l’anno scorso il loro libro “Lungo la rotta balcanica – Viaggio nella storia
dell’umanità del nostro tempo” che raccoglie riflessioni, suggestioni e pensieri che i due hanno collezionato
durante i loro ripetuti viaggi lungo le linee di confine dall’Italia alla Grecia, passando per l’Austria,
attraversando la Slovenia, la Croazia, la Serbia, l’Albania, l’Ungheria, la Macedonia
e la Giordania.

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Itinerari migranti, storie di incontri, sentimenti in conflitto, Anna e Diego hanno letto pagine commuoventi
del loro libro accompagnando la lettura con foto da loro scattate e unendo il tutto con una palpabile sincerità
ed emozione. “Ciò che importa è l’incontro”, anche loro come Razi e Soheila, hanno sottolineato il valore
del entrare in contatto con l’altro, del sentirsi umani, riconoscersi umani e così ritrovarsi uguali e diversi con i piedi sulla stessa superficie che non sarà una linea fatta con il righello su di una cartina a rendere differente.

Sono stati tre giorni intensi quelli di Salorno, dove si sono definite le linee generali dei viaggi nelle tre
diverse rotte, questo anche grazie all’intervento di Sergio Bonagura, di Arci Bolzano.
Si sono alternati momenti di formazione, di conoscenza reciproca, di dialogo, di condivisone di insicurezze e
di aspettative… tutte attività che hanno avuto come denominatore comune la voglia di incontrarsi, di vedere,
di capire per per riuscire, forse, a interpretare un po’ meglio questo nostro presente che chiude gli occhi, che
alza barriere, che costruisce muri, che svuota di significato parole e ideali e così diventare testimoni quello
che viene ricacciato nell’oblio dalla società perché tutto ciò che viene depositato nel cassetto nascosto del
silenzio possa arrivare ad essere così assordante da diventare cambiamento.

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