Martí Compte, studente e attivista politico catalano, ha rilasciato un’intervista per l’Universitario | VOTAREM!!!
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Intervista a Martí Compte, giovane attivista catalano di Vilafranca del Penedès, studente di “Diritto e Scienze Politiche” presso l’ “Universitat de Barcelona”.
1) Ciao Martì! Innanzitutto ti ringrazio per la tua disponibilità e per il tempo prezioso che ci stai dedicando in questo momento di grande confusione e sconvolgimento politico. A presentarti è già la tua pagina Facebook: una fotografia del territorio catalano accompagnata dalla dedica, anch’essa rigorosamente in catalano: << Farem nous cims>>. Cosa significa?
Significa “Raggiungeremo nuove cime” e sì, è un monte catalano chiamato Montseny, nel nord – est della Catalogna.
Nonostante tu sia giovanissimo, è trascorso già parecchio tempo da quando hai cominciato a coltivare la tua passione per la politica, di recente sfociata nel sostegno al Partito Democratico. Quando e perché hai deciso di dedicartici? E soprattutto, perché proprio al lato del partito democratico?
Innanzitutto non posso dire di “dedicarmi” alla politica; la politica occupa i frammenti di tempo tra lo studio, il lavoro, la famiglia e gli amici. Ciononostante credo che in una democrazia sia estremamente importante che tutti i cittadini si preoccupino per un qualcosa che riguarda tutti e, nella misura in cui ci sia possibile, cerchiamo di migliorare la nostra società. Questo è quello che, ormai da anni, mi ha portato ad impegnarmi nella politica.
Per quanto riguarda i miei inizi, ho cominciato impegnandomi con una organizzazione giovanile (nella quale continuo tuttora ad operare). Alla motivazione iniziale hanno poi cominciato a sommarsi preoccupazioni sempre nuove e ho maturato una mia visione del mondo. In tutto ciò cresceva sempre più la mia voglia di lavorare e di individuare gli strumenti utili per continuare a migliorare |la cosa comune|.
Il Partito democratico è lo strumento che molti giovani stavano aspettando: più aperto, più orizzontale, plurale, con una profonda base municipalista, radicale nelle sue convinzioni ma moderato nelle sue politiche, difensore del libero mercato, di uno Stato dal benessere solido ed europeista.
Quando l’anno scorso fu fondato, decisi con altri amici che era venuto il momento di fare un passo avanti e comprometterci ancor più col progetto colletivo che stavamo già vivendo in Catalogna.
2) Il fronte secessionista consiste in una <<Coalizione di governo>> composta da partiti politici molto diversi. La preoccupazione di molti è che la lotta per l’indipendenza sia davvero l’unico elemento che li accomuna. Potresti, in primo luogo, aiutarci a ricostruire quali sono le maggiori forze politiche, e quali i leader, del fronte indipendentista? Credi inoltre che sarebbero in grado, data la loro eterogeneità, di collaborare creando e gestendo un governo efficiente?
Il Governo è formato fondamentalmente da persone provenienti dal gruppo parlamentare “Uniti per il sì” “Junts pel Sí” (JxSí), che è, a sua volta, una coalizione di partiti distinti ed elementi indipendenti che si presentò alle elezioni del 2015. Jxsí è formata, a grandi linee, dai seguenti partiti:
- Il “Partito democratico”/ Partit Demócrata ( il partito maggiormente rappresentativo del gruppo). É il partito di Carles Puidgemont, il Presidente della Generalitat (capo del governo catalano).
- La “Sinistra Repubblicana di Catalogna” / Esquerra Republicana de Catalunya (il secondo maggiore). Il Vicepresidente Oriol Junqueras è il presidente del partito.
- Gli “Indipendenti” / La Presidentessa del parlamento, Carme Forcadell, per esempio (attivista indipendentista), Pep Guardiola (attuale allenatore del Manchester City), musicisti, economisti, giornalisti, ecc.
- Altri partiti minori, dai cristiano-democratici ai social-democratici.
É evidente che questa coalizione sembra essere molto eterogenea. E, senza dubbi, lo è. Ci sono molte differenze tra i partiti che la compongono. Ma questo non ha comportato alcun problema per il governo, che in questi due anni ha proceduto come fosse un unicum. Se in effetti un obbiettivo della coalizione era preparare il paese alla conversione in uno Stato Indipendente, altri erano la gestione della crescita economica e l’uscita della crisi. In quest’ottica il governo ha lavorato unendo gli sforzi.
3) La domanda referendaria del 1 Ottobre 2017 rinviava alla condizione di << Stato Indipendente, in forma di Repubblica >>. Me lo confermi? O, nel caso, potresti correggermi con la domanda precisa?
Corretto. La domanda era: “Vuoi che la Catalogna sia uno Stato Indipendente sotto forma di Repubblica?” Con risposta affermativa o negativa. Era scritta in Catalano, Castigliano (spagnolo) e l’Aragonese. Le tre linque ufficiali in Catalogna.
4) Una domanda chiara e diretta. Quali sono i principali motivi, che ti spingono a lottare per il sogno di una Catalogna Indipendente? E perché, nella tua opinione, la vostra attuale (ampia) autonomia non sarebbe più sufficiente?
Sono molte le ragioni per le quali la gente appoggia l’indipendenza della Catalogna.
In un’ottica puramente pratica, ci accorgiamo di come lo stato spagnolo pregiudichi l’economia catalana restituendole molto meno di quello che dovrebbe, per esempio, in infrastrutture. La Catalogna rappresenta un 20% del PIB (pil) spagnolo e il 16% della sua popolazione, ma nel 2015 ha ricevuto dallo Stato solo un 8.2% |in termini di investimento|in infrastrutture.
Essendo una dell regioni dall’’economia più dinamica, intuiamo che dovrebbe essere fatto uno sforzo in più. Quello che talvolta non si coglie è che vengono costruiti treni ad alta velocità con fermate in paesi di 28 abitanti in Spagna, in linee totalmente deficitarie, mentre il servizio di trasporti metropolitano di Barcellona, ormai obsoleto, presenta anni di ritardo in riferimento alle innovazioni. Un servizio utilizzato, solo nel primo trimestre di quest’anno, da 62 milioni di persone che, quitidianamente, fanno i pendolari per lavorare in Catalogna. Questo è solo uno dei tanti esempi.
Esiste inoltre chi difende la causa indipendentista al fine di preservare la singolarità catalana. La Catalogna possiede una lingua propria, derivante dal latino, come lo spagnolo o l’italiano, una lingua che vanta ben 8 secoli di storia: il catalano. Ci siamo già scontrati molte volte con il governo centrale in riferimento alla sua volontà di introdurre politiche educative che, non solo pregiudicherebbero “la salute” del catalano, ma anche che andrebbero contro il consenso della maggioranza dei catalani degli ultimi 40 anni.
A tutto ciò, io credo che si siano sommate ulteriori ragioni molto pesanti. La Catalogna ha bisogno dell’indipendenza semplicmente per una questione di democrazia. Sono i cittadini di una nazione, coloro che devono decidere democraticamente ciò che quella nazione è tenuta a diventare. E così vuole l’80% dei catalani: e lo vuole ottenere votando.
Ma lo Stato spagnolo si è opposto con forza affinchè ciò non avvenga. Ha colpito votanti pacifici, che tutto ciò che stavano facendo era la coda per andare a decidere del loro futuro, causando nel giorno del 1 di ottobre 900 feriti.
Questa è un’attitudine che uno stato democratico europeo del XXI secolo non dovrebbe adottare mai nei confronti di cittadini pacifici che votano. Mai. Per una questione di dignità democratica, per vivere in uno Stato del secolo XXI, dobbiamo seguire il nostro cammino.
5) Il Tribunale Costituzionale spagnolo (TC) aveva sospeso la convocazione del referendum di autodeterminazione del 1 Ottobre fino al giorno seguente (quando la stessa è stata approvata nel parlamento della Catalogna) basandosi, in parte, sul principio costituzionale della indivisibilità della sovranità popolare, risultato della formula “del popolo spagnolo”. Il TC ha sostenuto che il parlamento si stesse attribuendo competenze che avrebbero diviso la sovranità spagnola.
Questo principio infatti sarebbe modificabile solo attraverso una riforma costituzionale, richiedente un consenso dei 2/3 del parlamento spagnolo (Congresso e Senato), la convocazione di elezioni nazionali, nuovamente il consenso dei 2/3 del parlamento e la chiamata al referendum di tutta la popolazione spagnola.
Ciononostante il presidente Puidgemont ha comunque affermato la vigenza della legge sul referendum rifacendosi al diritto internazionale, e precisamente al principio di autodeterminazione dei popoli, diritto riconosciuto nei Patti Internazionali dei Diritti Umani del 1996. Nacque inizialmente per proteggere i popoli soggetti a dominio coloniale e permettere loro di raggiungere l’indipendenza. A partire da questo dato iniziale, si sono susseguite varie interpretazioni dottrinali sul tema, dando vita ad un ampio dibattito.
La verità è che il diritto internazionale non impone passi predefiniti a un “aspirante” Stato perché questi ottenga l’indipendenza. È questa infatti una condizione legata più alla realtà dei fatti che alla teoria, più alla forza politica ed economica dell’aspirante stato e soprattutto alla sua possibilità di vantare il sostegno politico di stati riconosciuti come “potenti” all’interno del panorama internazionale. Così che, anche se la Catalogna non riuscisse ad avere “il diritto” dalla sua parte, potrebbe sempre tentare di compensare questo deficit entrando nelle grazie di appoggi politici importanti. Il problema però è che finora l’Unione Europea è rimasta silente al suo appello e si è dichiarata esterna alla questione. Così che sembrerebbe che la Catalogna, allo stato dei fatti, non abbia né il diritto, né tantomeno i giusti appoggi politici per affermarsi come stato.
Qui ci sono molte riflessioni, andiamo per passaggi.
La costituzione spagnola afferma che “la sovranità nazionale risiede nel popolo spagnolo”. In sostanza il TC, seguito dal governo centrale di Madrid, sostiene che la sovranità sia indivisibile, che tutti gli spagnoli debbano decidere in blocco. Ci sono però anche molti giuristi che da questa opinione si discostano e ritengono invece che la sovranità risieda nei singoli cittadini, individualmente, non in blocco. Per esempio, gli statuti delle autonomie (le costituzioni regionali) sono votate in referendum (Sì, in Referendum!) e solo dagli abitanti del territorio interessato, non da tutti gli spagnoli. Ed è così perchè è la Costituzione stessa a stabilirlo.
Cosicchè il dibattito giuridico diventa ampio e complesso. Ciò che dobbiamo chiederci, ciò che uno studente di Trento può chiedersi, è: “I cittadini di una moderna democrazia europea hanno la capacità di decidere del loro futuro?” Se la risposta è sì, cosa che spero, allora su questo non c’è necessità di dibattito.
Io ritengo che sì, i cittadini abbiano il diritto (ed il dovere) di decidere come debba essere il loro futuro. E se crediamo in questa massima della democrazia, possiamo vedere come il dibattito giuridico sulla “legalità” non sia nientemeno che la scusa di un governo inoperante (quello di Madrid) che nega il voto ai catalani.
Arivati a questo punto, la domenica 1 ottobre, noi catalani, abbiamo votato. E lo abbiamo fatto in massa a favore dell’indipendenza, nonostante la brutale repressione politica. Certamente attuare il risultato del voto a fronte di uno Stato tanto belligerante come quello spagnolo sarà un’operazione complessa di “alta politica”. Tutti i processi di indipendenza nell’arco della storia lo sono stati. Nessuno è stato riconosciuto automaticamente da tutta la comunità internazionale, questoè un processo che richiede tempo.
Però non ci preoccupa in eccesso. Fino ad una settimana fa quasi nessuno nel panorama internazionale usciva dal copione diplomatico del <<questi sono affari interni che devono essere risolti da catalani e spagnoli>>. Negli ultimi giorni invece due Primi Ministri europei (Belga e Sloveno) scommettendo in una soluzione patteggiata della questione, Merkel e Juncker hanno parlato per telefono del conflitto, decine di organismi internazionali e Premi Nobel si offrono come mediatori… Ma il dato più importante è che i cittadini di molti paesi si sono interessati a ciò che sta avvenendo qui. Questa stessa intervista e altre pubblicazioni dell’ “l’Universitario” ne sono la dimostrazione.
Questo è molto importante e ci da speranza. Dimostra che la causa che difendiamo è giusta e che, quando giungerà il momento, avrà risalto internazionale.
6) Temi/ Temete che Rajoy possa far applicare l’art. 155 della Costituzione, che permetterebbe alla Spagna di sospendere la condizione di autonomia catalana, convertendola in una regione ribelle in stato di assedio?
La questione è che, come disse il Presidente Puidgemont, questo articolo è già stato applicato di fatto. Sotto il pretesto di fermare il Referendum, il Governo Centrale controlla quali leggi del parlamento catalano debbano venire approvate e quali no (attraverso la politicizzazione del TC), sono intervenuti sulle finanze della Generalitat e sono arrivati ad avere il controllo diretto della polizia catalana.
Quindi, nei fatti, l’autonomia della Catalogna è già stata sospesa. E tutto solo per poter votare!
Ora tutte le leggi del Parlamento catalano che non piacciono al governo di Madrid (il cui partito è il secondo più piccolo in Parlamento Catalano) vengono individuate e sospese dal TC. Siano esse sull’indipendenza o su questioni ambientali, fiscali, sociali, … non importa. E controllando il TC (organo inappellabile) si mantiene il controllo virtuale sul Parlamento.
Inoltre la Generalitat è tenuta a giustificare settimanalmente tutte le spese al governo centrale e Madrid si riserva di non inviare il denaro necessario in Catalogna se crede che questa lo destinerà a spese che per Madrid non dovrebbero esserci.
Si è perfino arrivati a controllare da Madrid la polizia catalana, dando ordini di chiudere i collegi elettorali di domenica, per esempio.
Di conseguenza l’art. 155 CE è già stato applicato “per la porta di servizio”, senza garanzie giuridiche o democrazia alcuna e con l’attitudine propria più di un regime di altri tempi.
7) Abbiamo visto tutti la reazione di Madrid. In prima linea Rejoy, ma subito dopo la Vicepresidentessa spagnola Saenz de Santamarìa, nelle loro dichiarazioni, non solo rifiutano nella maniera più assoluta il fatto in se stesso dell’esistenza del Referendum, ma addirittura difendono la violentissima reazione della Guardia Civile contro i cittadini votanti definendola <<proporzionale>>. Come leggi questi avvenimenti? Credi che una mediazione, per la quale Puidgemont si è dichiarato disponibile, sarà davvero possibile?
Non solo spero che sia possibile, ma la credo addirittura buona e necessaria. La soluzione di questo conflitto deve essere la politica, non la polizia. Per questo motivo il governo di Puidgemont ha accettato il dialogo con quello di Rajoy, nel cercare di individuare un modo per trasformare la volontà della maggioranza dei catalani (che la Catalogna sia uno Stato indipendente) nella realtà.
Negare le violenze della polizia è un fatto di una irresponsabilità titanica.
Il risultato di domenica 1 Ottobre verrà (deve essere) applicato. Il Governo spagnolo deve decidere se stare con la democrazia e il dialogo o se continuare sulla via della violenza e dell’oppressione.
8) Ultimissima domanda: vuoi descriverci come ti sei sentito andando a votare il 1 Ottobre nel giorno del primo passo verso la conquista della vostra indipendenza?
Domenica è stata una giornata di emozioni intense. Da un lato ci rimane l’orrore delle violenze della polizia contro votanti pacifici, alcuni anziani, il terrore che tutti avevamo, che in qualsiasi momento la polizia paramilitare spagnola apparisse nel nostro collegio elettorale e cominciasse a rubarci le urne piene di voti.
Però dall’altro lato rimane l’orgoglio di vedere che, nonostante questa paura, la gente non si è allontanata dai collegi elettorali per tutto il giorno, è uscita in massa per farsi sentire. Vedere la speranza della gente mentre votava, la fermezza con la quale domenica sono stati difesi la democrazia e i diritti umani è la dimostrazione che questo è un movimento civico e democratico che non può essere fermato.
FONTI
/ http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2017/10/02/catalogna-per-lindipendenza-il-90-dei-voti_4b9758b9-e85d-4570
/ http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2017/09/20/referendum-catalogna-i-no-di-costituzione-e-corte-suprema_43602433-080c-4404-a3e2-5ee857a089f7.html
/ https://elpais.com/ccaa/2017/10/01/catalunya/1506875750_718114.amp.html
/ https://politica.elpais.com/politica/2017/09/30/actualidad/1506768857_502784.html
/ https://politica.elpais.com/politica/2017/10/02/actualidad/1506931940_018261.html?id_externo_rsoc=TW_CM_ES
/ https://elpais.com/elpais/2017/10/02/actualidad/1506918512_517499.amp.html
/ http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2017/09/20/referendum-catalogna-i-no-di-costituzione-e-corte-suprema_43602433-080c-4404-a3e2-5ee857a089f7.html
/ http://amp.ilsole24ore.com/pagina/
/ http://www.repubblica.it/esteri/2017/10/02/news/barcellona_referendum_catalogna_indipendenza_rajoy_spagna_puigdemont-177133780/amp/
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Intervista a Martí Compte, estudiante de “Dret i Ciéncies Polítiques” presso Universitat de Barcelona / De Vilafranca del Penedès.
1) Hola Martí! Por primero te agradezco por tu disponibilidad y por el tiempo precioso que nos dedicas en estos momentos de grande confusión y movimientos políticos. Tú copertina de Facebook ya te presenta: una fotografía de Catalunya con la dedica en catalán: << Farem nous cims>>. Que significa?
Significa “Haremos nuevas cimas” y sí, es una montaña catalana llamada Montseny, en el noroeste de Catalunya.
A pesar de tu edad joven ha pasado mucho tiempo desde tu entrada en política al lado del Partit Demócrata. Cuando y porqué decidiste dedicarte a la política? Y sobretodo, porqué al lado del Partit Demócrata?
En primer lugar, yo no me dedico a la política; la política ocupa los momentos entre estudiar, trabajar y estar con la familia y amigos. No obstante, creo que en democracia es muy importante que todos los ciudadanos se preocupen por aquello que nos afecta a todos y que intentemos, en la medida en que nos sea posible, mejorar nuestras sociedades. Esto es lo que, hace ya años, hizo que me fijara en la política.
Para cuando entré, solo militaba en una organización juvenil (en la cual sigo militando), pero con los años he ido involucrándome más. A la motivación inicial que me hizo dar el paso se han ido sumando nuevas preocupaciones y ha ido madurando mi forma de entender el mundo. Y con eso mis ganas de trabajar más y de encontrar una herramienta útil para seguir mejorando lo que nos afecta a todos.
El Partit Demócrata es la herramienta que muchos jóvenes estábamos esperando: más abierto, más horizontal, plural, con una profunda base municipalista, radical en sus convicciones pero moderado en sus políticas, defensor del libre mercado, de un Estado del bienestar sólido y europeista.
Cuando el año pasado se fundó, decidí con otros amigos que era el momento de dar un paso adelante e implicarse más con el proyecto colectivo que estamos viviendo en Catalunya.
2) El frente secesionista consiste de una <<Coalición de Gobierno>> compuesta de partidos políticos muy varios, y se dice que su único elemento de unidad sea justo la lucha para la separación. Podrías, en primer lugar, ayudarnos en comprender quienes son los mayores partidos y políticos protagonistas que componen la actual coalición? Y además, crees que ganarían en colaborar entre ellos para un eficiente gobierno de Catalunya no obstante sus internas diferencias?
El gobierno está básicamente formado por personas que provienen del grupo parlamentario “Junts pel Sí” (JxSí), que es, a su vez, una coalición de distintos partidos y gente independiente que se presentó en las elecciones de 2015. JxSí está formada a grandes rasgos por los siguientes partidos:
- Partit Demócrata (el partido con mayor representación en el grupo). Es el partido de Carles Puigdemont, el President de la Generalitat (el jefe de gobierno catalán).
- Esquerra Republicana de Catalunya (el segundo mayor). El Vicepresidente Oriol Junqueras es el presidente del partido.
- La Presidenta del Parlament, Carme Forcadell, por ejemplo (activista independentista), Pep Guardiola (actual entrenador del Manchester City), músicos, economistas, periodistas, etcétera.
- Otros partidos menores. Aquí encontramos desde cristianodemócratas hasta socialdemócratas.
Es evidente que esta coalición puede parecer muy heterogénea. Y, sin duda, lo es. Hay muchas diferencias entre los partidos que la forman. Pero esto no ha supuesto ningún problema para el gobierno, que ha actuado como uno solo estos dos años. El propósito de la coalición era, en efecto, preparar el país para convertirse en un Estado independiente y gestionar el crecimiento económico y la salida de la crisis. En este sentido, el gobierno ha trabajado aunando esfuerzos y mejorando desde la pluralidad.
3) El objetivo del Referéndum de Catalunya de ayer, 1.10.2017, tenía como objeto la pregunta para que << Catalunya sea un ESTADO INDEPENDIENTE, en forma de REPÚBLICA>> me lo puedes confirmar o si se da el caso, podrías corregirme con la pregunta correcta del Referéndum?
Correcto. La pregunta era: “¿Quiere que Catalunya sea un Estado independiente en forma de república?” con respuesta afirmativa o negativa. Estaba escrita en catalán, castellano y aranés (una lengua procedente del occitano), las tres lenguas cooficiales en Catalunya.
4) Una pregunta clara y directa. Cuales son las principales razones que te empujan a luchar por este sueño de Catalunya independiente? Y porqué, en tu opinión, vuestra autonomía, no es suficiente?
Hay muchas razones por las cuales la gente apoya la independencia de Catalunya.
En un sentido puramente práctico, podemos ver como el Estado español perjudica a la economía catalana invirtiendo mucho menos de lo que debería, por ejemplo, en infraestructuras. Catalunya representa un 20% del PIB (PIL) español y el 16% de su población, pero en 2015 solo recibió un 8,2% del total de inversiones del Estado en infraestructuras.
Como una de las regiones con una economía más dinámica del Estado, entendemos que tenemos que hacer un esfuerzo. Lo que la gente no entiende es que se construyan trenes de alta velocidad con paradas en pueblos de 28 habitantes en Castilla en líneas totalmente deficitarias mientras el servicio de trenes metropolitanos de Barcelona, muy obsoleto, lleva años de retraso en sus inversiones. Un servicio que el primer trimestre de este año usaron 62 millones de personas que, diariamente, se desplazan para trabajar en Catalunya. Este es solo un ejemplo entre muchos.
También existe quien la defiende para preservar la singularidad catalana. Catalunya tiene una lengua propia procedente del latín, como el castellano o el italiano, con 8 siglos de historia: el catalán. Demasiadas veces nos hemos encontrado con que el gobierno central quiere aplicar políticas educativas que, no solo perjudicarían la salud del catalán, sino que van contra el consenso de la mayoría de catalanes de los últimos 40 años respecto la defensa del catalán.
A todo esto, yo creo que se le ha sumado otra razón de peso. Catalunya necesita la independencia simplemente por una cuestión de democracia. Son los ciudadanos de una nación los que deben de decidir democráticamente qué tiene que ser esa nación. Y así lo queremos el 80% de los catalanes: votando.
Pero el Estado español se ha opuesto ferozmente a que esto sea así. Incluso ha golpeado a pacíficos votantes que todo lo que hacían era cola para ir a decidir su futuro, dejando 900 heridos el domingo 1 de octubre.
Esta no es la actitud que un Estado democrático europeo del siglo XXI tendría que adoptar nunca frente a ciudadanos pacíficos que votan. Nunca. Por dignidad democrática, para vivir en un Estado del siglo XXI, tenemos que seguir nuestro propio camino.
5) El Tribunal Constitucional de España (TC) suspendió la convocatoria del referéndum de autodeterminación del 1 de octubre al día siguiente que fuera aprobada en el Parlamento de Catalunya basándose, en parte, en el principio constitucional de la indivisión de la soberanía popular, residente en el conjunto “del pueblo español”. El TC consideraba que el Parlamento catalán se estaba atribuyendo competencias que dividían la soberanía española, al decidir una parte sobre el todo.
Para modificar este principio sería necesaria una reforma de la Constitución que requeriría un consenso de 2/3 del Parlamento español (Congreso y Senado), la convocatoria de elecciones estatales, consenso de 2/3 del Parlamento de nuevo y la celebración de un referendum a todo el Estado español.
No obstante, el Presidente Puigdemont afirmó que la ley del referendum seguía vigente amparándose en el derecho internacional de la autodeterminación de los pueblos, derecho recogido en los Pactos Internacionales de los Derechos Humanos de 1966. Nació inicialmente para proteger a los pueblos bajo colonización y permitirles alcanzar la independencia. A partir de entonces, la doctrina al respecto ha ido variando y dando lugar a un amplio debate.
La verdad es que el derecho internacional no impone pasos predefinidos a un estado para que gane la independencia. Es esta una condicción más legada a la realidad de los hechos que a la teoría, más a la fuerza política y económica del aspirante a estado y sobretodo al apoyo de estados fuertes en el frente internacional. Así que, aunque Catalunya no tuviera el derecho de su lado, podría tener apoyos. El problema pero es que desde ahora la Unión Europea ha estado fuera del panorama. Así que parece que Catalunya no tenga ni el derecho, ni los apoyos políticos para afirmarse como estado.
Aquí hay muchas reflexiones, vayamos por partes.
La Constitución española afirma que “la soberanía nacional reside en el pueblo español”. A raíz, el TC, junto con el gobierno de Madrid, considera que la soberanía es indivisible, que todos los españoles tienen que decidir en bloque. Hay otros muchos juristas que discrepan. Consideran que esto significa que la soberanía reside en los ciudadanos individualmente, no en bloque. Por ejemplo, los estatutos de autonomía (las constituciones regionales) son votados en referéndum (¡sí, en referéndum!) solo por los habitantes del territorio en concreto, no por todos los españoles. Y es así porque la Constitución así lo establece.
Así pues, el debate jurídico es amplio e intenso. Lo que nosotros debemos preguntarnos, lo que un estudiante de Trento puede preguntarse, es: ¿tienen los ciudadanos de una democracia europea moderna la capacidad de decidir su futuro? Si la respuesta es que sí, cosa que espero, entonces aquí no hay debate.
Yo considero que sí, que los ciudadanos tenemos el derecho (incluso el deber) de decidir como queremos que sea nuestro futuro. Y si creemos en esta máxima de la democracia, podemos ver como el debate legalista no es más que una excusa de un gobierno inoperante (el de Madrid) que niega a la mayor que los catalanes podamos votar.
Llegados a este punto, el domingo 1 de octubre, los catalanes votamos. Y votamos masivamente a favor de la independencia, pese a la brutal represión policial. Es cierto que aplicar el resultado con un estado tan beligerante como el español va a ser una compleja operación de alta política. Todos los procesos de independencia a lo largo de la historia lo han sido. Ningún estado ha sido reconocido automáticamente por toda la comunidad internacional, esto requiere tiempo.
Pero esto no nos preocupa en exceso. Hace unas semanas casi nadie en el panorama internacional salía del guión diplomático de: “eso es un asunto interno que tienen que arreglar los catalanes y españoles”. Los últimos días han salido dos Primeros Ministros europeos (Bélgica y Eslovenia) apostando por una solución pactada, Merkel y Juncker hablaron por teléfono sobre el conflicto, decenas de organismos internacionales y premios Nobel se ofrecen como mediadores… Pero lo más importante es que los ciudadanos de muchos países se han interesado por lo que pasa aquí. Esta misma entrevista y otras publicaciones de “l’Universitario” son muestra de ello.
Esto es muy importante y nos da esperanza. Demuestra que la causa que defendemos es justa y que va a tener respaldos internacionales cuando llegue el momento.
6) En tu opinión, tienes / tenéis miedo que Rajoy pueda aplicar el art. 155 de la Constitución, que permitiría suspender la condición de autonomía catalana, convirtiéndola en una región rebelde en estado de sitio?
La cuestión es que, como dijo el Presidente Puigdemont, este artículo ya se ha aplicado de facto. Bajo el pretexto de parar el referéndum, el gobierno central controla qué leyes del Parlamento catalán se aprueban y cuales no (a través del politizado TC), ha intervenido las finanzas de la Generalitat y ha pasado a tener control directo de la policía catalana.
Por lo tanto, de facto ya se ha suspendido la autonomía de Catalunya. ¡Y todo por querer votar!
Ahora todas aquellas leyes del Parlamento catalán que no gustan al gobierno de Madrid (cuyo partido es el segundo más pequeño del Parlamento catalán) acaban recorridas y suspendidas por el TC. Sean sobre la independencia o sobre cuestiones ambientales, fiscales, sociales… No importa. Y con el TC controlado (órgano inapelable), se tiene control virtual sobre el Parlamento.
Además, la Generalitat tiene que justificar semanalmente todos los gastos que hace y Madrid hasta se guarda la potestad de dejar de enviar el dinero recaudado en Catalunya si cree que se destinará en algo que no debería gastarse.
Y también se ha pasado a controlar la policía catalana desde Madrid, dando ordenes de cerrar los colegios electorales el domingo, por ejemplo. Con lo cual, el autogobierno catalán queda, de nuevo, controlado de facto por Madrid.
En consecuencia, el artículo 155 CE ya se está aplicando por la puerta de atrás en Catalunya, sin garantía legal ni democrática alguna y con actitudes más propias de regímenes de otras latitudes.
7) Nosotros todos hemos visto la reacción de Madrid. En primera línea Rejoy pero también la Vicepresidenta española Saenz de Santamaría en sus declaraciones, rechazan en la manera más absoluta el hecho en sí mismo del referéndum, como si tampoco hubieran visto vuestros empujones a la independencia y en segundo lugar han defendido la violentísima reacción, desde los mismos definida <<proporcional>> , de la Guardia Civil contra los catalanes para impedir el ejercicio del derecho al voto de los catalanes. Como lees estos acontecimientos? Crees que una mediación, para la cual se ha declarado el mismo Puidgemont disponible, será posible?
No solo espero que sea posible, sino que la creo buena y necesaria. La solución a este conflicto tiene que ser la política y no la policía. Por eso el gobierno de Puigdemont ha aceptado dialogar con el de Rajoy, intentar encontrar una forma de trasladar la voluntad de la mayoría de catalanes (que Catalunya sea un Estado independiente) a la realidad.
Negar la violencia policial es de una irresponsabilidad titánica.
El resultado del referéndum del domingo pasado se va a (se tiene que) aplicar. El gobierno de España tiene que decidir si está con la democracia y el entendimiento o sigue en la vía de la violencia y la opresión.
8) Ultimísima pregunta: quieres describirnos como te has sentido ayer en el día del primer paso hasta la conquista de vuestra independencia?
El domingo fue un día de emociones muy intensas. Por un lado, nos queda el horror de las cargas policiales contra votantes pacíficos, algunos ancianos, el miedo que teníamos todos que, en cualquier momento la policía paramilitar española apareciera en nuestro colegio electoral e intentara robar las urnas llenas de votos.
Pero por otro lado queda el orgullo de ver que, pese a ese miedo, la gente no se apartó de los colegios electorales en todo el día, que salió en masa para hacerse oír. Ver la ilusión de la gente al votar, la firmeza con la que el domingo se defendió la democracia y los derechos humanos es la constatación de que este es un movimiento cívico y democrático que no se puede parar.
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