Cantiere Mondo: quale futuro ci aspetta?

In che tipo di mondo viviamo?

La domanda attanaglia da anni gli esperti di relazioni internazionali, e non solo; le elezioni americane dello scorso cinque novembre non sono altro che la più chiara epifania della critica giuntura storica che stiamo vivendo.

All’alba del 2025, tale quesito non trova ancora una risposta, anzi, la situazione, se possibile, risulta essere ancora più bizantina.

Quello che sicuramente con le elezioni negli USA è divenuto evidente ai più è che nel sistema internazionale, alla fine della guerra fredda, più che alla formazione di una Pangea liberale, abbiamo assistito a, nelle parole di Graham Allison, un momento unipolare, non un’era: il ritorno al potere di Donald Trump manifesta come oramai nemmeno più l’egemone di tale ordine segua o creda nella logica cooperativa che avrebbe dovuto governare il cd. “Liberal Rule Based International Order”, dato da molti come in ascesa al tramontare della guerra fredda.

Se fino a qualche anno fa il leitmotiv che guidava le relazioni internazionali poteva riassumersi in “cooperazione, cooperazione e cooperazione”, permettendo la globalizzazione e la susseguente erosione, quantomeno in certi contesti a pieno ricettivi di tale flusso, dei confini e della stessa sovranità nazionale, oggi pare evidente come il vento sia cambiato. Il tanto decantato diritto internazionale, che sarebbe dovuto essere faro di questa utopia kantiana, è divenuto poco più che carta straccia: lo stesso Occidente, che da sempre ne fu promotore e talvolta impositore, oggi lo ignora e lo ripudia, come dimostra l’indescrivibile e disumana tragedia che si consuma quotidianamente a Gaza, mettendo in evidenza come esso possa essere appuntato come l’ennesimo epifenomeno gerarchizzato agli interessi degli Stati.

Allo stesso modo i muri, fattuali e non, più che sgretolati vengono innalzati; ne è epitome la politica commerciale di Trump, basata sui dazi, volta a creare barriere piuttosto che costruire ponti.

La dialettica che attualmente governa il divenire del sistema internazionale è ormai basata sulla competizione, con il ritorno della geopolitica. 

Alla fine della guerra fredda, il vuoto di potere lasciato dall’URSS e la globalizzazione hanno dato adito a una redistribuzione di potere che ha visto emergere innumerevoli attori relegati fino ad allora ai margini periferici del sistema internazionale. Tale redistribuzione di potere in molti di questi casi è sfuggita all’ombrello dell’hyperpuissance americana, con l’emersione di molti attori, in rimembranza di vecchi fasti imperiali o dato il loro passato di colonizzati, che hanno imbracciato istanze revisioniste, al posto di accogliere trionfalmente i valori occidentali.

Tali Stati hanno sfruttato alcune delle leve del sistema a stelle e strisce, senza mai pienamente avvallarlo, per incrementare le proprie capacità materiali ed ideazionali; esempio più evidente di ciò è la Cina, campionessa della globalizzazione, guadagnatasi non solo lo status di superpotenza, ma anche quello di potenza emergente in grado di sfidare l’egemone.

Siamo di fronte a una giuntura critica, che vede nuovamente il mondo ripolarizzarsi lungo la linea democrazia/autoritarismi, proprio come durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra Fredda, con i secondi che vedono articolare i propri interessi nella disomogenea cozzaglia dei BRICS+.

Da vedere se la talassocrazia americana reggerà botta o se il castello occidentale, oggi in forte crisi, imploderà con tutte le sue contraddizioni.

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