SPINOZA E LA FILOSOFIA DELLA BEATITUDINE

Casper David Friedrich, Le bianche scogliere di Rügen, Olio su tela, 1818

Il pensiero spinoziano tutto, così come specificamente la sua opera maggiore, l’Etica dimostrata con metodo geometrico, sarà dedicata a Dio, l’uomo e la felicità. Se si può trovare una parola chiave per riassumere l’Etica, questa sarebbe senza ombra di dubbio “Dio”, perché la sua filosofia da lì trae le mosse e lì cerca di ritornare alla fine. Ed è proprio su di Dio che ci concentreremo ora.

Dio, era diventanto il nome di un vero e proprio problema nel Seicento. I più svariati fattori storici conducevano tutti in quella direzione: l’inimmaginabile quantità di fedi religiose nate dalla riforma protestante, avevano incrinato senza mezzi termini i già precari rapporti tra le divinità, che molto poco ormai si armonizzavano tra loro; un primo processo di secolarizzazione colpiva la vita pubblica, che il processo di scientificizzazione aveva asservito all’emergente tecnica piuttosto che a magiche pratiche religiose; l’emergere della scienza moderna come lume che getta luce sui misteri dell’umanità, iniziava a rendere indifendibili alcuni racconti consacrati dalle sacre scritture. Ancora nel Seicento, nessuno probabilmente, metteva in discussione l’esistenza di Dio. Tuttavia, l’indagine scientifica sulla natura, iniziava a districare giorno dopo giorno sempre più misteri del mondo, risolvendoli in serie di cause efficienti: i miracoli sono ormai tacciati di ignoranza e il mondo e l’intero cosmo vengono congiunti alla grande metafora dell’universo-macchina. Se l’esistenza di Dio in sé stessa non faceva problema, emerge però con forza la domanda su quale fosse il suo posto e la sua funzione nell’universo, dato che, poco a poco e lentamente, la scienza lo stava desautorando dal suo ruolo di creatore sotto i colpi incessanti della scienza, che spiegando la natura in termini meccanici, annientava di fatto il dio provvidenzialista che per tanti secoli ha imperato. Spinoza, con la lungimiranza e la genialità che lo contraddistinguevano, già negli anni 50 del Seicento – con un sorprendente anticipo –, inizia a costruire mattone su mattone la sua entusiasmante soluzione all’apparente insanabile conflitto tra scienza e religione, o, se vogliamo, tra natura e Dio.

Per dirla senza mezzi termini o misure, tra natura e Dio non ci sarà mai conflitto né bisogno di ricongiunzione, per il semplice motivo che Dio è la natura. Sulla base di questa intuizione, Spinoza costruisce un’intera filosofia, che somiglia nella forma ad un’antichissima forma di religione dimenticata, il panteismo, anche se credo, che far coincidere – nel senso forte del termine – la filosofia spinoziana con il panteismo non sia affatto corretto. Tuttavia, le se non altro svariate somiglianze, ci faranno andare bene questa definizione, che come tutte le definizioni, sono filtrate di parzialità ed inadattezza. La caratteristica forse più importante della natura in Spinoza, che non va concepita come la natura intesa da noi in modo generico, è che in fondo è comprensibile. La filosofia spinoziana, è una dichiarazione profonda di fiducia, che nel mondo non ci sia niente di misterioro: niente imperscrutabili divinità che prendono decisioni arbitrarie dalla cima della loro nuvoletta; niente fenomeni non sottoponibili all’indagine della ragione. Insomma tutto può essere conosciuto, anche se necessariamente è impossibile conoscere ogni cosa.

Il Dio di Spinoza, ha in comune con tutte le concezioni del divino, che egli sia la causa di tutte le cose. Però, Dio è causa immanente di tutte le cose, e non transitiva. Per essere chiaro, una causa transitiva è collocata all’esterno dei suoi effetti: un ottimo esempio è il Dio orologiaio di Leibniz, che predispone tutti i vari ingranaggi delle tantissime monadi – che sono una sorta di “orologietto”–, sulla stessa frequenza all’interno di un meccanismo di armonia prestabilita; una causa immanente, invece, è inscindibilmente insieme a ciò di cui è causa: per esempio, la natura di un cerchio, è la causa immanente della sua rotondità. Il cerchio non è rotondo perché ha una natura esterna che lo ha concepito in quel modo: un cerchio è rotondo per sua stessa natura. Un altro esempio: la valle che forma una montagna è parte integrante della montagna stessa, al punto che se non ci fosse la valle che la forma, la montagna non potrebbe esistere, e quindi possiamo dire che la valle è causa immanente della “montagnosità” della montagna perché ne fa parte, così come fa parte della natura del cerchio la sua rotondità.

Spinoza, inoltre, equipara il suo Dio-Natura ad una sostanza. Per farla breve, tutto quello che esiste – le piante, gli alberi, i sassi, i pianeti, i sistemi solari – deriva direttamente da Dio, ed esiste come espressione della natura infinita della sostanza – detti modi –. I modi di Dio, sono appunto le modalità/le maniere in cui la sostanza manifesta la sua essenza eterna sotto degli aspetti particolari, che a loro volta sono e si muovono in Dio. Tutto ciò che esiste, è in una certa misura Dio: è l’essere stesso ad essere la nuova divinità. Non stranisce affatto, che il filosofo e poeta tedesco Novalis avevesse definito Spinoza “l’uomo ebbro di Dio”, perché per il filosofo olandese, fondamentalmente, tutto è Dio, o, per essere più precisi, Dio è la natura, e la natura è divina. Ci sono tantissime implicazioni di una filosofia che, per la prima volta, dopo quelle pre-socratiche, ripone la sua fiducia in un Dio profondamente alterato e infinitamente più affascinante di quello della tradizione occidentale, che difatto non è una persona, ma coincide con l’essenza. Però, noi ora ne richiameremo brevemente una soltanto che è senz’altro di primaria importanza, tenendo sempre in mente che quella di Spinoza è un’opera che per quanto riponga nella metafisica l’aspetto fondativo, non lo fa per mania di astrazione, ma perché solo conoscendo il mondo in cui si vive e le sue leggi, si può capire realmente come esistere autenticamente. Nel mondo di Spinoza, tutto quello che accade, accade necessariamente. Questa è una conseguenza logicissima dell’aver concepito Dio ed il mondo nello stesso rapporto di quello tra un’essenza e le sue proprietà. Dio non ha la possibilità, di alzarsi un giorno e decidere di cambiare quello che ha fatto, più di quanto un cerchio possa decidere di essere quadrato, o una montagna possa rinunciare alle valli che la formano. Dice Spinoza: «Le cose non hanno potuto essere prodotte da Dio in nessun’altra maniera né in nessun altro ordine se non nella maniera e nell’ordine in cui sono state prodotte» (Baruch Spinoza, Etica, p. 75, ed. Bompiani, 2007). La sostanza, è causa di sé stessa ed è nella mente di Spinoza la perfezione per definizione, dunque, per conseguenza, non potrebbe essere altro da ciò che è. Dire che la sostanza possa volere un cambiamento, significherebbe ammettere che non è soddisfatta di ciò che è, il che impone che vada alla ricerca di qualcosa che non le appartiene, contraddicendo la sua stessa definizione: «Giacché, se Dio agisce per un fine, egli allora necessariamente appetisce qualche cosa che gli manca»(Ibi p. 93).

Non per questo la sostanza non è libera: anzi, la sostanza è assolutamente libera proprio per questo motivo. Il concetto di libertà proposto da Spinoza è ampiamente ridefinito: non è libero ciò che ha la possibilità di agire arbitrariamente nel mondo, ma è libero ciò che è capace di agire in accordo con la sua natura più profonda. Sembrerebbe forse un paradosso, ma non lo è. La sostanza, è necessaria, proprio perché è assolutamente libera: ella, che incarna la perfezione, la libertà e l’infinità eterna ed unica, non potrebbe non essere come è perché la sua libertà deve coincidere con la sua necessità. Tutto ciò che è perfetto è necessario nella mente di Spinoza: Dio che agisce esclusivamente secondo la necessità della sua natura, è assolutamente libero.

L’esperienza di libertà umana intesa nell’accezione classica, è per Spinoza tutto il contrario di qualcosa di virtuoso, ma è il vizio per eccellenza. Infatti si è liberi quando si è consapevoli dei propri desideri ma inconsapevoli delle cause che li determinano, e quindi ci si convince che quei desideri siano il frutto del proprio arbitrario, anziché di cause specifiche che determinano ad essere in un modo piuttosto che in un altro. In uno dei brani più noti dell’Etica, Spinoza dice che anche una pietra che viene lanciata in aria, se per assurdo prendesse coscienza nel mentre è in volo, si convincerebbe di essere libera e di stare volando liberamente. L’uomo, non può quindi essere libero in questa accezione perché vive in un mondo infinitamente più grande di lui dal quale in un modo o nell’altro è sempre determinato. Per vivere bene, si tratta di capire il come.

Felicità e libertà, gli obiettivi dell’esistenza umana agli occhi di Spinoza, giungono a noi quando agiamo in conformità con la nostra natura più profonda, e non quando ci avvaliamo di un fantomatico libero arbitrio di per sé infondato e ridicolo. La vera battaglia umana, non è quella di ricercare una libertà come svincolamento dal mondo, ma è quella di conoscere il vero e proprio ordine eterno della realtà, e riuscire a contestualizzare l’esistenza umana in essa nel modo più proficuo possibile. Tuttavia, purtroppo, noi umani troppo spesso sviamo da noi stessi, e raramente abbiamo la possibilità di agire in conofrmità con la natura nostra più profonda, dal momento che nell’ignoranza di noi stessi e del mondo nel quale viviamo, volentieri ci sottomettiamo alla feroce guida di forze che ci sottomettono e ci estraniano da noi stessi. Gli esseri umani sono esposti ad un mare in tempesta, il mare delle emozioni: speranza, paura, gioia, dolore, amore, odio, disperazione, la cui unica destinazione è l’infelicità finale, dato che per quanto gli affetti per Spinoza sono qualcosa di profondamente naturale, non sempre riescono ad essere indirizzati verso un’obiettivo che veramente orienterebbe l’esistenza verso il meglio: «La maggior parte di quelli che hanno scritto sugli affetti e sulla maniera di vivere degli uomini sembra che trattino non di cose naturali che seguono le comuni leggi della natura, ma di cose che sono fuori della natura. Gli affetti, dunque, dell’odio, dell’ira, dell’invidia, ecc., considerati in sé, seguono dalla medesima necessità e dalla medesima virtù della natura da cui seguono le altre cose singole: e quindi riconoscono certe cause medianti le quali sono intese, e hanno certe proprietà altrettanto degne della nostra conoscenza quanto le proprietà did qualunque altra cosa di cui la sola contemplazione basta a darci diletto» (Ibi pp. 233-235). Le passioni, infatti, sono per Spinoza degli affetti collegati a delle idee inadeguate che ne sono causa. I teologi, che promuovono la fede in un Dio spaventoso, che giudica, punisce e si fa temere suscitando passioni sfrenate, al fine di ottenere ubbidienza dalle masse superstiziose, per Spinoza ne è un perfetto esempio. Un popolo che vive sotto il Dio indifferente e silenzioso di Spinoza invece, facilmente bandirà l’oppressione tirannica.

Si tratta quindi di prendere le emozioni e indirizzandarle in modo tale che possano veramente orientare il conatus umano. Spinoza, descritto da tutti i manuali scolastici come un razionalista pre-illunminista, in realtà incentra tutta una teoria dell’azione sullo studio dei sentimenti. Per orientare l’azione, è si fondamentale la ragione che ci permette di comprendere ciò che siamo e in che direzione la nostra esistenza deve inclinarsi, tuttavia, per fare in modo tale che il vero utile sia riconosciuto effettivamente come un valore e abbia perciò un’efficacia sull’azione, bisogna fare affidamento sulla ricaduta emotiva che la vera conoscenza comporta. Il conatus, che è l’impulso alla base di qualsiasi forma di vita, animata o meno che sia, è a tutti gli effetti il desiderio incontrovertibile di perdurare nella propria esistenza. Quello che Spinoza vuole dirci, è che prima di essere degli animali razionali, siamo degli animali che provano degli affetti, ovvero delle emozioni, che saranno di gioia se un’azione o un’evento aumenta la nostra volontà di potenza, o di tristezza se la diminuisce. È il desiderio egocentrico l’essenza dell’uomo: tutto il resto sono giri di parole vuote; tutto il resto è il tentativo malconcio e mai affidabile di costruire una natura dell’uomo alternativa, perché quella vera, secondo Spinoza, non piace a tutte le teorie morali del passato, che fanno del volontarismo stoico lo snodo fondamentale. Ma, per Spinoza, le passioni non si possono estirpare, si possono al massimo ricollocare nel giusto posto servendosi della ragione al fine di ordine nella vita psichica dell’uomo. Questo è il grande tentativo che qui si sta provando a descrivere.

Non c’è assolutamente nulla di sbagliato o di cattivo nelle emozioni, né nell’insaziabile e egoistico desiderio chiamato conatus. Anzi, per Spinoza il piacere derivante da un’emozione gioiosa, coincidente con un potenziamento del conatus, è la fonte di ogni bene. Solo la tetra superstizione religiosa vieta di essere felici e gioiosi, quando invece la natura umana è quella di essere felici e beati. Il problema delle emozioni, è che come anticipato poc’anzi, difficilmente sono orientate nella direzione del vero bene: a causa dell’ignoranza umana si temono spesso cose che non esistono e che non ci sono; ci si lascia traviare dall’orgoglio e dalle ricchezze. Generalmente, le emozioni sono basate su sbagliate concezioni delle cose, e per questo sono passive. La ragione può contribuire senz’altro nel percorso terapeutico, mettendo ordine tra le emozioni, in modo tale da comprenderne le cause per poi guidarle sotto il riferimento dell’interesse personale. Tuttavia, le passioni possono essere dominate solo da un fuoco contrario: non basta la conoscenza per opporvici, serve un affetto contrario e più potente. Cioè, per raggiungere la felicità umana, non si tratta di liberarsi dalle passioni come tutte le filosofie volontaristiche tentano di fare; bensì, è necessario circondarsi di affetti veri che riempiano la vita intellettuale e psichica, che soppiantino quelli passati e dannosi. La ragione, deve pertanto aiutarci a raggiungere la conoscenza di quelle cose la cui comprensione risvegli nell’animo umano il sentimento di beatitudine e di pace interiore che solo quegli affetti possono fare. Spinoza lo chiama amore intellettuale di Dio. Come raggiungere l’amore intellettuale di Dio? Una domanda che vale tutto agli occhi di Spinoza e che solo pochissimi saranno in grado di raggiungere. Certamente è una di quelle domande che per avere risposta si tratterebbe di tentare arduamente di ripercorrere l’itinerario lungamente proposto nell’Etica. Quello che si può dire su questo amore, è che Spinoza per esso intende l’unione della mente umana con le idee eterne. Spinoza appartiene a quella scuola di filosofi di orientamento platonizzante, che hanno ritenuto che la conoscenza del vero sia possibile perché la mente umana può accedere alla dimensione eterna: alla verità nella forma nella quale si trova in Dio. E quando questo accesso si verifica, si aprono le porte di quell’amore che Dio prova verso la sua stessa perfezione, che per partecipazione si ottiene a propria volta. Si tratta di un’amore che non ha nulla a che fare con il sentimento che noi conosciamo: non ha niente a che vedere con un’amore emotivo o passionale, ma è piuttosto un amore razionale ed intellettuale, che consegue dalla presa di coscienza dell’attingimento del livello eterno della realtà. È quell’amore che si percepisce quando si sente di aver toccato l’infinito nel tempo. In definitiva, si tratta di un’unione tra individuo e cosmo, tra la libertà e la necessità, tra la mente e li corpo, tra la felicità e la virtù.

Quando si raggiunge la lungamente attesa unione con le idee eterne, si scopre una certa e particolare forma di immortalità. Una parte della mente umana, quella che ha con-partecipato delle idee eterne, non può ormai morire insieme al corpo. Purtroppo o per fortuna, l’immortalità qui offerta, non ha niente in comune con quel genere di immortalità antropocentrica e superstiziosa: non è che quei pochi illuminati che hanno raggiunto Dio avranno in premio la possibilità di portare con loro ricordi personali di quel che si è stati nella vita, nel viaggio eterno nelle idee eterne. Il premio qui è la virtù stessa, cioè l’avere avuto simili stupendi pensieri: «La beatitudine non è il premio della virtù, ma la virtù stessa»(Ibi p. 649). Le idee umane, una volta raggiunto quelle eterne, non se ne staccheranno più, e anche quando il corpo morirà e l’identità individuale di quella persona verrà sciolta, e quindi essa cesserà di esistere come ente pensante, le sue idee rimarranno inscindibili da quelle eterne. È questa la forma di immortalità che Spinoza ha in mente. Ciò non significa che la mente umana non possa esperire l’eternità in modo senziente, dato che coloro che raggiungono le idee eterne potranno godere dell’eternità in esse sottesa fintantochè vivranno come enti composti di corpo e mente. Una volta morti, continueranno ad esistere, anche se non ne saranno più consapevoli. Certo, Spinoza sa che è un viaggio lungo e difficile, ma vale la pena di fare un tentativo:

Se, ora, la via che ho mostrato condurre a questa meta, sembra difficilissima, tuttavia essa può essere trovata. E senza dubbio dev’essere difficile cià che si trova sì raramente. Come mai, infatti, potrebbe accadere, se la salvezza fosse a portata di mano, e si potesse trovare senza grande fatica, che essa fosse trascurata quasi da tutti? Ma tutte le cose sublimi sono tanto difficili quanto rare» (Ibi p. 651). Con queste parole si chiude il capolavoro di colui che ha avuto la sensibilità di riuscire a vedere Dio e l’eternità in ogni cosa, anche in un granello di sabbia.

Spinoza, da sempre considerato un’eremita solitario, ha dedicato l’intera sua vita a scoprire una filosofia della condotta umana, per salvare dalla morte più persone possibili lo avessero ascoltato. L’Etica, è una filosofia della vita, che ha come fine precicuo quello di vivere bene, o per dirla con Spinoza, di raggiungere la beatitudine.

Bibliografia:

Baruch Spinoza, Etica, ed. Bompiani, 2007.

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