L’opinione – Cari studenti Unitn, alla fine non vi va così male

In questi giorni mi è capitato di seguire, un po’ di sfuggita, la questione riguardante l’imminente apertura della nuova Biblioteca BUC di Trento (questione che ha causato non poche insoddisfazioni tra gli studenti della provincia trentina) e i dati riportati nell’articolo de l’Universitario  rispecchiano un lavoro di ricerca curato ed interessante.
Da circa due mesi vivo a Padova, perché è qui che ho scelto di continuare i miei studio dopo essermi laureata in triennale all’Unitn. Da persona abbastanza coinvolta nei fatti, vorrei quindi dire la mia circa il problema “posti in aula studio”.
Nei tre anni che ho trascorso a Trento, sono stata un’assidua frequentatrice di aule studio: Cial, lettere, giurisprudenza, sociologia, economia, Biblioteca centrale e persino il polo in collina di Povo, per non contare gli innumerevoli momenti trascorsi in aula-studio a Rovereto e nella biblioteca di Scienze Cognitive. Insomma, ne ho girate molte e per un periodo sono stata anche una di quelli che la domenica pomeriggio alle 13 e 40 era già fuori casa per andare a fare la fila al Cial nella speranza di trovare posto, con il sole e con la pioggia, vedendo addirittura persone spintonarsi e tirarsi quaderni pur di accaparrarsi un buco su un pezzo di banco (e meno male che vivevo a 2 minuti da via Verdi). Con il trasferimento a Padova le cose sono un po’ cambiate. Vuoi per il disorientamento dei primi mesi, vuoi per le distanze amplificate, qui non è così facile poter scegliere in base alle proprie preferenze il luogo dove andare a studiare al di là di casa propria. Capita quindi che i circa 170 posti dell’unica biblioteca nel polo di Psicologia, il martedì pomeriggio, siano occupati dalle 13 alle 15 ininterrottamente. E non basta attraversare la strada per trovare un buco nell’aula-studio di un ex fabbrica, perché più che in un’aula studio, ci si ritroverebbe in un padiglione freddo e rumoroso in cui o ci si munisce di tappi e cuffiette, oppure è palesemente impossibile anche solo provare a concentrarsi sul libro. Molte biblioteche, poi, hanno orari proibitivi, e diventa infattibile usufruirne se le tue lezioni finiscono alle 18 e alle 17 i bibliotecari serrano i battenti. Inoltre, per poter raggiungere le poche aule-studio aperte in orari decenti anche nei giorni festivi, non puoi decidere di muoverti all’ultimo minuto: ci vuole almeno mezz’ora per arrivare nei punti strategici della città (a meno che si abbia la fortuna di abitare davanti a dei dipartimenti) e la bici spesso non aiuta, soprattutto se è inverno e, o ti intimano di scendere ogni tre per due se per caso passi sotto ai portici (nella migliore delle ipotesi), oppure ti investono per strada. Anche ammesso che si trovi un posto, lo studente medio patavino deve comunque fare i conti con: freddo, casino, mancanza di prese elettriche, illuminazione per orbi, ancora freddo ed umidità o, dulcis in fundo, il tutto esaurito.
Quando mi capitava di uscire a Trento, che fossero le 9 di mattina o le 3 di pomeriggio, per cercare un posto dove studiare alternativo alla mia stanza (dove stavo già benissimo, ma dopo un po’ avevo nettamente bisogno di cambiare aria), poteva certo succedere che nelle ore di punta anche io trovassi tutto pieno, ma sapevo che in 5 minuti sarei riuscita a scendere dalla tazza di lettere, arrivare a giuri, perdermi, uscire di nuovo, tentare il Cial e comunque strappare un posto in una delle aule studio del circondario. E sicuramente sarebbe stato un posto abbastanza caldo (a parte al Cial a luglio. Al Cial a luglio fa veramente un freddo boia). O quanto meno ci sarebbero state delle prese. E ci sarebbe stata una luce decente per poter studiare. E quel giusto silenzio per potersi concentrare senza aver paura di poter starnutire.
Ora mi rendo conto che, per i nuovi studenti di Trento, ma soprattutto per i veterani, lo spostamento del caro amato Cial possa essere un evento quanto mai traumatico e snervante. Anche io la penserei allo stesso modo se fossi ancora iscritta all’Unitn, perché per molti la nuova sede sarà estremamente scomoda da raggiungere (soprattutto nelle pause tra lezioni) e non sarà poi così desiderabile passare da via Rosmini o via Filzi a mezzanotte le sere in cui si studia fino a chiusura.

Però poi penso anche che nonostante questa relativa distanza (che per uno studente di Padova sarebbe veramente insignificante), una volta arrivati alla nuova BUC gli studenti troveranno tavoli di vetro, prese, luci, libri, temperatura conforme a quella esterna e quant’altro, nel perfetto stile del “ci riesce tutto, o quasi” trentino. E per 16’056 iscritti, una media di circa 1000 posti a sedere diluiti, più o meno, nei 7 giorni della settimana, non sia poi così male, soprattutto se confrontata con i numeri di Padova che peccano, in proporzione, di molte meno sedie in aula studio, ma soprattutto di servizi generalmente scadenti.
Si scenderebbe in una questione troppo politica se si guardasse anche ai finanziamenti che Trento (provincia autonoma) riceve annualmente per supportare l’erogazione di servizi ai propri cittadini e studenti (finanziamenti che gli atenei del Veneto non possono vantare).

Mi piacerebbe quindi che, al di là delle polemiche più o meno sentite che in questi giorni impazzano su spotted e non solo, si guardasse anche oltre una temporanea situazione di precarietà e si riuscisse, un domani, ad esportare il modello universitario “Unitn” anche in altre sedi, perché è davvero un modello efficace e meritevole di essere diffuso. Ve lo dice una vecchia studentessa Unitn che adesso baratterebbe quasi tutte le presunte aule-studio del suo nuovo ateneo per un solo posto in tazza, o un solo servizio allo studio, come quelli che solo Trento sa garantire.

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