Aaron Swartz, il ragazzo prodigio morto per una rete più libera

Aaron Swartz moriva a 26 anni l’11 gennaio di quattro anni fa, suicidandosi nel suo appartamento di New York. È da molti descritto come il Robin Hood della Rete, ma questa definizione banalizza gli enormi sforzi di questo ragazzo prodigio per rendere l’internet più libero e la conoscenza più accessibile a tutti. E proprio a causa di questi sforzi fu portato sotto processo nel 2011, per frode informatica; dopo l’inizio delle indagini, Aaron, che rischiava fino a 35 anni di carcere e un milione di dollari di multa, non fu più lo stesso, cadde in una forte depressione ed in un processo di logoramento che lo portò fino al suicidio, pochi mesi prima dell’inizio del processo.

Ma perché Aaron Swartz è così famoso? Aaron era un bambino prodigio. Lo si vedeva, non ancora adolescente, istruire manager della Silicon Valley e studiosi sui progressi e le opportunità della rete, sulle sue nuove creazioni. Si, perché tanto di quello che oggi diamo per scontato in rete e probabilmente nemmeno sappiamo come funzioni, ha avuto un contributo decisivo da parte di Aaron Swartz. A soli 14 anni ha contribuito a creare uno dei tasselli fondamentali del web 2.0, lo standard feed Rss, uno dei formati più usati per la distribuzione di contenuti su Internet. È stato poi co-fondatore di Reddit, un portale a metà fra sito internet e social network, che l’anno scorso faceva più di 200 milioni di visitatori mensili ed è descritto come la versione democratica di Facebook, senza algoritmi ed effetti bolla. Fece poi parte dell’Ethics Center Lab dell’Harvard University, dove lavorando insieme a Lawrence Lessig, avvocato e attivista, collaborò allo sviluppo dei Creative Commons, un tipo di licenze per ampliare la gamma di opere disponibili alla condivisione e all’utilizzo pubblico in maniera legale, fondate proprio da Lessig.

Aaron aveva cioè la strada spianata verso una gloriosa e remunerata carriera nella Silicon Valley, ma scelse di rinunciarvi per continuare a dedicarsi alle idee e agli ideali che lo avevano guidato fino allora: libero accesso alla conoscenza, lotta ai tentativi (spesso riusciti) di privatizzare e monetizzare il pubblico dominio, creazione di movimenti sociali e politici dal basso usando gli strumenti della Rete. Famoso è il suo “Guerrilla Open Access Manifesto” (qui tradotto in italiano), che iniziava con queste parole: “L’informazione è potere. Ma come con ogni tipo di potere, ci sono quelli che se ne vogliono impadronire. L’intero patrimonio scientifico e culturale, pubblicato nel corso dei secoli in libri e riviste, è sempre più digitalizzato e tenuto sotto chiave da una manciata di società private”. E sono, secondo molti, proprio le motivazioni politiche del manifesto e delle sue battaglie ad aver attirato su di lui le attenzioni delle autorità e poi le accuse di essere un cyber-criminale. Battaglie che erano infatti spesso vinte, come quella contro il Sopa, una pericolosa legge sulla pirateria e il diritto d’autore che avrebbe avuto pesanti ripercussioni sulla libertà d’informazione in Rete. Insieme a DemandProgress, il gruppo di attivismo online con cui si è sempre battuto contro ogni forma di controllo di Internet, vi si oppose e ne impedì l’approvazione.

La libertà di informazione e la sua visione della cultura come cosa pubblica gli portarono poi i guai con la giustizia. Nel 2008 scaricò e pubblicò circa il 20 per cento del database PACER della corte federale degli Stati Uniti. Per questo venne messo sotto inchiesta da parte dell’FBI, ma il caso fu chiuso due mesi dopo senza condanna. Pochi anni dopo, nel luglio 2011, fu accusato dal procuratore dello stato del Massachusetts, per aver ottenuto informazioni da un computer protetto del MIT, dove lavorava, e per averlo danneggiato: Aaron avrebbe nascosto un computer collegato alla rete del MIT scaricando 4.800.000 di articoli e documenti da JSTOR, una biblioteca digitale, e mettendo i documenti su una rete di condivisione, per renderli accessibili a chiunque. Da questa accusa, a cui lui disse seguirono intimidazioni e pedinamenti da parte delle autorità statunitensi, iniziò il calvario che lo portò al suicidio.

Sulla storia di Aaron è stato fatto un bellissimo documentario, “The Internet’s Own Boy, disponibile liberamente online in Creative Commons, come avrebbe voluto lui, che ripercorre tutta la sua vita, dall’infanzia ai processi, con immagini private, testimonianze di amici e familiari e video dei suoi discorsi. Oggi che i cattivi auspici di Aaron, una manciata di colossi privati che controllano il web ed il Governo che si intromette nella privacy dei cittadini, si sono purtroppo avverati, comprendere la necessità di portare avanti le sue idee è più che mai necessario. Perché gli Snowden, i Manning o i futuri whistleblowers non diventino come Aaron, “il ragazzo della Rete che il vecchio mondo ha ucciso”.

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