“Small Talks”: istruzioni per l’uso

“Small Talks”… Perché? Perché è utile, perché è un’ arte, perché non si sa quando può rendersi necessaria o, semplicemente, perché è un ottimo strumento per imparare a comunicare. Chi non si è mai trovato faccia a faccia con quel compagno di corso o lontano parente o con cui non si sa davvero di che parlare? A chi non è mai capitato di non saper avviare una conversazione senza sembrare degli imbranati totali? Qualunque motivo ci sia, sapersi destreggiare con le Small Talks, le famose “quattrochiacchiere”, non può che aiutare. In molti impieghi, saper tenere una conversazione con il cliente è considerato un importante elemento di distinzione, se non la chiave di volta del proprio successo lavorativo.

Ma come s’impara l’arte delle Small Talks? Esiste un modo efficace per rompere il ghiaccio sempre e comunque? 

Bisogna tenere a mente che le Small Talks costituiscono una ben definita tipologia di discorso che, seppur priva di una vera e propria funzione linguistica, riveste un significativo ruolo sociale: creare legami tra personedefinirne le relative distanze. Tali caratteristiche rendono inevitabile il cambiare delle Small Talks a seconda del luogo e del tempo in cui si è. Ci si può aspettare ad esempio che il salario del collega di lavoro sia un argomento da evitare accuratamente in qualunque parte del mondo, quando in Cina è in realtà consigliabile avviare una conversazione sulle differenze di stipendio più di quanto lo sia sulla politica – argomento considerato alquanto spinoso. 

Quest’arbitrarietà linguistica rende di conseguenza impossibile prepararsi la “chiacchierata pronta all’uso”. Ma non per questo bisogna rassegnarsi a lunghi silenzi imbarazzanti perché, al contrario di quanto ci si possa aspettare, le SmallTalks possono essere persino piacevoli con i giusti accorgimenti.

Le premesse: cosa sapere?

Prima delle “istruzioni per l’uso” sono necessarie alcune premesse di metodo.

  1. Non temere di “buttarsi”. Piuttosto scontato come consiglio, ma vale la pena enfatizzarlo: nel DNA umano non c’è scritto come interagire con i nostri simili; si impara provando, e inevitabilmente, anche sbagliando. 
  2. Rilassarsi. È comprensibile non sentirsi adeguati, basta pensare che dall’altra parte c’è una persona altrettanto in difficoltà e la situazione apparirà molto più tranquilla.
  3. Assumere l’iniziativa. Proporre argomenti di discussione, fare domande e non aspettare che siano gli altri a fare il primo passo. Quasi sempre, questo aspetto più intraprendente della conversazione verrà notato ed apprezzato dal vostro interlocutore.

Le basi: come fare cosa?

  1. Linguaggio non-verbale: uno studio condotto nel 1972 da Albert Mehrabian (n.d.r.psicologo statunitense) ha dimostrato che ciò che viene percepito in un messaggio vocale è perlopiù (55%) la componente non-verbale, ovvero il linguaggio corporeo: è il caso di dire che un gesto fa più di mille parole. Per trasmettere interesse all’interlocutore è quindi importante rivolgere gesti, spalle e sguardo nella sua direzione, annuire, sorridere e non farsi distrarre (o almeno non renderlo troppo evidente) da quel che l’interlocutore dice.
  2. Il nome. Passiamo ad una nota dolente per molti: da un punto di vista comunicativo, non è il massimo chiamare quella persona “grandissimo!” o “campione!”. Molto meglio ammettere fin da subito di non sapere come si chiama: imparare ed usare il nome del proprio interlocutore è la più importante tra le regole di conversazione, poiché aiuta a creare intimità ed accentua l’interesse nei suoi confronti.
  3. Domande aperteFrequenti l’Università? che Università frequenti? : la seconda domanda offre all’interlocutore molto più “spazio di manovra” nella gestione delle risposte. Diventa inoltre più facile poter aggiungere informazioni, domande personali e portare avanti la conversazione.
  4. Contestopersona. Sono da tenere d’occhio con particolare cura, perché possono sempre dare spunti sugli argomenti da usare. Ad un compagno di corso si può chiedere ad esempio l’opinione su un corso in comune, ad un parente con addosso la maglia dei Queen, da quanto tempo segue la band.
  5. Ascolto. Lo psicologo Carl Rogers disse che “il più grande blocco in una conversazione è l’incapacità di qualcuno di ascoltare l’altro in modo intelligente, abile e comprensivo”. Questo perché, indipendentemente dalle Small Talks, un uomo che comunica è un uomo che cerca una connessione con l’interlocutore attraverso la convalidazione. Per questo è importante ascoltare in modo attivo e coinvolto l’interlocutore (attraverso le domande o il linguaggio non-verbale), evitando di farlo sentire non gradito o minimizzato.

Saper rompere il ghiaccio non è un lavoro da poco, ci vuole sempre un po’ di temerarietà e tanto spirito d’iniziativa. Ma non per questo suo aspetto così intraprendente, bisogna limitare e confondere le Small Talk con un semplice “dire ciò che ti passa per la testa”: comunicare richiede l’affinamento di tutti i sensi, primi tra tutti la vista e l’ascolto, così da poter scambiare quattro parole anche con il più difficile degli interlocutori.

BIBLIOGRAFIA

https://en.wikipedia.org/wiki/Small_talk

“The Fine Art of Small Talk”, Debra Fine

https://www.booksblog.it/post/132499/censura-in-cina-gli-argomenti-tabu

https://it.wikipedia.org/wiki/Comunicazione_non_verbale

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