Alla ricerca di un’identità. Moda e subculture negli anni Ottanta

Gli anni Ottanta furono un decennio di importanti cambiamenti politici, sociali e culturali. Le grandi ideologie del XX secolo – che avevano diviso il mondo in due schieramenti contrapposti – vennero progressivamente abbandonate, lasciando il posto a uno stile di vita più leggero e disimpegnato, orientato al raggiungimento della felicità attraverso l’affermazione personale.

Tale mutamento di prospettiva è evidente nel caso italiano: infatti, dopo gli anni di piombo si diffuse un forte senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni, ritenute incapaci di difendere i cittadini dal terrorismo di matrice extraparlamentare; inoltre, l’instabilità dei governi separò ulteriormente la popolazione italiana dalla politica. Le generazioni adulte, deluse e insoddisfatte, cominciarono ad allontanarsi da quei valori che sentivano propri e in cui avevano creduto fino ad allora. I più giovani, invece, sperimentavano una profonda insofferenza, favorita dai recenti sviluppi della politica nazionale e da un cambiamento culturale di portata globale.

In un mondo dominato dal consumo e dal bisogno di autorealizzarsi, abitato da individui sedotti dalla ricchezza e sempre più egoisti, le opportunità per dedicarsi al bene comune erano minime. Di conseguenza, le nuove generazioni non si riconoscevano in nessun partito e preferivano costruire la propria identità basandosi sull’abbigliamento o sulla musica ascoltata. Così, nel corso degli anni Ottanta sorsero numerose subculture giovanili, differenti dal punto di vista dello stile, ma accomunate dall’apoliticità e dal bisogno – quasi vitale – di apparire.

Le strade delle città italiane erano calcate da giovani appartenenti alle subculture più diverse. A spiccare erano i cosiddetti paninari, ossessionati dagli abiti firmati e attentissimi alla cura del corpo. Una seconda sottocultura era rappresentata dai rockabilly, che ascoltavano musica americana degli anni Cinquanta e si vestivano seguendo la moda del tempo. Contrariati dalla freddezza del decennio in cui vivevano, i rockabilly ricercavano nel passato la spensieratezza perduta. Infine, vanno menzionate le subculture dei metallari, dei punk e dei dark, diffuse anche nel mondo anglosassone.

Ogni subcultura aveva interessi e attributi peculiari, che si manifestavano nella scelta dei vestiti, nei gusti musicali, nell’esibizione di beni materiali più o meno costosi. In altre parole, per aderire a una sottocultura era necessario seguire una determinata moda. Tuttavia, in questo modo il bisogno narcisistico di autoaffermazione si traduceva presto in una vuota parodia di se stesso. Come aveva intuito Simmel, la moda è l’espressione di due spinte contraddittorie – la distinzione e l’imitazione – e chi la segue rivela sia un desiderio di autonomia, sia un’inconsapevole obbedienza. Altri sociologi hanno considerato singolarmente le due dimensioni individuate da Simmel. In particolare, secondo Veblen la pratica del consumo vistoso innesca meccanismi di emulazione tra classi sociali. Per Bourdieu, invece, il gusto che si esprime nelle scelte di consumo ha valore distintivo e stabilisce i confini rispetto ad altri gruppi, spesso giudicati inferiori.

A partire dagli anni Ottanta, quindi, le nuove generazioni cominciano a costruire la propria identità seguendo un effimero edonismo, riconoscendosi in un paio di scarpe piuttosto che in un sistema di valori. È una tendenza demoralizzante, ma straordinariamente attuale: forse un paninaro e un trap boy non sono così diversi…

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