India e Pakistan insieme al Religion Today Filmfestival

Speciale Zeal for Unity – “Zelo per l’unità”.

Non è un mistero che tra India e Pakistan gli attriti, per usare un indebito eufemismo, siano ad oggi ancora forti; non tutti sanno però che tale conflitto è talmente radicato che le emittenti televisive dei rispettivi paesi non trasmettono alcun materiale mediatico che sia stato prodotto dal paese avversario. Per combattere questa censura un gruppo rappresentante una nota stazione televisiva indiana ha così deciso di produrre alcuni film (fino ad ora ne sono stati prodotti dodici) che permettano ai due grandi Paesi in conflitto quantomeno di conoscersi.

Da notare alcune curiosità: gli organizzatori del progetto in parola, Zeal for Unity appunto, insistono affinché i film da loro prodotti vengano scelti e proposti al pubblico sempre in coppia (uno ambientato in Pakistan e un altro ambientato in India); inoltre i film selezionati per eventuali festival devono risultare sempre fuori concorso, per ridurre al minimo i dissapori che potrebbe comportare la vittoria di una pellicola indiana a discapito di una pakistana o viceversa.

Nel pomeriggio di domenica 9 Ottobre sono state proiettate due pellicole che rientrano in questo progetto: Crease – la sgualcitura (silvat) e Don’t peek into the tent – Non sbirciare nella tenda.

Crease – la sgualcitura (silvat)

Regia: Tanuja Chandra

Paese: India

Noon è una giovane sposa indiana di fede musulmana, moglie di un uomo che l’ha dovuta lasciare dopo soli due giorni dalle nozze per motivi di lavoro. Il problema dell’emigrazione lavorativa viene qui sviluppato non dalla prospettiva di chi parte, ma con gli occhi di quelli che restano, che aspettano e che, nel frattempo, provano a vivere una normalità che non hanno più.

Noon è sola da cinque anni, poiché da cinque anni suo marito vive a Ryad, in Arabia Saudita; a tenerle compagnia in India c’è però Anwar, giovane e avvenente sarto con cui la ragazza spesso si intrattiene, con la scusa di un nuovo abito da cucire o di un tè davanti a cui parlare e scherzare.

Tra i due si crea un accordo che pietrifica e toglie il respiro, un’intesa che nessuno ha il coraggio di confessare all’altro, non a parole almeno, mentre gli sguardi e i sorrisi parlano meglio delle tante poesie d’amore di cui pure Noon si diletta.

La tenerezza che emana da questo film è commovente; l’atmosfera, ancorché si tratti di un film d’autore, richiama a tratti le pellicole bolliwoodiane che ormai abbiamo imparato ad apprezzare anche sui nostri teleschermi. Nonostante alcuni intermezzi musicali possano disturbare un palato non troppo abituato al cinema della cosiddetta Bolliwood, il film sa raggiungere attimi di grande profondità: particolarmente efficace è risultata la sequenza in cui Noon, disperata a causa della nostalgia che ha per suo marito e dilaniata dai sensi di colpa per l’ineffabile sentimento che prova nei confronti di Anwar, si inginocchia sul tappeto preposto alla preghiera, ne afferra gli angoli anteriori con le mani fino a stringerli e urla al pavimento, con quanto fiato ha in corpo, un pianto carico di rabbia e di tristezza. Nonostante la fedeltà al marito venga preposta da Noon a qualsiasi altra cosa, la storia tra i due giovani pare avvicinarsi ad una svolta. Un giorno però giunge una chiamata da Ryad e tutto cambia…

Don’t peek into the tent – Non sbirciare nella tenda

Regia: Shahbaz Sumar

Paese: Pakistan

Con una fotografia che si dichiara subito eccellente, la pellicola propone una storia surreale, ambientata in un Pakistan ancora selvaggio e rurale, legato ad una religiosità islamica fortemente contaminata da forme di spiritualità magico esoterica di natura folclorica.

In un villaggio sperduto nella campagna pakistana, in cui la vita scorre lenta e uguale, giunge all’improvviso, per caso o per errore, un circo. Gli abitanti, tra la diffidenza e la curiosità generali, cominciano a frequentare il nuovo ambiente circense e ad apprezzarne le forme di intrattenimento. Particolarmente attesa è l’entrata in scena di una giovane e splendida trapezista, Manju, attorno alla cui bellezza nascono miti e leggende.

Una di queste la vorrebbe fata, resa schiava dal direttore del circo che si sarebbe impossessato dei suoi vestiti, senza i quali – secondo la mitologia locale – le fate non potrebbero fare ritorno nel loro mondo. Tutti gli uomini, giovani e vecchi, che vedono questa fata trapezista cadono, come per incanto, in un amore febbricitante. Uno di questi, il bruto del villaggio, un omone malcurato dal carattere intemperante, incapace di rassegnarsi ad un desiderio senza soddisfazione, un giorno entra nel circo con l’intenzione di fare sua quella bellissima sirena. Con l’inseparabile fucile in spalla si addentra nel campo circense, entra nella tenda della fata pronto per lo stupro, ma ad attenderlo nella tenda c’è più di quanto potesse sperare.

Pellicola surreale, come si diceva, ma di grande attualità e di velata critica ad una certo modo di condurre la politica internazionale: non è certo un caso che il film si apra con l’uccisione di una cavalla al pascolo da parte del bruto di cui sopra, un’uccisione inutile giustificata da un’improbabile invasione di territorio da parte della povera bestia, di proprietà di un odiato vicino di casa.

Fabio Bulgarini

Studente magistrale di Filosofia all'Università di Trento; interessato di islamistica, storia della filosofia medievale e religionistica.

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