La Vicenda Regeni | Brandelli di verità.

La Vicenda Regeni, mettere assieme brandelli di verità.

di Sofia Giunta, studentessa di Studi Internazionali

Alle 19.41 di ieri, 25 Gennaio 2017, decorrono già 12 mesi dalla data in cui si ebbero notizie quasi certe su Giulio Regeni, il giovane ricercatore di Fiumicello torturato e ucciso nell’Egitto di Al Sisi. Alla sua vicenda numerosi studenti, personaggi dell’opinione pubblica, ma soprattutto cittadini, si sentono ormai indissolubilmente legati.

Alle 19.41 i moltissimi che per un anno intero hanno seguito instancabilmente il procedere delle indagini, quelli che si sono stretti con forza attorno alla famiglia Regeni chiedendo a gran voce “Verità e Giustizia” per Giulio e che hanno supportato la campagna di Amnesty International lanciata per sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto ai numerosi casi verificatisi in Egitto – di sparizioni quasi sovrapponibili a quella dello studente friulano – hanno manifestato la loro determinazione nel non voler lasciar perdere o sfumare una delle vicende più controverse del post-primavere arabe.

In un intero anno si sono susseguite numerose smentite o tentativi di depistaggio da parte del governo egiziano nei confronti di un caso ampiamente seguito, da testate nazionali e internazionali, che ha suscitato da subito l’interesse (e i sospetti) di parecchi giornali, studiosi, personaggi della politica e dell’intera società civile. Caso per il quale, sin dall’inizio, è stato chiaro che ci si sarebbe dovuti far strada attraverso una vicenda dai contorni poco netti. Secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters nel Marzo 2016 il corpo del ragazzo era stato ritrovato, una settimana dopo la sua scomparsa (il 3 Febbraio) in un fosso a Giza, a qualche chilometro dal centro del Cairo. Per indagare più a fondo sul caso, l’Italia aveva tempestivamente inviato un gruppo di investigatori nella capitale egiziana, che avrebbero successivamente confermato l’iniziale ipotesi di tortura, formulata dopo la prima autopsia: il corpo, al suo ritrovamento, era infatti coperto da bruciature di sigarette e ferite d’arma da taglio, aveva il volto tumefatto e le orecchie mozzate, le unghie delle mani e dei piedi strappate: indice di come Giulio fosse stato torturato al pari di una spia – aveva descritto la vicenda in questi termini anche Carol Berger, antropologa inglese, per il periodico London Review of Books, poichè si era interessata al caso. Le indagini dei magistrati italiani sono poi proseguite incontrando una reticenza e una superficialità a dir poco imbarazzanti da parte del dipartimento di medicina legale del Cairo e del governo egiziano. Le dichiarazioni in merito ad un possibile decesso per incidente stradale, le successive accuse di spaccio, di spionaggio o ipotesi mal formulate su un’improbabile relazione omosessuale di Regeni: la “totale volontà di collaborare” dei vertici egiziani è stata smentita nei fatti dall’incapacità della polizia locale di recuperare i filmati di videosorveglianza ed i tabulati telefonici, utili per tracciare un quadro delle ultime ore di vita di Giulio, hanno reso palese ciò che già era evidente, ovvero l’intenzione della controparte egiziana di voler rendere difficoltosa, per tutti, la ricerca della verità.

Con il passare dei mesi e grazie all’impegno del governo italiano, s’è cercato di ottenere maggiori risposte dal Ministro dell’Interno egiziano. I rapporti tra i due Stati, Italia ed Egitto, hanno cominciato ad essere tesi nel momento in cui il nostro, insoddisfatto della “verità di comodo” (secondo quanto dichiarato dall’allora Ministro degli Esteri Gentiloni) ha contattato l’ambasciatore al Cairo e sospeso la fornitura di pezzi di ricambio per gli F-16.

Tasselli importanti alla vicenda sono stati aggiunti in seguito dalla nostra magistratura, purtroppo solo di recente: secondo quanto riportato da Internazionale, il 23 Gennaio scorso, il procuratore generale egiziano avrebbe

“accettato la richiesta della procura italiana di inviare al Cairo un gruppo di esperti italiani e tecnici tedeschi di un’azienda specializzata nel recupero dei dati delle telecamere di sorveglianza per analizzare i video della stazione della metropolitana di Dokki, dove Regeni fu visto per l’ultima volta la sera del 25 gennaio 2016.”

Lo stesso giorno una televisione egiziana ha pubblicato un filmato, trasmesso immediatamente dalle emittenti italiane, di una conversazione tra Regeni e il capo del sindacato dei venditori ambulanti, Mohammed Abdallah, col quale il giovane avrebbe avuto contatti per riuscire a portare avanti al meglio le sue ricerche (nell’ambito dei sindacati indipendenti) – filmato che il governo egiziano di Abdel Fattah Al Sisi deve aver considerato evidentemente delicato. Molto c’è ancora da fare: le indagini proseguono, e prosegue la mobilitazione di Amnesty International per far sì che risposte più significative vengano date dall’Italia e dalla comunità europea nei confronti di un problema, quello egiziano, che non riguarda solamente un unico caso isolato, ma che tira in ballo una serie di interrogativi etico-morali sulla legittimità di un governo che (purtroppo) limita gravemente la libertà di espressione e circolazione dei propri cittadini. Riccardo Noury, il portavoce di Amnesty International Italia, parla di una situazione gravissima. Oggi in Egitto ci sono centinaia di persone scomparse, così come accadeva in America Latina negli anni ’70-’80 e quindi “se non si risale alla catena di comando che lega l’operato materiale di ha sequestrato, fatto sparire, torturato, non si arriverà mai alla verità.”

La verità, la libertà l’indagine e di ricerca: per questi motivi ieri, in tutto il paese, dalla nostra Trento fino alle manifestazioni del presidio organizzato presso l’Università la Sapienza di Roma, molte persone si sono ritrovate a ricordare Giulio, a ricordare che non c’è mai fine alla lotta per la libertà di espressione; tale è l’affetto solidale che un’intera popolazione riesce ad emanare per un connazionale ingiustamente ma brutalmente messo a morte. “È necessario che tutti s’impegnino per fare emergere la verità sull’uccisione di Giulio”, ha dichiarato la madre di Giulio, Paola Regeni. A lui direttamente la dobbiamo, a quell’emblematico ragazzo con il maglione verde e la camicia rossa, la caparbia insistenza nel dichiarare che, finchè ci sarà qualcuno disposto ad andare al di là della superficie e non accontentarsi di storie di facciata o promesse non mantenute, avrà senso ritenerci esseri umani liberi, avrà senso ritenerci studenti con un vero scopo.

di Sofia Giunta, studentessa di Studi Internazionali

Redazione

La redazione de l'Universitario è composta perlopiù da studenti dell'Università di Trento

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