Caro Michele

di Carlotta Capizzi

 

Caro Michele,

questa sera ho letto la tua lettera e mi sono sentita un’intrusa nella tua vita privata. Mi sono intrufolata tra le righe della tua quotidiana in punta di piedi, spaventata da quello che avrei potuto trovare. L’incipit dato dall’articolo dove l’ho letta non prometteva una storia d’amore conclusa con un abito bianco e il suono delle campane, così come non mi aspettavo di trovare in una lettera suicida la convinzione a continuare la mia quotidianità che, ogni tanto, mi scivola tra le mani.

Non sempre (anzi quasi mai) riesco a raggiungere gli obiettivi che mi prefiggo, o rendere fiera la mia famiglia, o soddisfare le aspettative dei miei amici, o dell’amore. Io di anni ne ho solo venti e ho già tanta paura del futuro e ogni tanto anche del presente. Ho paura ogni volta che non passo un esame nonostante io mi sia appassionata alla materia, ho paura quando leggo un libro e mi scivolano le lacrime sulle guance, ho paura quando leggo alcune statistiche e non vedo la luce dopo la laurea, ma solo insicurezza. Ho la sensazione di non riuscire a focalizzarmi su ciò che realmente voglio, su chi voglio essere. Mi sembra che non venga lasciato lo spazio dovuto ai sogni e, sopratutto, ai sognatori, a chi, come te, come me, come noi, non vuole aggrapparsi alla normalità ma cerca (cercava?) un lavoro che andasse oltre alla sopravvivenza e un amore che andasse oltre la sopportazione. Ho paura quando rincaso la sera e vorrei nascondermi tra le coperte per piangere, a volte anche senza ragione. Ho paura quando chi affronta lo studio o la vita con normalità riesce ad avere risultanti più appaganti dei miei, che ci perdo il sonno per il mio futuro o per l’amore. Ho paura quando vedo le mie coetanee spensierate mano nella mano con un amore tiepido e io non riesco ad accontentarmi dei sentimenti a metà. Ho paura di essere sbagliata io in un mondo giusto. Io non voglio giudicare il tuo gesto, per quanto estremo, hai spiegato fin troppo bene le tue ragioni e io le ho comprese, mi hai fatto venire voglia di uscire di casa, in pigiama, per scappare alla disperata ricerca di chi ogni giorno mi confida il suo disprezzo per il disinteresse alla sensibilità, per abbracciarlo e stringerlo forte, fino a cadere per terra e rimanere fermi a guardare le stelle, verso l’infinito.

Hai generato la volontà di guardare di più le persone che mi circondano per cercare altri sognatori, perchè sono sicura che ci sono, sono solo ben nascosti, come te, come me. Avrei voluto tu scrivessi prima. Avresti trovato qualcuno come me, un altro sognatore, o una sognatrice, qualcuno che vedeva quello che vedevi tu e vi sareste fatti compagnia attraverso il grigiore delle giornate tutte uguali. Avreste trovato un significato a questo melodioso imprevisto che è la vita e avreste iniziato a danzare. Vorrei che tutti la smettessimo di nasconderci dietro la maschera dell’apatia o della forza, per guardarci negli occhi e riconoscere negli altri le nostre stesse paure. Qualcuno un tempo parlava di catena sociale e io sono stanca di cercare, invano, di tenere uniti tra di loro gli anelli di questa catena, ed eri stanco anche tu, più di me.

Le magnifiche sorti e progressive non hanno funzionato, perchè non riusciamo ad accettarlo? Perchè ci ostiamo a nasconderci dietro le regole di una legge della giungla che altro non porta se non disperazione? Io non lo capisco, non lo capivi tu e non ci siamo mai incontrati per parlarne, purtroppo. Credevo fossimo figli di due generazioni diverse ma forse un pò ci assomigliamo, forse i trentenni non sono i nuovi ventenni, forse siamo sulla stessa barca ma navighiamo in un mare d’indifferenza. Abbiamo le stesse preoccupazioni, troppo piccole per maturare in tempi brevi eppure troppo ingombranti perchè vengano anch’esse trascurate e dimenticate negli angoli nascosti della nostra coscienza. Qualcuno riesce ad anestetizzarle, qualcun’altro no, noi no. Noi viviamo ogni giorno le mille emozioni che la vita ci riserva e non riusciamo a nasconderle, pensa che ci sono persone che nonostante mi conoscano ormai da anni, ancora ridono per le infinite espressioni facciali che non riesco a nascondere e inevitabilmente capiscono come mi sento. Mi fa male sapere che nonostante il mio viso non riesca ad adattarsi a una maschera di freddezza, si supponga io debba forzarlo, alcuni proprio m’infastidiscono, ridono di me e non con me, vedono le mie debolezze e pensano di potersene approfittare, ma qualcuno mi ha insegnato che le mie debolezze sono la mia più grande forza, ammettere i propri limiti è il primo passo per imparare a conviverci. Tu eri troppo consapevole dei mille limiti che ci vogliono imporre, confini costruiti non da ragionevoli dubbi ma paure paralizzanti. Non hai lasciato solo i tuoi genitori o amici ma anche tutti i sognatori come me, quelli che ti capiscono ma forse non condividono la scelta. Abbiamo bisogno di persone come te, anime ancora capaci di amare e sognare, di provare talmente tanta empatia per la collettività da abbandonare il dono più grande, la vita.

 

Io non ti conoscevo Michele, ma mi manchi.

Buon viaggio,

buon riposo,

Shupsy

Redazione

La redazione de l'Universitario è composta perlopiù da studenti dell'Università di Trento

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