Pillole di Storia #3: La rivoluzione ai giorni nostri

DI Lorenzo Bertoli 

 

Il mondo accademico si è da sempre diviso tra sostenitori ed oppositori del bolscevismo, tra coloro che vedono nella rivoluzione d’ottobre un tentativo da parte delle masse proletarie russe di costituire uno Stato migliore, fallimentare come sappiamo a causa delle sbagliate scelte economiche di Lenin e del totalitarismo stalinista, e tra coloro che la considerano unicamente il preludio di una delle peggiori dittature che hanno caratterizzato il XIX secolo.

Molti sono e furono comunque gli storici che nella loro carriera diedero una visone positiva, almeno iniziale, della rivoluzione bolscevica; tra questi, sicuramente degni di nota, furono William Chamberlin, storico e giornalista statunitense, Edward Carr e Christopher Hill, storici britannici, tutti e tre di simpatie marxiste, nonostante Chamberlin divenne un fervente anticomunista dopo aver assistito all’ holodomor ucraino, che porto alla morte di milioni di persone. Egli, assieme a Carr, diede l’immagine di Lenin come un genio rivoluzionario e misero il primo piano il ruolo del partito bolscevico nella storia della Russia: essi infatti sostennero che la Russia mancasse di presupposti per una democrazia parlamentare, e che le uniche alternative possibili fossero il bolscevismo o una
dittatura militare. Hill invece pose l’accento sulla grande capacità di Lenin di allontanare la classe contadina dai socialrivoluzionari, legandoli al suo partito mediante la promessa di pace e di riforme agrarie, cosa che, come sappiamo, funzionò solamente in parte.

Critico invece nei confronti della rivoluzione del 25 ottobre e di Lenin è Richard Pipes, storico polacco emigrato negli Stati Uniti allo scoppio del secondo conflitto mondiale, autore di numerosi libri sulla storia della Russia, in particolare sul periodo sovietico. Egli infatti vede nel comunismo sovietico una creatura della storia, legata sin da subito agli scopi e ai metodi dittatoriali portati avanti dall’èlite bolscevica: secondo la sua visione, Lenin non fu altro che il preludio di una tragedia che raggiungerà l’apice con il terrore staliniano.

Pone invece l’accento sul duplice ruolo della classe contadina Orlando Friges, storico e romanziere britannico, che egli vede come protagonista e vittima della rivoluzione: i contadini avevano appoggiato il bolscevismo a causa delle promesse di riforma agraria e di redistribuzione della guerra propugnate da Lenin, ma con la crisi della NEP, la Nuova Politica Economica, nell’inverno del ’27-’28, che aveva portato ad una crisi degli approvvigionamenti, le requisizioni forzate di grano che avevano contraddistinto il “comunismo di guerra” tornarono ad essere praticate.

La rivoluzione ai giorni nostri
Sembrerebbe che al giorno d’oggi, gran parte della popolazione russa dimostri di essere molto critica nei confronti della rivoluzione di ottobre: molti sono coscienti che la situazione sociale ed economica che era venuta a crearsi in Russia durante la Grande Guerra fosse disastrosa ed insostenibile, tuttavia ritengono che il bolscevismo non abbia portato alcun beneficio, né sociale, né economico, ma che ci sia stata solamente una successione di governi autoritari e totalitari, dal regno autocratico dello zar, alla Russia comunista di Lenin e Stalin. Tanti inoltre pensano che la scelta di fucilare la famiglia Romanov il 17 luglio del 1918, una scelta considerata necessaria da Lenin per indebolire ancora di più la compagine eterogenea che andava a formare le Armate Bianche, sia stato qualcosa di assolutamente abominevole e non necessario: il governo bolscevico si sarebbe dunque macchiato sin da subito di crimini indicibili, sfruttando la massa contadina unicamente per i propri fini.

Sono pertanto pochissimi quelli che pensano che una rivoluzione di stampo comunista sia l’unica soluzione necessaria a tutti i problemi della Russia, mentre ancora meno sono quelli che rimpiangono lo zar. Alle opinioni contrastanti della popolazione russa, si aggiunge anche la voce del suo governo: sembra infatti che la Russia non abbia intenzione di celebrare in alcun modo la presa di potere da parte di Lenin e del partito bolscevico, vista non come una tappa importantissima della storia del XX secolo, ma solamente come il preludio di una delle peggiori dittature che il mondo abbia mai visto, colpevole della morte di milioni di persone.

Niente parate militari tipiche del periodo sovietico dunque, ma solamente una manciata di nostalgici comunisti che sventoleranno bandiere rosse ed effigi di Stalin e Lenin, mentre i liberali ricorderanno unicamente la rivoluzione di febbraio, che dal loro punto di vista portò a riforme di stampo democratico, come il suffragio universale. I filogovernativi, invece, hanno deciso di rimanere in disparte, vedendo in entrambe le rivoluzioni solamente delle sedizioni contrarie all’ordine costituito finanziate da governi stranieri, da quello inglese per febbraio, da quello
tedesco per ottobre.

La rivoluzione bolscevica viene pertanto vista unicamente come una catastrofe. Tutto molto strano per l’Occidente, dove la Francia celebra annualmente la presa della Bastiglia e dove l’Irlanda ha celebrato, nell’aprile del 2016, il centenario della Rivolta di Pasqua. Tutto molto strano per l’importanza che l’attuale governo russo, e Putin in primis, assegna al ricordo delle vittime del secondo conflitto mondiale, che il Russia viene chiamato Grande Guerra Patriottica, e del sacrificio perpetrato da molti durante quegli anni difficili. Tutto molto strano soprattutto per il passato sovietico, di cui la Russia ne è impregnata ancora ai giorni nostri: il cadavere di Lenin riposa ancora
all’interno del suo mausoleo in Piazza Rossa, mentre vie, strade e fermate della metropolitana portano ancora i nomi che erano stati assegnati a loro durante gli anni del regime comunista. Il silenzio russo è assolutamente incomprensibile ed insensato.

L’intenzione di Putin è dunque quella di riportare la stabilità in seguito ai rivolgimenti politici causati dal crollo dell’Unione Sovietica e di riportare la Russia ai fasti del passato: è proprio per questi motivi che ha commemorato i 400 anni della dinastia Romanov ed il 70° anniversario della vittoria sul nazismo, mentre preferisce lasciare nel dimenticatoio tutto quello che non rispetta le sue intenzioni politiche.

Niente commemorazioni quindi. I russi, o almeno la maggioranza di essi, si coprono gli occhi davanti a quei lontani giorni di cento anni fa, come se nulla fosse mai accaduto, come se i milioni di morti della guerra civile e della dittatura sovietica non contassero nulla. Come se tutto ciò fosse stato solamente un brutto sogno da dimenticare al più presto.

Redazione

La redazione de l'Universitario è composta perlopiù da studenti dell'Università di Trento

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