Star Wars o come Gramsci è l’equilibrio nella forza

DI Valentina Tereshkova

Giunta ormai all’ottavo episodio, Star Wars si conferma una delle saghe più corpose e continuative nella storia del cinema. Una storia, quella del ciclo fantascientifico, che non vuole reputarsi grande e corposa nel solo senso quantitativo ma anche in base alla qualità dei messaggi e delle allegorie che è stata, ed è, in grado di presentare al suo interno.

Certo è che per un’analisi completa della retorica presente nei film di George Lucas non basterebbe
probabilmente un’opera in più volumi, figurarsi un breve articolo. In questa sede il tentativo sarà quindi quello di soffermarsi brevemente sulle pillole di pensiero costituzionale e politico presenti principalmente nei primi sei film di guerre stellari.

La cosa che appare da subito, dal punto di vista da cui vogliamo guardare, è che precisamente il passaggio dalla prima trilogia (Episodio IV, V, VI) alla seconda (Episodio I, II, III) comporta una mutazione non indifferente dell’assetto costituzionale della federazione galattica: si passa da Repubblica ad Impero. Che il riferimento alla storia romana sia chiaro lo si nota immediatamente. Palpatine si toglie le vesti da senatore della Repubblica per indossare quelle di un novello Augusto: per analogia potremmo dire che Anakin Skywalker, d’altro canto, non indossi l’armatura di Darth Vader ma quella di Marco Vipsanio Agrippa, stratega, militare prima e politico poi, del Princeps Augustus. Tuttavia se il passaggio da Repubblica a Principato sia idealmente molto simile a quello che avvenne a Roma dopo la battaglia di Anzio si possono notare anche non poche differenze. La dimensione di cui è investito Darth Sidious, ad esempio, non è quella di un velato primus inter pares ma quella di un Imperatore assoluto. Se a Roma, almeno retoricamente, il Principe non era null’altro che il garante della Pax Romana, colui che dopo decenni (forse un secolo) di guerre fratricide assicurava pace e stabilità a tutto l’impero, nell’universo sterminato di Star Wars non c’è
bisogno di retorica propagandistica per mantenere il potere (e forse neanche per conquistarlo) ma basta soltanto un po’ di macht, di forza. Se nella contemporaneità cinematografica di Star Wars chi detiene lo scettro non ha bisogno di un galattico circolo di Mecenate significa che o la società è totalmente ridotta ad unum oppure che Palpatine non abbia ancora ben fatto i conti col sentire della popolazione dell’intero universo.

L’operazione di reductio ad unum, tipica dei sistemi totalitari novecenteschi, non è per nulla approfondita nella saga per non dire che non è proprio accennata. Sembra che a reggere tutto l’apparato imperiale non siano altro che due strumenti: il dispiegamento massiccio di storm trooper e la paura. Ma se per un attimo volessimo rinunciare ad una visione così disperatamente analitica e ci concentrassimo su una sorta di socioanalisi storica ci accorgeremmo che il lavoro viene sviluppato ed elaborato da Lucas in un contesto ideologico abbastanza particolare. Il regista americano, come molti altri suoi colleghi che lavorano in quel periodo, è figlio della seconda guerra mondiale. Una guerra che nell’immaginario collettivo occidentale è stata una guerra che ha contrapposto non solo due schieramenti militari contrapposti ma anche due visioni del mondo totalmente agli antipodi. Da un lato gli alleati ed i loro universali ideali di democrazia e libertà,
dall’altro l’Asse Roma-Berlino- Tokyo ed il loro orizzonte totalitario e guerrafondaio. Che poi tra gli alleati sia annoverata anche l’Unione Sovietica non costituisce una contraddizione interna dato che la retorica occidentale trasformerà lo stato socialista in Evil Empire solo qualche anno più tardi. Da questa breve digressione possiamo capire come, nello schema mentale di uno statunitense cresciuto durante la WW II, il regime totalitario nazista sia visto semplicemente come una dittatura di una élite militare che governa con l’esercito e la paura su di una popolazione oppressa. Non è spregiudicato pensare che allora un’altra allegoria presente in star wars sia proprio quella di uno stato retto da una casta di gerarchi molto simile a quello che nell’immaginario collettivo degli anni ’70 si credeva fosse stato in Germania.

Sicuramente se è valida la prima ipotesi, resta convincente anche un pensiero che vuole che il già Senatore Palpatine abbia sottovalutato la potenza dell’ideologia della libertà che, come nel secondo conflitto bellico così “tanto tempo fa in una galassia lontana”, può essere in grado di coagulare intorno a sé una folta resistenza. È indubbio pensare che un assetto costituzionale così apertamente democratico e plurale come quello della Repubblica della prima trilogia possa essere totalmente soppiantato da un apparato imperiale basato sull’uso della forza.

Lo stesso pensiero di Niccolò Machiavelli può venirci in aiuto quando nei Discorsi scrive che dove si è conosciuta una grandissima equità (non tanto sociale ma politica) è impossibile tornare ad una forma costituzionale che sopprima interamente i diritti politici precedentemente acquisiti. Ed in questo senso ci scrive anche Antonio Gramsci quando nel quaderno 7 pone analogie e differenze tra lo stato in oriente e lo stato in occidente, dove la società civile è molto più sviluppata e quindi la rivoluzione non può essere una guerra fulminea ma solo un conflitto in trincea dietro le cui linee si nascondono una miriade di casematte da dover stanare. Le casematte da stanare in Star Wars non sono però dei gramsciani costrutti ideologici da distruggere e sostituire attraverso l’arma dell’egemonia culturale. Le casematte sono pianeti su cui sono nascoste le sacche della resistenza dell’unione e l’unica soluzione è la distruzione fisica e non ideale. Questo è ciò che avviene nell’episodio V (L’impero colpisce ancora) con la celeberrima battaglia di Hoth, il pianeta
ghiacciato.

Il mantenimento dello stato da parte del “partito” dei Sith non avviene dunque per molteplici motivi. Machiavelli converrebbe sul fatto che l’errore di Palpatine e compagni sia stato quello di non “esser fatto [lo stato] con il favor del popolo” ma appunto averlo fondato unicamente su di una casta militare. Non converrebbe altrimenti, come qualsiasi mente brillante di ogni tempo farebbe, sul fatto che il sentimento popolare riesca a destarsi solo nel momento in cui sul piatto della bilancia vengano posti sentimenti “universali” come libertà e democrazia. Valori questi che in tal caso non vogliono rappresentare altro se non la reazione di quella classe dirigente caduta in disgrazia proprio sul finire dell’episodio III. Per dirla come farebbe Joseph Nye la differenza sostanziale tra l’ordinamento voluto dai Sith e quello dei Jedi sta nel metodo utilizzato per mantenere il potere. Mentre il primo fa fede all’hard power, il secondo fa del soft power il proprio cavallo di battaglia. Se pensiamo che il politologo statunitense quando vuol spiegare il concetto di soft power inserito nel contesto della Guerra fredda, l’esempio più eclatante che ci fornisce sia
il ruolo giocato da Hollywood come “fabbrica dei sogni” (americani), Il fatto che Star Wars venga fuori da quel mondo non può che essere una tragicomica coincidenza.

Redazione

La redazione de l'Universitario è composta perlopiù da studenti dell'Università di Trento

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