In Brevis | Tre Domande Per Nitro e Galeffi

L’articolo che qui oggi proponiamo è un dolce amarcord che si lega alle giornate di musica e cultura del Poplar Festival 2018. Durante quei giorni infatti siamo stati ospiti nel backstage, dove siamo riusciti a scambiare quattro chiacchiere con molti artisti; tra loro siamo riusciti ad intercettare anche i due headliner del festival, rispettivamente della prima e della seconda serata: il cantautore romano Galeffi, ed il rapper vicentino Nitro. Sebbene siano poche domande ci è parso giusto pubblicarle, poiché nonostante la brevitas, offrono spunti molto interessanti. 

INTERVISTA CON NITRO: “La musica nell’era dei social”

(Questo è il proseguo della chiacchierata con Nitro che potete trovare qui)

Spotify è una bellissima piattaforma se utilizzata nella corretta maniera. Eppure parrebbe che la musica stia stagnando, che esca solo musica tutta uguale, che ne pensi?

Le canzoni oggi durano poco perché c’è troppa comodità. Per comodità per esempio io non ho mai imparato a suonare la chitarra: eppure mio padre è chitarrista. Ho cinque chitarre a casa, non avrei dovuto faticare per diventare chitarrista, è che non mi interessava: volevo fare e costruire qualcosa di mio. Però questo è un altro discorso… quello che volevo dire è: se hai tutto comodo tratti le cose con meno valore, così come accade ora con la musica. Prova a pensare a come trattiamo odiernamente le foto, quando pagavi quindici euro per un cazzo di rullino: fidati che non avresti fotografato il piatto di merda che stavi per mangiare.

Dici che sia tutto riconducibile ad una mancanza di attenzione o di erronea educazione?

Sì e no potremmo dire. Adesso io non voglio fare opposizione, non voglio fare come la sinistra italiana degli ultimi anni: criticare solo ciò che fanno a destra, ed essere poco propositivi. Tutto ciò è sbagliato, dovremmo essere noi i primi a proporre! Se tu ad esempio fai vedere ad un ragazzino un documentario in cui si vede quanto soffri per scrivere una canzone, mentre sei lì che piangi, incazzato perché da quel foglio bianco non esce niente, e poi gli fai vedere lo studio, gli fai vedere che ad un certo punto arriva quel momento magico in cui tutto s’incastra: se i ragazzi vedessero questo momento di magia, magari sarebbero più stimolati a farsi uno studio che comprarsi le Gucci. Il problema è che noi gli facciamo vedere sempre questo: diamo per scontato tante, troppe cose, come il creare arte. Se tu vai a vedere Micheal Jordan che gioca a pallacanestro, fidati che ti verrà voglia di giocarci. In parte è anche colpa nostra, non abbiamo mostrato ai ragazzi la bellezza di fare musica, al di là del contorno dei soldi e della fama.

Ed i Social Network funzionano proprio in questo senso no? Mostrano solo la facciata…

Certo! Mostrano solo le vittorie, fanno vedere la bella facciata dietro la quale sono presenti un sacco di sconfitte enormi. Però boh io un po’ le capisco… tu in un muro appenderesti la foto di una tua figura di merda? No! Il fatto è che la gente pensa che Instagram sia la realtà, che la vita sia fatta solo di vittorie: dovrebbero solo darsi una calmata e capire che la vita reale è ben altro. Tutti siamo altro fuori dal contesto della piattaforma sociale: pure io sceso dal palco sono un altra persona, ma lì, lì sul palco mi trasformo e do sfogo a tutto ciò che ho dentro.

INTERVISTA CON GALEFFI: “E’ difficile vincere il campionato”

Che tipo di amore hai voluto rappresentare nell’album Scudetto?

Mi interessava descrivere in maniera molto dolce: un po’ anche da sognatore potremmo dire. Il motivo è legato al fatto che non apprezzo la misoginia che viene descritto nelle canzoni odierne, quindi ho preferito fare una cosa “frocia” se si può dire (ride). Puntavo ad un amore più poetico e femminile.

E che rapporto volevi creare tra il titolo “Scudetto”, un elemento fortemente maschile, e quest’amore così delicato?

Purtroppo non sono così intelligente da averlo pensato in realtà (ride). Semplicemente alla tua domanda ci sono due risposte: la prima legata al titolo è che speravo portasse bene alla “maggica”. La seconda risposta è che di base fare un disco a ventisei anni è una bella sfida. Non puoi sapere come andrà, non puoi sapere se avrai successo: è un salto nel vuoto. Già solo il fatto per me di essere riuscito a farlo questo disco è stata una vittoria, e quale vittoria più italica se non vincere lo scudetto?

E quindi dici di averlo vinto lo scudetto?

Quarto in classifica, posizione di salvezza (ride).

Francesco Filippini

Studente di Lettere Moderne e vicedirettore de l'Universitario

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