“Bisogna emozionarsi perché c’è speranza”: Marco Damilano alla Settimana dell’Accoglienza

Lo scorso 3 ottobre, nel sesto anniversario della strage di Lampedusa, il direttore de L’Espresso Marco Damilano è stato intervistato da Stefano Trasatti presso la sede della Federazione Trentina della Cooperazione in occasione della Settimana dell’Accoglienza, incentrata sul tema dell’immigrazione. Durante la serata è stato perciò inevitabile parlare dei decreti sicurezza, dell’attacco feroce alle ONG, di propaganda becera e di politiche inconcludenti.

Si è ribadito ad alta voce che quella migratoria non è meramente una questione di sbarchi. “Ciò che importa oggi è che queste persone non rientrino nel cruscotto dei dati statistici”, constata amaramente Marco Damilano. Ci accontentiamo di respingere i migranti dalle nostre coste e ci compiaciamo di difendere i confini nazionali in nome della “pubblica sicurezza”. Se poi in territorio libico i diritti di questi esseri umani vengano o meno calpestati semplicemente non è un problema nostro. È una geografia diversa, altra, che non sentiamo appartenerci. Ci ostiniamo a non vedere e a tapparci gli occhi semplicemente perché è più comodo così. Dall’inizio del 2019 gli sbarchi sono stati 7892 contro gli oltre 106 mila registrati negli stessi mesi del 2017. Un risultato storico e senza precedenti di cui l’ex ministro del Viminale non poteva che vantarsi (anche ora che è tornato all’opposizione). Il motivo di tanto trionfalismo è presto detto: se quel numero scende, allora le politiche migratorie hanno avuto successo. E questo è semplicemente raggelante. Si è giunti ad un punto in cui l’occultamento della realtà- una realtà che prevede torture e sofferenze dei profughi- viene considerata una vittoria politica.

Il racconto dell’insicurezza ha permesso la diffusione di una narrazione del tutto fittizia, prosegue Marco Damilano, “una narrazione per cui i morti non esistono perché non li vediamo, i torturati non esistono perché non li vediamo”. Una narrazione secondo la quale la società civile non esiste più, in cui i corpi intermedi e gli enti locali vanno depotenziati e, se possibile, eliminati (emblematico in questo senso lo smantellamento della rete degli SPRAR, disposto dal decreto sicurezza). Una favola accattivante e persuasiva, esempio cristallino di una “politica dell’immediatezza” che è succube dei consensi e che insegue pedissequamente l’opinione pubblica.

Il radicamento di questa visione comporta dunque grandi responsabilità per chi lavora nel settore dell’informazione, come ci ricorda anche l’articolo 21 della Costituzione. “Il giornalismo, se ha un senso, deve illuminare angoli che non vengono raccontati, quei luoghi che poteri vari vorrebbero tenere nascosti”, afferma il direttore. Oggi invece si decide in pochi per tutti. Non ci si ascolta più, non ci si consulta. Le ONG che navigano nel Mediterraneo sono ritenute così pericolose perché oltre ad un lavoro di soccorso hanno fatto e fanno ancora un lavoro di informazione. A loro modo svolgono un’azione politica, ma non nel senso partitico. Perché “il partito dei porti chiusi” esiste, quello dei porti aperti no, ed è forse questo a tediare e ad intimorire i sovranisti: il fatto che la società civile sia in grado di autofinanziarsi, coordinarsi e mobilitarsi perseguendo uno scopo ben definito. D’altra parte una volta che hai capovolto la scala dei valori va da sé che chi aiuta, chi soccorre, compie un reato. E questo è scritto nero su bianco su un decreto che è diventato legge. Eppure, spiega Marco Damilano, gli attacchi alle ONG, i cosiddetti “taxi del mare”, e a tutto il mondo del no profit non sono soltanto l’effetto collaterale di una fine strumentalizzazione. “Nella polemica contro le ONG c’è innanzitutto una criminalizzazione complessiva del mondo della solidarietà.” Una criminalizzazione deleteria, inquietante. Una deriva disumana che va arginata e contrastata con ostinazione.

È con questi occhi che va interpretata la copertina de L’Espresso di questa settimana, realizzata dal vignettista Mauro Biani. “E ora aboliteli”, si legge a caratteri cubitali. Una sfida ambiziosa: abolire la cultura della distruzione per costruirne un’altra, quella della ricucitura, della ritessitura. Un monito che è però anche un grande invito alla speranza. “A chi investe nella paura bisogna rispondere investendo nella speranza. Bisogna emozionarsi perché c’è speranza”. Queste le parole di congedo di Marco Damilano. Dalla sala si leva un applauso scrosciante. Segno che quella per la democrazia è una battaglia che va combattuta ogni giorno.

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