Inizia l’Uman Festival con “Irlanda e Brexit: una nuova guerra a bassa intensità?”

Quest’anno ritorna per la sua seconda edizione l’Uman Festival, organizzato dagli studenti di UNITiN e rivolto non solo alla comunità studentesca, ma a tutta la cittadinanza trentina. Come si può dedurre dal nome “Oltre il confine”, il tema di questa edizione sono i confini che segnano la nostra epoca. Il festival durerà dal 13 al 15 novembre e si concluderà venerdì sera con un concerto de “I miei migliori complimenti” in Bookique. Il primo incontro, dal titolo “Irlanda e Brexit: una nuova guerra a bassa intensità?” si è tenuto mercoledì 13 novembre in aula Andreatta, nel Dipartimento di Sociologia; è durato dalle 16.30 alle 18.30 ed è stato tenuto da una ricercatrice dell’Università di Trento, Chiara Polli.

L’iniziale excursus storico di Chiara Polli ha messo in luce i tentativi del Regno Unito di sopprimere non solo le rivolte e le proteste, ma anche la cultura di quella che nel 1169 è diventata la loro prima colonia: l’Irlanda. La vittoria di William d’Orange nella Battaglia del Boyne (1690) fa crescere enormemente la già esistente discriminazione nei confronti dei cattolici e porta all’abolizione del gaelico; questo evento, tanto tragico per i nazionalisti, è seguito dalla cosiddetta ‘potato famine‘ del 1845-49, che stermina milioni di irlandesi e ne costringe altrettanti ad emigrare o a convertirsi e abbandonare la propria lingua per ricevere gli aiuti inglesi. Tutto ciò non è riuscito a spegnere i moti indipendentisti: lo Sinn Féin infatti, il principale partito nazionalista moderno, nasce a seguito dell’Easter Rising del 1916 che prima di essere represso nel sangue riesce vedere l’instaurazione della Repubblica d’Irlanda. Guidato da Éamon De Valera, alla fine della Guerra d’Indipendenza del 1919-21 riesce ad ottenere dei seggi in Parlamento… solo per ripiombare in una Guerra Civile (1922-23) fra irlandesi favorevoli e contrari ad un trattato con il Regno Unito.

Ciò che la nostra generazione non può ricordare e che si aggiunge a questi secoli di odio e divisioni sono i Troubles (1968-1998), scaturiti dalla nascita del movimento per i diritti civili e finiti solo con la firma del Good Friday Agreement. In questo periodo ci sono state le manifestazioni più violente, come il famoso Bloody Sunday del 1972, quando a Derry l’esercito britannico sparò a 28 ragazzi che manifestavano uccidendone 14, o gli scioperi della fame del 1979 che protestavano l’abolizione dello status di prigioniero politico e portarono alla morte di Bobby Sands. A Derry e Belfast in quel periodo si viveva come in zone di guerra: le città vedevano continui scontri fra l’IRA, l’organizzazione paramilitare degli indipendentisti, e l’esercito britannico con vittime prevalentemente civili, muri di filo spinato, checkpoint e l’intervento di altri organismi paramilitari unionisti come l’UVF (Ulster volunteer force) e l‘UVA (Ulster voluntary association). A Belfast i cattolici innalzarono delle barriere all’interno della città per difendersi dagli attacchi degli unionisti; questi muri esistono ancora e si chiamano, ironicamente, “Peace Lines”.

Nonostante i principali settori dell’IRA (la Provisional IRA e l’Official IRA) abbiano accettato il Good Friday Agreement e anche il disarmo, completato rispettivamente nel 2005 e nel 2010, alcuni gruppi minori – la Continuity IRA e la Real IRA – non hanno accettato questi accordi e continuano la loro militanza occasionale; dall’altro lato della barricata, lo stesso vale per l’UVF. Anche se la guerra è formalmente finita i muri restano e i soldati fanno ancora capolino dai murales che tappezzano Derry e Belfast.

Persino i marciapiedi sono segnati: nelle zone a prevalenza protestante hanno i colori dell’Union Jack e nelle zone cattoliche hanno quelli irlandesi. Le case mostrano subito l’orientamento politico dei suoi abitanti, al punto che molti privati si fanno commissionare dei murales con cui decorano un lato della loro abitazione. L’iconografia continua a mostrare un conflitto che si è sopito solo sulla carta e che è rimasto nascosto per vent’anni circa, sospeso dai termini del GFA. Questo prevedeva, fra le altre cose:

  • Abolizione dei checkpoints, smantellamento delle frontiere e unione doganale
  • Scelta della cittadinanza irlandese o inglese
  • Libera circolazione dei cittadini
  • Equa divisione dei poteri dell’assemblea dell’Irlanda del Nord
  • Riforma delle prigioni
  • Possibilità di chiedere un referendum per l’unità dell’Irlanda, da chiedersi in qualsiasi momento

Tutto ciò è stato messo in crisi dal referendum del 2016 con cui il Regno Unito ha scelto di uscire dall’Unione Europea: mentre prima May e poi Johnson dibattevano con Bruxelles sull’opportunità di una soft, una hard o una no-deal Brexit, i conflitti dell’Irlanda sono riemersi. Chiara Polli ci dice che recentemente un membro dell’IRA è apparso in TV, dichiarando che qualsiasi ‘confine’ che il Regno Unito instaurerà sarà obiettivo dei loro attacchi e che loro ritengono finito il Good Friday Agreement. Fra le recenti vittime delle proteste estreme dei nazionalisti c’è la giornalista ed attivista LGBT Lyra McKee, vittima collaterale di un attentato rivendicato dall’IRA.

Le opzioni del Regno Unito non sono molte e non si è ancora capito come verrà gestita la situazione irlandese. Si potrebbe tracciare un confine in mezzo al mare o abbandonare in toto l’idea di un confine tra Ulster ed Eire, mantenendo l’unione doganale e la libera circolazione di merci e persone. Spaccare in due l’isola sarebbe complicato e in generale si vorrebbe evitare la creazione di una frontiera fisica fra Irlanda del Nord e Repubblica Irlandese, che di per sè non c’è mai stata e sarebbe logisticamente difficile da costruire: il confine infatti spaccherebbe case e dividerebbe stradine di campagna e fiumi.

Certo è che una questione che era stata risolta principalmente grazie al Good Friday Agreement e alla creazione del Mercato Unico Europeo è stata profondamente minata dalla decisione di lasciare l’Unione – avversata dagli elettori nordirlandesi, peraltro. I muri fisici che rimangono a Belfast come retaggio di un periodo ‘travagliato’ e che stavano appena cominciando a sgretolarsi con le nuove generazioni, stanno rischiando di ridiventare muri culturali.

Rebecca Franzin

Studio a Trento, ma sono di Vittorio Veneto (tecnicamente Solighetto). Forse un giorno mi laureerò in Studi Internazionali; nel frattempo, se siete credenti, sentitevi liberi di includermi nelle vostre preghiere.

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