Honeyland, un film necessario contro le logiche di consumo

Attenzione: l’articolo contiene spoiler sul film!

Honeyland è il film candidato dalla Macedonia del Nord per gli Oscar 2020 ed è stato proiettato in occasione del festival Tutti nello stesso piatto. Si tratta di un documentario incentrato sulla vita di una delle ultime apicoltrici in Europa. Quando è stato proiettato al cinema Astra di Trento, una volta terminato, il pubblico (di tutte le età) si è apprestato a fare i complimenti all’organizzatrice, Beatrice De Blasi, per la splendida scelta. Un film commovente, dicevano alcuni, sembrava di poter toccare quelle case, quelle pietre. La domanda sorge spontanea: come può un documentario incentrato sulle api essere così toccante?

Il lungometraggio è stato girato nell’arco di quattro anni dalla coppia registica Kotevska – Stefanov, un lasso di tempo estremamente lungo che ha permesso ai registi di selezionare con cura il materiale e raccontare una storia coinvolgente e senza tempi morti. Il racconto è talmente bello che in certi momenti ci si dimentica di star guardando un documentario. Ci sono scene in cui la protagonista accudisce la vecchia madre cieca da un occhio, in cui le due discutono e trovano un livello di intimità che arriva quasi a far dubitare della presenza della telecamera. Com’è possibile essere così naturali quando ti stanno filmando? Forse dopo quattro anni l’operatore diventa veramente invisibile.

Hatidze, la protagonista, è l’ultima allevatrice di api in un’isolata regione montagnosa dei Balcani. Tutti se ne sono andati dal villaggio, racconta in una scena del film a un venditore ambulante, siamo rimaste solo io e mia madre. La solitudine di Hatidze è spiazzante: si trova in un paese fantasma, senza strade o elettricità e in mezzo a case vuote, ma lei continua con dedizione a ricavare il suo miele, giorno dopo giorno. Metà a me, metà a loro [le api]; questo è l’insegnamento che dà Hatidze a chiunque le chieda consigli. Forse ciò che ha coinvolto il pubblico è proprio l’equilibrio quasi magico che si viene a creare fra allevatrice e natura, un legame che si tende a perdere nella vita cittadina dove, inevitabilmente, viene spezzato.

Una famiglia di nomadi si trasferisce nel villaggio e comincia a sfruttare il territorio e rovinare il microcosmo che l’allevatrice si era creata. Devo sfamare i miei figli, afferma il capofamiglia Hussein. Lui stesso è obbligato dal suo acquirente a produrre più del dovuto, a non curarsi delle api di Hatidze che sicuramente ne risentono e andare avanti. Si delinea in tutta la sua crudezza la logica di consumo che piega ambiente e produttore. Le ultime sequenze del film sono insolitamente strazianti. È come assistere alla distruzione di un’opera d’arte.

“Hatidze’s story is a microcosm for a wider idea of how closely intertwined nature and humanity are, and how much we stand to lose if we ignore this fundamental connection.” Ljubo Stefanov & Tamara Kotevska

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