L’umanità si arresta a Edirne

La situazione in Medio Oriente è sempre peggiore e le conseguenze riguardano anche noi: i recenti accadimenti nella regione di Idlib, nel nord-ovest della Siria, ne sono un esempio. Già a fine dicembre il presidente siriano Bashar-al Assad aveva deciso di dispiegare l’esercito per riconquistare l’ultima roccaforte di ribelli siriani nel Paese: Idlib, per l’appunto. Uno scenario complesso, quello siriano, di cui risulta difficile mettere insieme i pezzi.

Cosa è successo?

Con gli accordi di Astana (2017) si erano create delle zone di de-escalation del conflitto, la più vasta delle quali è stata proprio quella di Idlib; la tregua, tuttavia, non valeva per la lotta al terrorismo e Assad si impegnò a rispettarla solo fintantoché anche i ribelli lo avessero fatto. Gli accordi di Astana sono stati seguiti dagli accordi di Sochi nel 2018, i quali si sono, però, rivelati un fallimento. Quest’ultimo fallimento ha mostrato tutte le debolezze dello schema degli accordi di Astana, uno schema improntato al soddisfacimento degli interessi particolari dei singoli intervenienti esteri, senza tenere in considerazione gli interessi degli attori locali.

La situazione ad Idlib è l’esito di ripetute offensive governative contro i ribelli, anche nelle zone di de-escalation delineate ad Astana, che hanno portato milioni di profughi a riversarsi nella regione. Nel 2018 gli accordi di Sochi avrebbero dovuto fornire una soluzione. All’esito della conferenza di Sochi, si era fatta di Idlib una regione demilitarizzata con l’intento di creare, così, una zona cuscinetto e separare i ribelli dalle forze fedeli ad Assad; fondamentale per il raggiungimento dello scopo sarebbe stato il ruolo della Turchia, la quale avrebbe dovuto smantellare e disarmare i gruppi terroristici-ribelli presenti nella zona.

Il fallimento della Turchia in questo suo compito, ha portato il regime di Assad a violare più e più volte gli accordi di Sochi e, infine, sferrare a fine dicembre 2019 una potente offensiva verso Idlib, con l’obiettivo di riprenderne il controllo, di annientare i gruppi siriani ribelli, indebolire la presenza militare turca nella regione nonché di riconquistare due importanti arterie di comunicazione: l’autostrada M5 che collega Aleppo e Damasco e la M4 che collega Aleppo e Latakia. La reazione di Recep Tayyip Erdoğan all’offensiva siriana non si è fatta attendere e in brevissimo tempo le tensioni al confine tra la Turchia e la Siria si sono esacerbate. Dopo l’uccisione di altri sei militari turchi negli ultimi giorni di febbraio, degli elicotteri militari siriani sono stati abbattuti ed Erdoğan ha deciso di aprire i confini con la Grecia, consentendo così a migliaia di profughi siriani di giungere nel Vecchio Continente. 

Il 5 marzo Putin ed Erdoğan si sono incontrati per giungere ad un accordo rispetto alla situazione ad Idlib, dopo che il secondo dei due aveva chiesto al primo di astenersi dal sostenere Assad e intervenire nei più recenti scontri ad Idlib – astensione che però non si è verificata. Nell’accordo Ankara e Mosca hanno deciso di creare una zona di de-escalation lungo l’autostrada M4 (v. mappa giù) e dichiarare un “cessate-il-fuoco”. L’accordo, in realtà, è stato molto deludente perchè probabilmente non porterà alla risoluzione di nessuno dei problemi che lo scontro Turchia-Siria pone: anzitutto, la questione dei profughi siriani. Negli ultimi anni sono stati circa 3 milioni di persone a lasciare la Siria a causa delle persecuzioni di Assad, il quale peraltro non ha alcuna intenzione di riammettere nel Paese potenziali oppositori. In secondo luogo, negli accordi di Mosca del 5 marzo nessuna soluzione è stata trovata al problema più grande che coinvolge la Siria e che attira gli interessi degli Stati esteri: la spartizione territoriale del Paese. 

E l’Unione Europea?

In questo complesso scenario geopolitico, l’Unione Europea resta estranea e subisce i contraccolpi di una vicenda che le sembra molto lontana ma che, in realtà, è molto più vicina di quanto essa stessa non desideri. La principale fonte di preoccupazione per l’UE è l’ondata migratoria, tant’è che nel 2016 era stato siglato un accordo con la Turchia in virtù del quale la prima avrebbe dato alla seconda un totale di 6 miliardi di euro in tre anni in cambio dell’impegno della Turchia a tenere chiuse le frontiere sul versante occidentale al confine con la Grecia. Proprio quelle che tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo sono state aperte, quale mezzo di pressione sull’UE, perchè questa intervenisse nel conflitto in Siria. 

L’UE non si mostra per niente in grado di gestire la questione migrazioni e Ankara lo sa molto bene. Per questa ragione Erdoğan sa di toccare un nervo scoperto quando decide di aprire le frontiere. Il ricatto è palese: in cambio di sostegno militare e politico (specie in seno alla NATO, in cui la Turchia ha ultimamente difficoltà a ottenere ciò che vuole), la Turchia terrà chiusi i confini. Da parte sua l’UE non è in grado di gestire una situazione del genere e lo dimostrano le ultime dichiarazioni della presidentessa della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, nonché le modalità attraverso cui si affronta il problema. In particolare, la polizia greca ha deciso di respingere – violando il diritto internazionale – i profughi siriani al confine con la Turchia con lacrimogeni e un uso sproporzionato della forza armata; dall’altro canto, la Von Der Leyen si è recata in Grecia insieme al Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, e al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e l’unica cosa che è riuscita a fare è stata di lodare (lodare?) le misure greche di “protezione dei confini europei”; nessun rilievo, invece, sulla violazione dei diritti umani che gli stessi greci stanno commettendo per “proteggere” l’Europa dalla grande minaccia a oriente dei profughi. 

La verità è che l’Europa si è disinteressata di quello che stava accadendo in Siria, o meglio, non ha considerato che il problema dei flussi migratori ha alla sua fonte la questione siriana, rispetto alla quale, però, non ha alcun poter contrattuale essendosi sin dall’inizio auto-esclusa dai tavoli di confronto e lasciandone la gestione a Turchia, Russia e Iran che si son semplicemente spartiti le fette migliori della torta, senza pensare al resto. 

Cosa bisogna aspettarsi?

Difficile predirlo, ma sicuramente gli accordi di Mosca sono dei palliativi e come le altre creazioni di zone cuscinetto non risolveranno nulla, perchè non si agisce alla radice del problema ma solo a latere per preservare i propri interessi e mantenere i precari equilibri che con estrema difficoltà si sono raggiunti più di recente, soprattutto nei rapporti tra Ankara e Mosca. I flussi migratori continueranno ad essere per l’Europa, incapace di trovare politiche comuni di integrazione e misure sociali adeguate, una piaga. A rimetterci, come sempre, continueranno ad essere i civili: uomini, donne e bambini i cui diritti verranno calpestati nell’indifferenza più assoluta dei grandi progrediti, civili e democratici Stati europei. 

lorena bisignano

Studentessa di giurisprudenza.

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