Occhio non vede, elettore non duole.

“Il Governo italiano esprime soddisfazione per quello che la Libia fa per i salvataggi” e l’Unione Europea si impegna ad accrescere questo livello di soddisfazione ed estenderlo a tutti i 26 Stati Membri. Non si tratta di un impegno dichiarato né formale bensì la traduzione di più condotte convergenti: meno migranti devono calcare le coste europee, whatever it takes.

Amici e nemici (Italia). Ad aprile 2021, il giornale Domani rivela un vasto programma di intercettazioni effettuate nel 2017 dalla procura di Trapani su 15 giornalisti e 5 altri soggetti (tra indagati, avvocati difensori e un senatore della Repubblica, Luigi Manconi) riguardante un’inchiesta sul ruolo delle ONG nel Mediterraneo. I giornalisti coinvolti denunciano la sospensione prolungata ed ingiustificata dei diritti costituzionalmente riconosciuti in quanto cittadini e professionisti, cui è stata violata la segretezza delle fonti giornalistiche e delle conversazioni degli avvocati con gli assistiti. Il caso più eclatante è quello di Nancy Porsia:  giornalista freelance intercettata per 6 mesi (telefonicamente e tramite geolocalizzazione) seppure il tema trattato da Porsia in quel periodo fosse l’attività della Guardia costiera libica in Libia, quindi solo marginalmente legato al lavoro delle ONG. Le 30mila pagine di intercettazione di Porsia sono state depositate ed inviate al giudice per decidere se iniziare le indagini preliminari, mai cominciate. Mentre gli uffici della polizia giudiziaria pullulano di ansie e turbamenti rispetto a cosa i giornalisti italiani sanno e divulgano sulla gestione antiumanitaria libica della migrazione (pagata da Italia ed UE), tra i corridoi delle procure d’Italia infesta l’angoscia delle organizzazioni umanitarie poiché inequivocabilmente dove ci sono loro i migranti sbarcano. Ignorando (o volendo ignorare) che, dopo la soppressione di Mare Nostrum, se non ci fossero stati loro non sarebbe rimasto che il mare ad ingoiare persone. Eppure già nel dicembre 2016 era Frontex a rasserenare la nostra magistratura dalle proprio paure: in un report l’Agenzia doganale europea svalutava la teoria del c.d. “pull factor”, secondo cui l’attività delle ONG costituirebbe un incentivo alle partenze, e non sollevava alcun sospetto su fantomatici accordi tra le organizzazioni umanitarie operanti e gli scafisti libici. La trepidazione dei palazzi di giustizia patri sembra aver contagiato anche i gabinetti ministeriali e in particolare il Viminale, il quale, nel dicembre 2016 (dalla gestione Alfano a quella Minniti), diramava una circolare interna rivolta alle Sco (Servizio centrale operativo): ivi suggerite linee d’azione tra quelle seguite nelle indagini e intercettazioni dei giornalisti. A conclusione del mosaico dell’apprensione istituzionale verso le ONG ed i reporter italiani, citiamo l’apice dell’ azione politica italiana mirata a silenziare il Mediterraneo serrando le coste libiche, ovvero la trattativa segreta (rivelata da Avvenire), presso il CARA di Mineo nel 2017, tra delegati governativi italiani e tripolitani per decidere un blocco delle partenze dei profughi. Tra le file libiche, al tavolo col personale italiano, spiccava Abd al-Rahman al-Milad, detto Bija, già all’epoca accusato dall’Onu per traffico di esseri umani e recentemente scarcerato, in occasione della pacificazione della nuova Libia unificata.

Non aprite quella chat (Unione Europea).“Frontex non ha mai cooperato direttamente con la Guardia costiera libica” precisa Fabrice Leggeri, direttore dal 2015 dell’Agenzia europea per guardia di frontiera e costiera, tuttavia smentito il 29 aprile 2021 da un’inchiesta del Der Spiegel: il giornale tedesco ha rivelato informazioni inedite riguardanti la nuova gestione dei recuperi in mare, entrando in contatto con funzionari di Frontex ed ufficiali libici. Secondo quanto riportato dal Der Spiegel e contrariamente ai trattati internazionali sulle zone SAR, i pattugliatori aerei di Frontex non comunicano più le coordinate dei barconi intercettati né alle capitanerie europee né alle navi civili, anche quando più vicine ai profughi, ma direttamente alla Guardia costiera libica (un organismo formato da miliziani e creato ad hoc per la gestione migratoria, grazie a fondi europei). Generalmente, in seguito ad una segnalazione aerea o satellitare, i salvataggio di persone in difficoltà in mare (“search and rescue”, SAR) dovrebbero essere gestiti dal MRCC (Maritime rescue coordination centre) situato a Roma. Le zone SAR sono di responsabilità degli Stati, ma non escludono l’intervento di qualunque imbarcazione possa utilmente salvare vite. Oggi, oltre al MRCC, Frontex rivolge informazioni al JRCC (Joint rescue coordination centre), cioè un ufficio libico incaricato di diramare le disposizioni di soccorso a qualsiasi nave si trovi nelle vicinanze di profughi. Generano perplessità, attorno all’efficienza e autonomia operativa della JRCC, le strumentazioni disponibili nella sede del Centro se rapportate alle importanti mansioni di ricezione dei dati e coordinamento dei soccorsi marittimi: una piccola stanza di ufficio nell’aeroporto di Tripoli, dotata di 2 computer e incapace di monitorare anche le sole coste libiche (quindi fattualmente cieca senza i dati della sorveglianza aerea Frontex). “Il JRCC e la guardia costiera sono la stessa cosa, non c’è differenza” così Massoud Abdalsamad direttore del JRCC, nonché comandante della Guardia costiera libica, scioglie ogni dubbio di indipendenza sull’organo. Il protocollo Frontex-JRCC somiglia quindi ad una foglia di fico che, celate dietro le apparenze e le dichiarazioni istituzionali, nasconderebbe una certa confidenza e sintonia operativa. Lo Spiegel denuncia lo scambio di coordinate via Whatsapp, tra i funzionari Frontex ed i militari libici. Così attualmente la Guardia costiera libica non è solo la prima ad intervenire ma spesso la sola a poterlo fare in quanto l’unica documentata sulle segnalazioni aeree, a discapito dei trattati SAR e della tutela reale dei naufraghi, i quali rimangono inascoltati negli affondamenti e soccorribili solo dalla Libia. Sarebbe moralmente giustificabile l’immediatezza informale di Frontex se fosse motivata a salvare vite umane dalla ghigliottina del Mediterraneo, ma è una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 2012 a depennare indulgenze: i migranti non possono essere riportati in Libia poiché la loro integrità è minacciata da violenze, torture e morte. Solo le notizie dei corrispondenti europei e delle associazioni umanitarie sottolineano, giorno dopo giorno, l’attualità della sentenza e l’impossibilità di esprimere “soddisfazioni”.

Tra sparizioni e scatole di soldi (Libia). La Libia sembra oggi riunita. Dopo 10 anni di instabilità e un’accelerazione finale della guerra in seguito al coinvolgimento di Russia e Turchia, nessuna delle due fazioni in conflitto (governo tripolitano e cirenaico) hanno prevalso definitivamente e l’equilibrio diviene il male necessario da accettare per l’esistenza stessa di una società stremata. Ai paesi interventisti, in primis la Turchia, è riservata la prima fila della grande ricostruzione ma anche l’Unione Europea muove le proprie pedine sul parco d’investimento. Sarà con l’inedito NDICI (Strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale) che l’Unione vuole gestire le grandi potenzialità concretizzatesi in Libia. Nel viavai di premier in visita ufficiale e di piani d’investimento i profughi sono ignorati, come inesistenti. Nulla in NDICI e nei discorsi dei premier europei. Una categoria esclusa dal dinamismo di questi cambiamenti nonché in anomala e preoccupante sparizione dai radar delle organizzazioni internazionali. I centri di raccolta ufficiali (cioè campi di detenzione antiumanitaria) in suolo libico si sono quasi dimezzati, oggi rimangono 13 campi con una capienza di 4 mila migranti (nel 2017 erano 30 i campi e 15 mila i profughi internativi), ma i rifugiati intercettati in mare sono in aumento. Federico Soda, capo missione OIM, su L’Espresso esprime la sua preoccupazione per la sparizione dal monitoraggio dell’organizzazione di migliaia di rifugiati intercettati dalla Guardia costiera libica: a fronte di 12mila profughi riportati in Libia nel 2020, lo Stato dichiara che 4 mila di essi rimangono nei centri di raccolta ma senza indicare dove si trovi la restante parte. Sull’ipotesi che questi siano finiti nelle mani di gruppi armati, Soda risponde “Qualcuno è uscito per assistenza OIM per rimpatrio volontario, qualcuno è riuscito a scappare. Su altri c’è il punto interrogativo e siamo molto preoccupati di non riuscire a tracciare questi spostamenti”.

Nonostante la permanenza nel dibattito pubblico ed istituzionale europeo, la questione migratoria non appare in via di risoluzione. La politica continua a concepire il flusso migratorio tra due continenti vicini (rispettivamente il più demograficamente vecchio e ricco e il più giovane e povero) un cortocircuito e una problematica cancellabile. In questi anni l’Unione Europea non ha scelto la regolamentazione della migrazione, piuttosto il blocco totale delle partenze a qualunque costo: finanziando guerriglieri e campi di detenzione in perenne violazione dei diritti umani, oltre che allargando le maglie del controllo civile per potersi muovere con maggiori libertà in uno spazio sempre meno battuto dalle ONG. Se è vero che il silenzio dice più di mille parole, risuonano ancora le grida di tutte le vittime delle atrocità permesse e silenziate dalla terra bruciata fatta in mezzo al mare.

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