“LA ‘NDRANGHETA NEL NORD ITALIA Dall’Emilia-Romagna al Trentino”

Il 21 gennaio è stata una giornata storica per la città di Trento. Alle ore 9:30 del mattino, si è tenuta una manifestazione davanti al Palazzo di Giustizia in occasione della prima udienza pubblica con rito immediato del cosiddetto processo “Perfido”, che per la prima volta potrebbe ammettere l’esistenza della mafia nel Trentino. Questo processo mette sotto stato di imputazione almeno 18 persone (14 nel processo immediato, 4 in quello abbreviato e ancora da definire in quello ordinario) con accuse che vanno dall’appartenenza ad associazione di stampo mafioso all’imposizione di condizioni di sfruttamento nei confronti dei lavoratori. Il processo mette in luce i meccanismi di infiltrazione mafiosa all’interno di una industria locale: l’estrazione del porfido. Per approfondire l’operazione investigativa Perfido, vi consigliamo il podcast CAVEat! realizzato dal Presidio Universitario di Libera Trento “Celestino Fava” (qui il link per ascoltarlo su Spotify).

In serata, presso Palazzo Geremia, si è poi tenuta un’importante conferenza, riguardante le infiltrazioni mafiose all’interno del tessuto sociale e imprenditoriale delle regioni del Nord-Italia, dall’origine fino alle più recenti evoluzioni. Gli organizzatori e promotori di questo incontro sono stati l’Osservatorio Trentino Legalità, l’Associazione Antimafia Cortocircuito, il Presidio Universitario di Libera e il Comune di Trento. La conferenza è stata seguita sia in presenza che online per soddisfare l’alto numero di partecipanti.

Oltre alla presenza delle figure istituzionali locali – tra le altre: il sindaco Franco Ianeselli, il procuratore della Repubblica e il questore di Trento – vi è stata un’ampia partecipazione anche da parte della cittadinanza e della comunità studentesca.
Dopo un’introduzione del sindaco, orgoglioso di ospitare l’evento nelle sedi municipali e di assistervi, sono intervenuti durante la conferenza Elia Minari, giurista e fondatore dell’Associazione Antimafia Cortocircuito, Nicola Morra, senatore e presidente della Commissione parlamentare antimafia, e infine Gaetano Paci, procuratore aggiunto della città di Reggio Calabria.

Nel suo primo intervento, il procuratore Gaetano Paci ha dapprima chiarito che le mafie operano ormai in qualunque mercato merceologico esistente e si è soffermato sul radicale cambiamento di modus operandi a cui le organizzazioni mafiose ricorrono per intrecciare relazioni all’interno della società civile. Inoltre, ha illustrato la loro crescente espansione ed insediamento all’interno di tutto il territorio europeo, a sottolineare la nuova geografia del fenomeno mafioso: non più solo italiano o meridionale ma già ben radicato in Europa. Questa evoluzione ed espansione nasce in primo luogo da un vantaggio relativo della ‘ndrangheta rispetto allo Stato, il quale per decenni, mentre la mafia calabrese si insediava nel resto d’Italia e verticalmente nelle istituzioni, ha considerato l’organizzazione una problematica regionale e circoscritta. Tale vantaggio ha permesso alle organizzazioni criminali di creare una nuova immagine del fenomeno mafioso adatta ai territori del Nord Italia che, invece di ricorrere in maniera ordinaria ad estorsioni, sequestri di persone e omicidi, si muove da insider all’interno del tessuto imprenditoriale delle comunità. La ‘ndrangheta non è un fenomeno “etnico-regionalista”, circoscritto a soli calabresi e con un’organizzazione rurale, a bassa specializzazione e preparazione tecnica retriva, al contrario vanta affiliati in tutto il mondo e utilizza l’expertise di imprenditori e commercialisti autoctoni, allacciati alle comunità in cui operano per l’ndrangheta. La mafia ha quindi cambiato volto: non più (se mai lo è stata) quello da film gangster hollywoodiani, ma di azienda quasi indistinguibile tra le altre nelle più floride economie d’Europa. Infine, l’ndrangheta si è saputa adattare alle grandi trasformazioni economiche e politiche, passando sottotraccia meglio di Cosa Nostra e Camorra. Ciò ha reso il fenomeno ‘ndranghetista irrintracciabile e difficilmente coercibile da un coordinamento internazionale tardivo, poiché nessun altro paese europeo ha mai sviluppato una particolare sensibilità sul tema. Anche le attuali prime inchieste giudiziarie nel Nord Italia, che hanno scoperchiato un vaso di Pandora e rappresentano conquiste nel processo di lotta alle mafie, sono tuttavia sintomo del ritardo decennale dello Stato, incapace di farne fronte a causa della mancata consapevolezza sui territori e dell’evoluzione rapida e silenziosa dei metodi dell’organizzazione.

Elia Minari ha poi citato alcuni passaggi delle indagini del maxi processo Aemilia, in particolare come gli imprenditori tra l’area di Reggio Emilia e Bologna abbiano ricercato contatti con le organizzazioni mafiose, al fine di abbattere i costi della mano d’opera e dei tributi, aumentando gli utili. Inizialmente gli imprenditori ottenevano maggiori profitti, a discapito dei diritti dei lavoratori sfruttati, per poi ritrovarsi all’interno del vortice estorsivo, in cui lentamente la mafia prende pieno possesso delle aziende e (quando si diffonde capillarmente) del mercato locale, dettando le regole d’impresa, stabilendo chi assumere, quali merci produrre e il loro prezzo di mercato.

Successivamente, il senatore Nicola Morra ha aggiunto che attualmente, anche nel Nord Italia, non ci si rivolge all’Ndrangheta solo alla ricerca di benefici economici, ma anche per ottenere vantaggi politici, come dimostrano le elezioni comunali di Reggio Emilia del 2009: il Comune emiliano è stato infatti commissariato per infiltrazioni mafiose. Morra ha anche citato le vicende del processo Jenda, in Valle d’Aosta, per illustrare come le organizzazioni mafiose penetrino nelle comunità e di come le autorità locali abbiano a lungo risposto con distacco alle segnalazioni delle altre procure: sembrava come se il fenomeno mafioso, composto da persone e fondato su sistemi di business imprenditoriali e societari, non potesse oltrepassare il confine piemontese e la Valle d’Aosta se ne sentiva intangibile. Concludendo sui differenti gradi di consapevolezza tra Nord Italia e ambienti in cui la mafia è un fenomeno oppressivo, a volte un regime, Morra ha poi raccontato la reazione di un dirigente della polizia valdostana all’arresto di notabili professionisti o collaboratori di politici regionali: “ma accompagnava sempre i figli a scuola“.

Vi è stato anche un intervento del procuratore della Repubblica di Trento, il dottor Raimondi. La città di Trento vedrà istituita a breve una struttura denominata SISCO (Sezione Investigativa Specializzata in Criminalità Organizzata) e assunte nuove forze di polizia locale nella funzione di polizia giudiziaria specializzate nell’indagine di potenziali infiltrazioni da parte di associazioni mafiose nel tessuto trentino.

Elia Minari ha poi spiegato quali sono i segnali che la società civile e le forze dell’ordine devono essere capaci di cogliere per riconoscere l’infiltrazione delle mafie nelle imprese locali, ad esempio: afflussi ingenti e improvvisi di denaro, cambi frequenti nei ruoli apicali e nell’assetto societario o addirittura del tipo di azienda (es. da impresa edile a ristorante) e grandi incongruenze tra il numero di dipendenti dichiarati e quello dei dipendenti effettivi.

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