Intervista ad Alessandro Sahebi e Viola Carofalo

Giovedì 7 aprile si è svolta la conferenza Non ci sono alternative? Un’analisi sulla ripartenza post pandemica, organizzata dall’associazione studentesca UDU Trento e mediata da Alessandro Senatore. Gli ospiti erano Alessandro Sahebi, giornalista freelance, e Viola Carofalo, docente e ricercatrice presso il dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università degli Studi di Napoli. La conferenza, tenutasi nell’aula Kessler del Dipartimento di Sociologia, ha trattato le questioni della pandemia e del conflitto ucraino in termini di narrazione mediatica e di intervento politico. Nel corso del dibattito sono emerse le criticità del modello sociale e culturale in cui siamo immersi, fortemente incentrato sull’individualismo e incompatibile con le problematiche attuali.

Alla fine della conferenza ho intervistato gli ospiti. Di seguito le domande che ho posto.

1. Con il titolo della conferenza (Non ci sono alternative?) si stanno muovendo delle critiche verso alcuni modelli sociali e culturali. Potreste illustrarceli brevemente?

Viola: L’idea di fondo è che in questo modello sociale e culturale scompare la possibilità di intervenire efficacemente nel mondo. Quello che svanisce è la nostra possibilità di guardare al futuro come qualcosa da trasformare e su cui possiamo intervenire concretamente. È necessario leggere, studiare e informarci per riattivarci e provare a immaginare delle possibili soluzioni a un sistema che ci viene presentato come privo di alternative.

Alessandro
: L’idea della mancanza di alternative è un’idiozia dal punto di vista storico, in quanto non esiste periodo storico che poi non sia crollato. Il mondo è in costante mutamento e le domande che dobbiamo porci sono queste: che cambiamento vogliamo? Qual è la direzione che vogliamo prendere? Non dobbiamo chiederci se esistono delle alternative, ma che alternative possiamo costruire.

2. Questo evento è fortemente rivolto agli studenti universitari. Quali saranno le sfide che dovranno affrontare in futuro, considerando anche gli eventi recenti?

Viola: Sicuramente è una sfida di equilibrio e socialità, che viene anche prima della possibilità di formarsi e trovare un lavoro. Gli ultimi due anni ci hanno portato a un totale isolamento e a una condizione di grande chiusura. Penso che la vera sfida sia questa: uscire da questi due anni di pandemia, valorizzando quegli aspetti di interconnessione che hanno permesso di sviluppare solidarietà reciproche. Secondo me, chi ha vissuto la pandemia da studente – dunque in età di formazione – ha avuto la possibilità di riflettere sui temi che abbiamo trattato durante la conferenza.

Alessandro: La mia risposta è simile a quella che ha dato Viola. In università mi ponevo spesso le domande “chi sono?” o “chi diventerò?”. Abbiamo una visione futura di noi stessi basata fortemente sulla traiettoria occupazionale. Infatti, il nostro modello culturale e sociale dà moltissima importanza a determinate professioni, alla nostra presentazione su profili social come LinkedIn e al titolo di studio acquisito. Però noi non siamo solo carriera, siamo anche cittadini. Come diceva Viola, l’essere cittadini presuppone l’esistenza di un piano collettivo che si sta indebolendo. Ribaltare l’ideologia individualista significa anche tornare a essere dei buoni cittadini della Repubblica.

3. Prendendo in considerazione le vostre professioni, quali sono le criticità che potrebbero presentarsi in un tempo indefinito se non si avviano determinate trasformazioni?

Viola: Le criticità principali le abbiamo un po’ tutte davanti. Sicuramente quella di una crescente atomizzazione, di un maggiore individualismo. Un individualismo che non significa essere concorrenziali e fare carriera, ma essere “scollegati” dagli altri e non rendersi conto che le condizioni in cui lavorano – sia in attività manuali sia intellettuali – sono molto simili in termini salariali e di tutele, soprattutto nel caso delle classi meno agiate. È necessario far emergere questi aspetti, in modo da costruire una coscienza forte e una nuova capacità organizzativa e trasformativa.

Alessandro: Considerando la mia professione, la criticità maggiore è essere soggetto alla precarietà – che può essere economica, del tempo utilizzato per redigere un articolo, etc. La precarietà riguarda anche la qualità dell’informazione che produciamo e divulghiamo. Ci rivolgiamo spesso dei cittadini che possiedono delle informazioni fondamentalmente deformate, distorte dalla narrazione di altri media.

4.1 Vi rivolgo individualmente una domanda specifica. Partiamo da Viola: quali sono le trasformazioni politiche e sociali che hai studiato e documentato negli ultimi anni?

Viola: Se ti riferisci alla questione del Covid e alle misure di contenimento, sicuramente sono cambiati il metodo d’insegnamento e il rapporto con gli studenti. Ma non voglio soffermarmi solo sul lato negativo: penso che queste trasformazioni possano condurre a una maggiore democratizzazione dell’università, consentendo l’accesso ai corsi anche a coloro che non possono permettersi di vivere da fuorisede. Certamente tali misure hanno ridotto la socialità e la possibilità di condivisione dei contenuti dei corsi. Per questo ritengo che sia importante rivivere al più presto l’università come luogo di socialità, di scambio culturale e relazione, aspetti che sono mancati molto negli ultimi due anni.

4.2 Alessandro, ci potresti illustrare i maggiori problemi del mondo giornalistico, non soltanto nel contesto italiano? Cosa significa essere giornalista oggi?
Alessandro: Come ho già detto nella conferenza, il grosso problema è che sono libero dalla coercizione politica e da una parte delle forze dell’ordine, però non sono libero di fare informazione, cioè di pubblicare delle informazioni sulla realtà che documento. Essere giornalista significa trovarsi in una posizione che comporta degli effetti ambivalenti. Da una parte, il mio lavoro è una professione socialmente riconosciuta e apprezzata, che a sua volta comporta una responsabilità sociale enorme. Dall’altra, riprendendo la mia condizione attuale e le difficoltà che sto affrontando, non ci viene permesso di svolgere adeguatamente la nostra professione. Ci stiamo impoverendo in termini di qualità dell’informazione. Penso che sia necessario riprendere in mano la discussione sulla qualità delle informazioni che noi giornalisti divulghiamo.

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