Mio caro Sam

5 giugno 2022

Mio caro Sam,

Spero tu possa non arrabbiarti se perdo tempo a scriverti questa lettera, invece di studiare. In realtà, in questi giorni ho capito che si può passare un’infinità di tempo, senza che sia perso, a non far nulla; a stare fermi in una sala d’attesa con lo sguardo nel vuoto; a stare in piedi, senza parlare, accanto a persone che hanno semplicemente bisogno di averti lì vicino. Che poi, diciamocelo, sai bene che il “senza parlare” lo aggiungo io solo perché sono parecchio impacciato in queste situazioni, e preferisco stare zitto piuttosto che tirar fuori qualche frase fatta o qualche cliché. Del resto, sei sempre tu che parli anche per me quando usciamo, quando mi costringi a conoscere tutta questa gente, nonostante tu sappia benissimo che preferirei starmene in casa per i cavoli miei. 

Avresti dovuto vedere quanto ho socializzato in questi giorni. I ragazzi del Collegio mi sono stati tutti molto vicini. L’altra sera siamo stati fino alle tre e mezza di notte in cortile a bere birra e a raccontarci i ricordi che abbiamo di te. Avresti dovuto vedere quanta gente è venuta oggi alla camera mortuaria per salutarti: solo noi del Collegio saremmo stati una trentina; e poi sono venuti i tuoi compagni di corso, i tuoi vecchi compagni di scuola, i tuoi amici di paese, e tutti i tuoi familiari. Ho conosciuto i tuoi parenti: zii, nonni e cugini; ma, soprattutto, ho conosciuto tuo papà e tua sorella. Pensa che la sera dell’incidente tuo papà, appena arrivato all’ospedale, ancora prima di entrare a vedere te, si è preoccupato di me e di Gloria, che eravamo lì da un po’, e ci ha chiesto se avessimo mangiato. Sono quelle cose piccole che rendono grandi le persone… e ci credo che poi tu sei diventato così come sei. Ho conosciuto anche la tua mamma, seppur indirettamente. Mi hanno parlato di lei, mi hanno raccontato che persona fantastica fosse, e di come tu abbia preso moltissime sue caratteristiche. So che la tua passione per i pattini viene proprio da lei, e mi fa piacere che tu li abbia avuti con te fino all’ultimo.

E poi c’è la Benny, mio caro Sam, la tua Benny. Non preoccuparti di lei, le starò sempre vicino, così come faranno tutti i tuoi amici. Mi ha detto che posso tenermi le tue ciotole, ma ho voluto che tenessero loro quella che ti ho regalato due giorni prima dell’incidente. Fa un po’ ridere che la nostra passione comune fossero le ciotole, no? Neanche fossimo due vecchietti in pensione in cerca di hobby particolari per tenersi occupati. Ti ricordi quanto la usavi, la tua cavolo di ciotola? Ci bevevi il caffè, ci bevevi il the, ci mangiavi il couscous o i tuoi “semini” con il tonno. Per fortuna che te ne ho regalata un’altra io. 

Il resto l’hanno portato via quasi tutto. Pensavo che camera nostra sarebbe stata molto vuota, ma in realtà avevi poche cose, e il tuo letto è ancora fatto, come se fosse una delle tante notti in cui vado a dormire senza aspettarti perché tu sei giù in aula studio col tuo pc, e farai tardi. Almeno adesso sono sicuro di poter dormire tranquillo, senza dovermi svegliare la notte sentendo quei ridicoli discorsi che facevi tu nel sonno. Ti ricordi? Quanto ti ho preso in giro… dicevi delle cose assurde. Una notte penso tu stessi sognando di essere a una festa, o qualcosa di simile, e hai urlato «Venite! La musica è di qua!» per poi metterti a cantare un improbabile coro da discoteca, del tipo «paraparaparapa!», e tornare subito a dormire in silenzio, come nulla fosse.

Sai, Sam, tutti ti ricorderanno per le cose grandi. Tutti si ricorderanno il tuo sorriso, il tuo infinito altruismo, la tua solarità, la tua capacità di includere chiunque e di far sentire tutti a proprio agio, la tua immensa – esagerata, mio caro Sam, fattelo dire – dedizione allo studio, e la tua costante disponibilità ad aiutare chi ne avesse bisogno, nonostante ogni secondo di tempo fosse come oro per te. Io, però, preferisco ricordarti per le piccole cose quotidiane. Per quelle volte, ad esempio, che per farmi uno scherzo mi infilavi ovunque i cucchiaini: nelle scarpe, nei vestiti, nel cuscino, nello zaino. Una sera sono andato ad allenamento e ne ho trovato uno nel calzettone da calcio. Mi piacerebbe ricordarti per quel pomeriggio in cui ci siamo sparati i Linkin Park in cucina con la cassa a tutto volume, per la gioia dei nostri vicini. Oppure, mi piacerebbe ricordarti per tutte le volte che non riuscivo a studiare perché dovevo sentirmi mezz’ora di concerto perché cantavi sotto la doccia. Ti voglio ricordare per gli allenamenti che abbiamo fatto assieme in stanza; per le volte che abbiamo maledetto il gatto che non la smetteva di miagolare; per quando cantavamo Don Chichiotte di Guccini come fossimo due cavalieri; per i discorsi filosofici che ti costringevo a fare la sera in terrazzo, pur sapendo che tu avresti voluto tornar dentro a studiare; per tutte le ore che ho passato provando a convincerti a vedere qualche bel film, data la tua scarsa – e sono buono: sai che anche “scarsissima” sarebbe poco – cultura cinematografica. Ti ho spiegato che ti chiamavo “mio caro Sam” come nel Signore degli Anelli, tanto che, quelle poche volte in cui andavamo a dormire alla stessa ora, al mio «buonanotte Sam» avevi preso l’abitudine di rispondere «buonanotte padron Frodo».

Mi piacerebbe ricordarti per quella notte, due giorni prima dell’incidente, in cui siamo stati fuori in cortile a chiacchierare mentre montavi le ruote nuove sui pattini. Mi piacerebbe, mio caro Sam, ricordarti per quella sera che li hai indossati in camera, quei maledetti pattini, mentre io e Gloria stavamo studiando, e te ne sei uscito sfrecciando per il corridoio con il tuo «ciaoo» sorridente.

Tutto quello che è successo dopo, mio caro Sam, mi piacerebbe dimenticarlo.

Tuo

Andrea

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