Sparagna, una storia di sesso- racconto del film

Mancano pochi istanti alla fine del film. Sento il mio amico sussurrarmi all’orecchio: “Se entro i prossimi cinque minuti non si capisce qual è il problema del protagonista mi alzo e me ne vado”. Scherza, ma non troppo.

Nei successivi cinque minuti vediamo il protagonista, Michele Sparagna, ad una festa; una serie di immagini in sequenza che si presentano con la rapidità di scatti fotografici, un ometto che fuma, una donna che tiene in braccio un bambino, persone che mangiano sedute ad una tavolata. Stacco. Il primo piano di Michele Sparagna. Lo osserviamo salire su un palchetto e iniziare a cantare una canzone di Marco Mengoni. Gli ultimi due minuti si consumano in questa scena. Michele Sparagna canta con un atteggiamento rassegnato e una ragazza, a cui ci si riferisce poi nei titoli di coda con l’epiteto di “ragazza psicopatica”, già apparsa in precedenza nel film, lo guarda. 

Il film termina. Nel silenzio che accompagna il finale sento il mio amico quasi urlare “Senti, già non ero ben disposto prima di venire, ma adesso… Ma insomma, non si capisce niente. Chi è quella tipa? Perché appare alla fine del film?”. Tutti si girano verso di lui, io uso l’imbarazzo come pretesto per non rispondere. La verità è che non ho capito neanche io. Ma perché la ragazza appare nel finale? Qual è il senso del film? Il messaggio? 

Nel viaggio di ritorno verso casa il mio amico mi tempesta di domande. Io mi dico che non mi resta che fingere di aver colto il senso profondo del film, che però, purtroppo, gli riferisco, è inspiegabile a parole, bisogna saperlo cogliere istintivamente.

Tento di arrampicarmi sugli specchi; sorvolo su tutto quello che non ho colto e mi concentro su alcuni dettagli. Imbastisco un discorso sulla presenza della ragazza nel finale; lei è solo la proiezione di una paura di Michele Sparagna. Anche se sto avanzando congetture senza alcun fondamento e ne sono consapevole, mi dico che probabilmente sarà stato proprio quello l’intento del regista, Giulio Gulizzi. Alla fine, quasi arrivati a casa, lo convinco. Se ne va ringraziandomi, e mentre lo guardo allontanarsi quasi lo invidio. Vorrei essere certa quanto lui di aver compreso il film.

Qualche giorno dopo ci ripenso: qual era il messaggio che il corto voleva trasmettere? 

È fastidioso non avere una risposta. Perciò ripercorro con la mente la trama.

Sparagna racconta la vita di un ragazzo, a Palermo, e lo ritrae mentre guida per le strade della città, di notte, quasi sempre in silenzio, circondato da persone con le quali sembra per lui difficile comunicare. La madre e il fratello appaiono come fantasmi e gli amici, per i quali sembra provare più distacco che affetto, poiché è consapevole di non essere compreso, sono distanti.

Dopo averci ripensato, al mio amico direi che più che un film che vuole trasmettere un messaggio, Sparagna è la fotografia di uno stato d’animo. Attraverso la descrizione di alcuni incontri fortuiti, comprendiamo che il giovane protagonista è alla ricerca della sua identità, più esplicitamente a livello sessuale, ma non solo.

Più in generale, è un ragazzo tormentato dall’angoscia di definirsi, un’angoscia che, come se non bastasse, non è ben definita essa stessa; non è chiaro da dove nasca e non appare comprensibile neanche agli altri. Il mondo che circonda il protagonista è un mondo piatto, costellato di personaggi distanti, che non sono in grado né di aiutarlo né di comprenderlo.

Ciononostante, e in maniera quasi ironica, appaiono tutti più a proprio agio con la loro identità di lui. Le sensazioni ricorrenti nel film sono il senso di vuoto e la mancanza di comunicazione; la telecamera non si avvicina mai troppo ai volti degli attori, come se l’intento del regista fosse quello di rendere esplicita, attraverso le inquadrature, la distanza che allontana il protagonista dai suoi parenti. La cosa più sorprendente è che il divario tra lui e i vivi non appare poi di natura tanto diversa da quello che lo separa da suo padre, che scopriamo essere morto in una delle scene chiave del film.

“E la ragazza psicopatica?” La ragazza psicopatica potrebbe essere la rappresentazione umana della paura del protagonista di non riuscire a definirsi. L’ultima scena, quando lei lo osserva, rappresenta il fallimento di Michele Sparagna; è qui che la sua angoscia si traduce in rassegnazione. Non c’è più la volontà di distaccarsi dal mondo piatto che lo circonda, al fine di esplorarsi, ma piuttosto c’è il desiderio di respingere ogni tipo di cambiamento, di non porsi più domande.

L’atteggiamento di Michele Sparagna è quindi solo uno tra i tanti strumenti tramite i quali egli cerca di porre fine alla paura dell’ignoto. Anzi forse si potrebbe addirittura parlare, più che di semplici strumenti, di strategie di sopravvivenza; la ricerca continua di risposte alle domande più complesse è tipica della condizione umana, e la smania di voler mettere a tacere i dubbi che spesso rendono il mondo incomprensibile ai nostri occhi può portare ad adottare spiegazioni e atteggiamenti semplificatori. 

Insomma, mi dico, l’angoscia di Michele Sparagna non è poi tanto dissimile da quella che è sorta in me, e forse anche negli altri spettatori, mentre guardavo il film. Non è un caso, infatti, che non appena è terminato la nostra prima tentazione sia stata quella di descriverlo, definirlo, interpretarlo in modo tale da farlo rientrare all’interno di confini noti per porre fine al turbamento provocato, in ultimo, dalla stessa domanda che affligge il protagonista: “In fondo, chi è Michele Sparagna?”.

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