Parliamo di soldi con Natalia Ginzburg

“Arrivi a diciotto anni che respiri, e spendi soldi”. Questa la frase detta da un’amica un paio di anni fa che mi è rimasta impressa nella testa, e che non se ne è mai andata.

Quante volte alla settimana parliamo di soldi? A vent’anni, nel mondo in cui viviamo, che sia per fare una spesa, il secondo aperitivo della settimana, o per prendere i libri degli esami, il pensiero è inevitabile, i soldi sono perennemente intorno a noi. E forse è arrivato il momento di confrontarsi sulla questione, perché il rapporto col denaro non è semplice per nessuno di noi.

Eh sì, perché il denaro non è nostro amico, è un’entità subdola, che viene guadagnata e che viene spesa, che ha un valore che non rimane sempre uguale nel corso delle settimane ma cambia continuamente (come stiamo constatando in particolare in questi ultimi mesi). E poi, da un bel po’ di tempo non è nemmeno più qualcosa di effettivamente materiale, non sono sporche banconote che passano di mano in mano, ora sono fantasmi invisibili che si muovono intorno a noi. Parliamo di numeri su uno schermo, che crescono o che diminuiscono a seconda di quello che facciamo, e sembra che intorno a noi ci sia questo universo di corpuscoli invisibili che si muovono nell’aria, banconote volanti sopra le nostre teste che sbattono le ali e se ne vanno via nel momento in cui appoggiamo il telefono o la carta sul pos e si teletrasportano nell’aria, non si sa bene dove, con il risultato però che quel numero che vedevamo prima scende. Non si può essere amici di qualcosa di così volubile, di così meschino come il denaro. Eppure, che ci piaccia o no, ne abbiamo bisogno, e lo sappiamo bene, il mondo intorno a noi non fa altro che ricordarcelo. Insomma, le domande assillanti sono sostanzialmente queste: come fare ad avere un rapporto il più possibile sano con il denaro? Come fare a non sentirci dipendenti, o in colpa se ne spendiamo troppo per i nostri parametri? Come fare a toglierci dalla testa l’idea di avere spesso, troppo spesso, bisogno di soldi?

Mi è quindi capitato di riprendere in mano un libro comprato (sic!) quest’anno, che ha fatto calmare i frettolosi pensieri. “Le piccole virtù” è una raccolta di racconti di Natalia Ginzburg, pubblicati tutti insieme da Einaudi nel 1962, ma che erano già in precedenza comparsi su diverse riviste italiane. Sono microstorie molto diverse tra loro, ma la maggior parte sono riflessioni che Ginzburg si è trovata a mettere per iscritto fra l’autunno del 1944 e la primavera del 1960, su temi diversissimi, a partire dalla sua esperienza di vita in Inghilterra, passando per piccoli frammenti della sua storia coniugale, arrivando a parlare dell’oppressione fascista, del suo amore per la scrittura, fino a una commovente descrizione dell’amico Cesare Pavese, toccando argomenti anche molto differenti tra loro ma tutti accomunati dalla stessa limpida e vivace scrittura. L’opera intera può essere riassunta grazie a Italo Calvino, che scrive: “oltre alla lezione di vita, è una lezione di letteratura quella che possiamo trarre dalla semplicità di queste pagine”.

Ed è proprio nel racconto intitolato “Le piccole virtù” (che darà poi il nome alla raccolta) che si parla di soldi. Badate bene, non si parla solo di soldi, ma di come educare i figli a una cosa così scivolosa e inafferrabile come quella del denaro. Ora, la maggior parte di noi non è genitore e non ha figli da educare, ma è proprio questo il nostro punto di forza. Non siamo così piccoli da non comprendere in maniera profonda quello di cui si sta parlando, ma non siamo nemmeno così immersi nel problema dell’educazione dei figli da avere una visione che può essere distorta dai sentimenti. Leggendo queste piccole dieci pagine possiamo riflettere su come noi siamo stati educati al denaro, e che frutti ha dato questa educazione in rapporto al momento storico in cui viviamo. Insomma, va bene come stiamo, o abbiamo bisogno di un nuovo promontorio per vedere il denaro da un’altra prospettiva?

“Poiché siamo tutti assillati, in un modo o nell’altro, dal problema del denaro, la prima piccola virtù che ci viene in testa da insegnare ai nostri figli è il risparmio.”

“è giusto che i ragazzi vivano, nei primi anni della loro vita, ignorando che cos’è il denaro. […] e tuttavia è necessario, non troppo presto e non troppo tardi, spezzare questa ignoranza […] potremo anche invitarli ad essere sobri, a stare attenti al denaro che spendono: e in questo modo l’invito al risparmio non è più rispetto per una piccola virtù, non è astratto invito a portare rispetto ad una cosa che non merita rispetto in se stessa, come il denaro; […] ma è un invito a sentirsi adulti e responsabili di fronte a una cosa […] non specialmente bella né amabile, ma seria, perché legata alle nostre necessità quotidiane.”

Ginzburg, nel suo lungo discorso, non generalizza. Parla di soldi e parla di famiglie e distingue le situazioni anche in base alle diverse condizioni di disponibilità economica, trattando la questione in maniera differente se si parla di una famiglia ricca, povera, o medio – benestante, se i soldi vengono guadagnati e poi anche spesi, o se invece, pur di avere la sicurezza di averli sempre con sé si decide di non spenderli mai, per paura, facendoli però in questo modo marcire, trattandoli come “un dio funebre a cui non ci si può rivolgere nemmeno con un sussurro”. Riflette su quanto sia utile un premio in denaro dopo un bel voto a scuola, una paghetta in cambio di qualche faccenda domestica, insieme a tante altre piccole cose che tutti noi ci sentiamo molto vicini. Ciò che è importante è che decide di far rimanere invariato il nucleo centrale della questione che, secondo lei, è uguale per tutti, e cioè che è necessario arrivare a un atteggiamento di indifferenza per il denaro, senza esserne dipendenti ma al tempo stesso riconoscendo la sua necessità, vedendolo per quello che effettivamente è, e cioè un puro mezzo, e non un fine, senza innalzarlo a divinità ma senza neanche far finta che non esista spendendolo senza alcun riguardo. Abbiamo un grande bisogno di questo, di sentirci liberi di fronte al denaro.

Se quando si parla di soldi si arriva a sentirsi male, se ci si sente in colpa verso i propri genitori, se ci si sente in difetto rispetto ad altre persone o anche solo se sembra che il denaro occupi un po’ troppo spazio nei pensieri della giornata, c’è bisogno di trovare un equilibrio. Un equilibrio che non è uguale per tutti, ma che ognuno si può costruire in base alla propria sensibilità, alla propria famiglia, alle proprie condizioni, perché non bisogna nemmeno nascondere che la faccenda del denaro sia delicata. Infatti, per una questione di protezione sia personale che di chi ci sta intorno, ci si pensa due volte prima di parlare di vere e proprie cifre, prima di raccontare in lungo e in largo quello che si ha e quello che non si ha. Ed è giusto così, non fa bene a nessuno ostentare la disponibilità economica più o meno consistente, ma è anche giusto che dentro di noi si possa creare una relazione il più possibile sana ed equilibrata, per stare sereni con noi stessi nel modo che più preferiamo e per non farci influenzare dai continui cambiamenti che la vita ci può portare, nel breve o nel lungo periodo.

E se questo è un problema che vi sentite vicino, o avete una spiccata sensibilità tanto da non sapere più da che parte girarvi, io consiglio la lettura di questo racconto, che ha funzione lenitiva, fa respirare di sollievo e distende i nervi. Non risolve il problema, ma crea terreno fertile perché ci si possa provare. Ridimensiona la realtà, fornendo nuovi strumenti per misurarla, nuove bilance con cui pesare i diversi elementi che compongono la vita di tutti i giorni.

E poi, quel libro è illuminante per ogni singola pagina, quindi già che ci siete, perché non leggerlo tutto?

“Essere sobri con sé stessi e generosi con gli altri: questo vuol dire avere un rapporto giusto col denaro, essere liberi di fronte al denaro”.

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