Fuori dai confini: la ‘ndrangheta nel mondo

Uman Festival, la manifestazione organizzata da UNITiN e protagonista a Trento fino al 22 ottobre, ha scelto “Voci” come tema centrale di questa edizione. All’evento di martedì sera, in un Auditorium Santa Chiara gremito di gente, è stata proprio la voce di Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, ad essere la protagonista. Durante l’incontro, il magistrato è stato intervistato da Tommaso Ricciardelli, giornalista di Parliamo di Mafia, con il quale ha dialogato riguardo il fenomeno mafioso presentando il libro che ha scritto con Antonio Nicaso: ‘Fuori dai confini – la ‘ndrangheta nel mondo’.

Gratteri, tra le figure più autorevoli e più esposte nella lotta alla ‘ndrangheta, con noi ha gettato uno sguardo sull’evoluzione del fenomeno mafioso in Italia, evidenziando i cambiamenti degli ultimi anni all’interno della criminalità organizzata e le ripercussioni di questa nella società, mettendo in luce le conseguenze che eventi come la pandemia e la guerra in Ucraina hanno avuto sul fenomeno mafioso in Italia e nel mondo.

Il magistrato si è anche soffermato sul tema della percezione della mafia da parte dell’opinione pubblica nel nostro Paese, analizzando soprattutto il ruolo dello Stato in questa relazione. E proprio da qui è partita l’intervista, con una riflessione sul tema della (non) credibilità: secondo Gratteri questo è un discorso che parte da molto lontano. Lo riconduce al forte abbassamento morale ed etico che ha caratterizzato le istituzioni occidentali negli ultimi vent’anni, che le hanno spesso viste coinvolte in fenomeni di stampo mafioso, minando così la loro stessa credibilità. Parla di una disaffezione alle istituzioni citando il caso Palamara: un errore da cui siamo usciti indeboliti, un’occasione sprecata per lo Stato per recuperare la fiducia persa negli ultimi decenni. “La credibilità e il rispetto – afferma Gratteri – vengono dalle azioni, ed è fondamentale ottenerli affinché i provvedimenti presi abbiano un impatto concreto sulla società, e affinché le persone vedano nello Stato, anziché nelle mafie, un punto di riferimento”.

Proprio l’assenza dello Stato a livello territoriale costituisce uno dei punti deboli nella lotta alla criminalità organizzata, una problematica accentuatasi ancora di più in seguito alla pandemia: fin dai primi mesi di lockdown infatti ci siamo accorti che la politica non sempre era in grado di fornire risposte concrete a chi si trovava in difficoltà, in particolare in alcune regioni. In molti casi il vuoto lasciato dalla politica è stato colmato dalle mafie, che hanno saputo dare altri tipi di risposte. Questi gruppi, infatti, sono presenti costantemente sul territorio, sono consapevoli dei problemi e pronti a usarli a proprio vantaggio per inserirsi nei tessuti sociali locali.

Così come la pandemia ha aperto nuovi canali d’azione per i gruppi mafiosi, anche la guerra in Ucraina rappresenta uno dei nuovi fronti da tenere sotto controllo nella lotta alla criminalità: nel libro di Gratteri e Nicaso un intero capitolo è dedicato a questo conflitto, e in particolare al traffico illegale di armi a esso legato. Il rischio infatti è che, appena il conflitto cessi, le armi utilizzate vengano vendute al mercato nero entrando in un circolo vizioso con importanti conseguenze per la comunità internazionale; per questo è necessario monitorare da vicino la situazione e agire dove necessario.

Il focus del dialogo si è poi spostato sul traffico di droghe, uno dei principali canali attraverso cui opera la ‘ndrangheta, e la domanda di Ricciardelli è chiara: “Bolivia, Perù, Colombia sono i principali stati produttori di cocaina, come risolvere il problema della produzione di droga in questi Paesi?”

Emerge qui la visione del Procuratore, lungimirante, razionale, e forse un po’ pessimista: Gratteri sostiene che, geograficamente, non sembrerebbe un’impresa impossibile frenare la produzione di cocaina, dal momento che è prodotta solo in un’area del mondo a causa del clima, tuttavia, più verosimilmente, la questione non sarà risolvibile finché avremo organizzazioni internazionali deboli (come l’Onu) che non hanno una struttura sovranazionale tale da aprire un dialogo con gli attori criminali e far rispettare loro certe norme.

Un’altra questione centrale a tal proposito, che richiede di essere ascoltata perché sta diventando un’emergenza anche in Europa, è quella delle nuove droghe sintetiche. Per citare l’esempio più noto, la diffusione su larghissima scala del fentanyl, un’eroina sintetica molto più economica di altre droghe, negli Stati Uniti ha già causato migliaia di morti, centomila solo nel 2021, ed è tristemente destinata a diventare la causa di nuove stragi se non si combatte anche su questo fronte.  

Ampio spazio dell’intervista è stato dedicato ad alcune riflessioni sul futuro delle mafie: si prospetta una situazione in cui i reati verranno commessi attraverso l’informatica e le nuove tecnologie, ma in parte, dice Gratteri, è già così. La ‘ndrangheta, anche in Calabria, ha già provveduto a costruirsi le piattaforme più adatte per comunicare con la criminalità organizzata a livello internazionale, ne sono un esempio gli hacker stranieri che vengono pagati per compiere transazioni finanziarie intercontinentali e altre forme di riciclaggio sofisticato: in questo contesto devono preoccupare i paradisi normativi (più che i paradisi fiscali), ovvero quegli stati che costruiscono sistemi giudiziari ad hoc per impedire che certi reati vengano perseguiti.

La domanda che emerge a questo punto, ed è proprio Nicola Gratteri a porla, è un po’ provocatoria: in un contesto in cui le mafie sono già arrivate alle criptovalute, come facciamo nel nostro Paese a discutere ancora se siano necessarie le intercettazioni? E in effetti in Italia c’è stato un enorme dibattito sulla legittimità delle intercettazioni e su una loro eventuale riforma: le questioni che hanno fanno dibattere sono state le diverse interpretazioni della legge circa le loro modalità di utilizzo nelle indagini e la loro diffusione non autorizzata sulla stampa, oltre al fatto che secondo alcuni costerebbero troppo. Gratteri sostiene non solo che quello delle intercettazioni sia un costo irrisorio per uno Stato, ma anche che senza di queste non si vada da nessuna parte, perché le intercettazioni, nelle indagini di mafia, sono vitali.

Riemergono quindi dibattiti già aperti, ma soprattutto emergono nuove sfide: le mafie si evolvono insieme al contesto in cui si trovano, si evolvono in apparenza come in profondità, nelle abitudini, nelle persone, nei luoghi, e nelle strategie. La stessa ‘ndrangheta ha compiuto un salto di qualità: non ha aderito allo stragismo di Cosa Nostra ma si è evoluta aderendo ad altre mentalità, più subdole e penetranti. Vengono citate le parole di un boss mafioso: ‘Se il coraggio fosse sangue, il mare sarebbe rosso’. Con ciò si intende dire che non si uccide più per coraggio, per appartenenza o per orgoglio, la mafia non passa più per le stragi, almeno la ‘ndrangheta, ma agisce oggi in base ad altre strategie, e stare al passo con il mondo che cambia è essenziale per riconoscerle e affrontarle.

Alla domanda se si sia mai sentito solo in questa lotta, Gratteri ha risposto che sì, i momenti di difficoltà e solitudine sono stati molti lungo il suo percorso, ma che ha sempre trovato consolazione nella consapevolezza di rappresentare una speranza, l’ultima spiaggia, per qualcuno. Per lui è sufficiente questo.

“Reagisco pensando che non ha senso tirarsi indietro, perchè vivere da vigliacchi non ha senso”.

Al termine dell’evento i ringraziamenti dell’associazione Unitin, organizzatrice di Uman Festival, sono andati al Centro Santa Chiara, alla Fondazione Caritro, all’Opera Universitaria e all’Università di Trento.

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