La carriera nelle organizzazioni internazionali

L’intervista al professor Foradori è stata divisa in due parti. In questa prima parte, ci parlerà della sua esperienza all’estero e ci darà qualche consiglio per intraprendere delle carriere internazionali. Nella seconda parte, parleremo dei Paesi in cui ha vissuto, specialmente Libia ed Iraq, e di come l’Italia e l’Europa vivano la politica internazionale.

  • Buongiorno professore, la ringraziamo per la disponibilità a questa intervista.
    La sua esperienza all’estero è stata notevole, tra vari Paesi chiave degli avvenimenti degli ultimi decenni. Come ha vissuto questa parte della sua vita?

Per me è stata una questione anzitutto di vocazione: partendo da ong piccole, anche locali, poi presso l’UNHCR, in Russia, nella complessa situazione degli anni Novanta. Da lì, Kosovo ed Afghanistan, per poi cominciare la carriera accademica – sospesa per quattro anni come consigliere politico delle missioni della UE in Libia ed in Iraq. Credo ci sia un filo rosso tra queste esperienze, un interesse per le questioni internazionali chiamato ad esprimersi sul campo, ed anche a livello accademico, in modo integrato. Un insieme di curiosità per l’altro; una volontà di portare un contributo, di aiutare a migliorare un poco il mondo, anche in modo limitato; e sicuramente un certo spirito d’avventura.

  • Parliamo del suo lavoro. Come sono gli ambienti in cui si è trovato a vivere?

L’ambiente internazionale è interessante. Per definizione, è un ambiente cosmopolita, ricco, stimolante, con persone da vari Paesi e culture. Ad esempio, la missione irachena era guidata specialmente dai Paesi nordeuropei – non parliamo poi dell’ONU, dove la ricchezza di personalità e culture è veramente globale.

  • Ha percepito una differenza negli ambienti lavorativi? 

Parto sicuramente da un contesto privilegiato, sono un accademico nell’università di Trento che è un’eccellenza, e lo dico conoscendo colleghi di altri mondi che mi raccontano esperienze ben diverse. Nelle missioni europee sicuramente si nota una forte burocratizzazione – c’è un forte contrasto tra il contesto dell’operazione e quegli standard che se a Bruxelles sono accettabili, mentre a Tripoli o Baghdad sono ampiamente fuori luogo, a partire dagli acquisti dei materiali per la missione. Questo complica molto anche il rapportarsi con gruppi ed enti locali. Invece, sul lato positivo, c’è un’attenzione solidissima alle questioni di genere: la tolleranza per atti di molestie è assolutamente minima, il che è tipico dell’ambiente di lavoro nordeuropeo. Si cerca di evitare, anche nel linguaggio, ogni problema con la questione di genere.

Si trovano poi ambienti e persone, ovviamente, estremamente internazionalizzati – figure abituate a spostarsi, una comunità molto ristretta e cosmopolita in cui spesso ci si conosce girando tra le varie missioni ogni due/tre anni. Si crea quindi un forte senso di comunità ed amicizia, anche se c’è un turnover molto rapido.

  • Che Lei parli di una comunità molto ristretta sicuramente spaventerà molti di noi studenti: lei diceva in una precedente conversazione che ci sono molte persone normali in quest’ambiente, ma sicuramente la paura di trovarsi davanti ad una competizione agguerrita è forte. Che consigli può darci?

Indubbiamente l’accesso all’ambiente è agguerrito, globale e ricco di eccellenze. Pensiamo allo studente olandese, che magari parla cinque lingue, o a quello cinese che ha studiato a Singapore, o a quello filippino che ha frequentato un’università americana. Sicuramente è un ambiente estremamente interessante, e ricco di esperienze e soddisfazioni.

Richiede però sacrifici pesanti: parlare di una comunità in continuo spostamento può far pensare a qualcosa di banale, ma andare due anni in Afghanistan, poi due anni in Libia, quindi due anni in Ucraina può dare un’idea di quanti sacrifici richieda questa vita, soprattutto a livello personale. E’ complesso conciliare vita personale e lavorativa, sia in patria che in missione: quando l’unico modo per fare acquisti nei due/tre negozietti disponibili nella green zone di Baghdad è con la scorta e indossando un giubbotto antiproiettile, ci si sente molto limitati.

  • Se eravamo preoccupati prima, ora lo siamo ancora di più

E’ appunto una carriera che dà soddisfazione ma richiede molti sacrifici. Il mio consiglio è capire se si vuole davvero fare una carriera di questo genere, e per farlo bisogna partire dai propri interessi. Ad esempio, se la prima cosa che si fa da svegli è guardare l’attualità internazionale, questo è un buon segno – se non si è mai voluto andare all’estero, ecco, questo è invece un segnale in senso contrario. Ciò che è veramente importante però, lo dico spesso agli studenti, è trovare un interesse centrale, un nucleo: che sia un tema o un’area geografica, se si parte da questo si può cominciare a costruire una preparazione ed una carriera. Notate bene, non è una cosa banale, non si scopre da un giorno all’altro: è una scoperta cui si arriva studiando, imparando, mettendosi in gioco il più possibile, parlando con i professori, partecipando agli incontri di orientamento. Una volta che lo si è individuato, si possono concentrare su di esso le risorse di tempo e denaro necessarie a costruire una carriera di questo tipo.

Io stesso sono arrivato a questa conclusione, ma lentamente – se tornassi indietro, probabilmente mi impegnerei come orientatore per aiutare gli studenti in questo percorso. Sono partito da un interesse per l’ONU e le organizzazioni non governative. Da lì, ho capito che il mio interesse principale era quello dei rifugiati, in particolare quello dei rifugiati donna, e lì ho concentrato le mie risorse seguendo corsi appositi e specializzandomi.

E’ fondamentale capire cosa vi interessi, la vostra vocazione; in questo senso, la Scuola di Studi Internazionali organizza spesso incontri aperti a tutti con esperti del settore, ad esempio con ospiti dell’IAEA, dell’ONU, dell’UE. Seguire quegli eventi è un ottimo modo per confrontarsi con persone che hanno fatto delle organizzazioni internazionali la propria vita, la propria vocazione.

Ringraziamo ancora il professore per la disponibilità ed il tempo concessoci

Indro Furlanetto

Studente del corso triennale in Studi Internazionali. Appassionato di relazioni internazionali, geopolitica e storia.

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