Arcigay Giovani Trento tende una mano alla Cecenia
Sono le 20.00 del 5 Aprile quando il quotidiano indipendente russo Navaja Gazeta (il periodico per cui scriveva anche la giornalista uccisa nel 2006 Anna Politkovskaja) pubblica le prime indiscrezioni riguardo violenze e abusi compiuti dalle forze dell’ordine Cecene nei confronti di uomini omosessuali. Le notizie sarebbero arrivate da alcuni testimoni (e loro malgrado vittime) di queste vicende, nonché da attivisti (non pubblicamente dichiarati) per la sicurezza delle persone Lgbt nel paese. Pochi istanti dopo, a rilanciare queste voci è Russian LGBT Network, una rete di coraggiosi blogger, giornalisti ed avvocati che si occupa di proteggere gay e lesbiche in Russia. Ma è qui che il tutto prende una piega inaspettatamente drammatica: si comincia a parlare (ed avere prova) di retate, arresti sommari, interrogatori svolti con l’uso di torture (“sedie elettriche improvvisate con generatori auto”), percosse, persino ricatti alle famiglie per avere il malcapitato indietro. E’ stato così che il mondo è venuto a sapere di questa nuova pagina oscura della propria storia: attraverso i social la notizia ha preso a correre, i blog e i siti di “cultura gay” hanno aiutato a diffonderla anche quando inizialmente, i principali media (persino nella nostra Europa) sembravano sottovalutare l’intera vicenda. “Impossibile” ha dichiarato un sotto-ministro del governo ceceno intervistato dalla stampa estera, impossibile perché “Queste cose [le persone omosessuali] in Cecenia non esistono, se ci fossero le loro stesse famiglie li manderebbero in posti da cui non si può tornare”. Rabbia ed orrore poi non hanno fatto altro che rincorrersi con l’arrivo di nuovi dettagli. Le persone arrestate per “dichiarata o presunta omosessualità” sarebbero più di un centinaio, sarebbero stati sequestrati ed analizzati i loro telefoni al fine di “scoprire” tra chi si scrivessero, a chi telefonassero, con chi si incontrassero, chi li aiutasse. Le stesse strategie adottate in molte parti del mondo per sgominare complesse reti criminali, sono state usate ora per “scoprire” la comunità gay locale. Esiste, tuttavia, una “linea rossa”, rappresentata dalle analogie con le ore più tristi del XX secolo ed i drammi del Nazi-fascismo, oltre cui le opinioni pubbliche occidentali e le loro istituzioni sembrano improvvisamente scuotersi. Questo limite è stato superato, secondo fonti internazionali (da Amnesty int. ad All Out) con l’istituzione di effettivi “campi di concentramento” in cui rinchiudere, torturare, fino ad uccidere queste persone. Sarebbe -nello specifico- nell’area della città di Argun, sul confine orientale, che ex-caserme sono state convertite in improvvisati Lager, “campi di Ri-disposizione sessuale” come sembra trapelare. Le notizie dalla Cecenia sono, quindi, agghiaccianti. Le notizie dalla Cecenia mietono vittime, non solo nel paese della Federazione Russa. Il nostro pensiero va a tutti quei ragazzi, a quelle ragazze che ancora vivono nel segreto la loro affettività e che, in questi giorni, all’ombra di questi fatti, potrebbero vedere solo oscurità attorno a sé. Posticipando, rimandando ancora una volta, il momento in cui svelarsi in tutto sé stessi, il giorno in cui essere un po’ più liberi e felici. Noi -che ci occupiamo dei diritti civili di uomini e donne, gay e lesbiche nel nostro paese- invece dobbiamo saper cogliere dal sacrificio dei fratelli ceceni, rilanciando il cammino di riforme volte a tutelare la sicurezza della comunità LGBT*, al contrasto al bullismo e alla violenza omofobica, dobbiamo fare sentire ora più che mai la forza ed il calore di una comunità solidale e viva. Dobbiamo pretendere che le istituzioni assumano posizione netta: chiarendo che ciò che avviene oggi in Russia e che ieri, appena 70 anni fa, accadeva nel nostro continente non può avere luogo, non deve ripetersi. I flash-mob, gli eventi di solidarietà (come quello convocato ieri in Piazza Duomo a Trento) devono e vogliono esprimere tutto ciò; siano un abbraccio lanciato alle vittime dirette di queste violenze, un segno per chi purtroppo ne pagherà ancora le conseguenze.
Di Lorenzo De Preto e Francesco Primiceri, Arcigay Giovani Trento