M’innamoravo di tutto

Fin da piccolo mi innamoravo di tutto… vedevo un cane e iniziavo a rincorrerlo, veniva l’autunno e amavo le foglie colorate che iniziavano a cadere…

È proprio vero, si era innamorato così tanto delle storie degli altri che ha iniziato a raccontarle. Faber avrebbe potuto scrivere di sé, delle proprie paure, dei propri amori, delle proprie vanità, dei propri sogni; invece ha preferito raccontare le storie di Elmar, Herman, Berta, Tom e della loro collina, narrare dell’esitazione di Piero che ha scontato tutti gli errori della guerra con i suoi rivoli di sangue dissolti nelle acque del fiume e cantare l’amore insaziabile di Bocca di rosa, immune a tutte le invidie.

Avrebbe potuto scrivere romanzi di melassa, di quelli con il lieto fine e invece ha dato voce alla cecità, all’ insensatezza di un possesso che era solo pura vanità. C’erano i sogni di Nina sull’ altalena, il fiore perduto della giovinezza di Marinella, la miccia di passione del bombarolo, l’ultima notte di Michè. Ha narrato una a una le vicende troppo spesso lasciate nell’ombra di prostitute, assassini, reietti… in poche parole, degli ultimi. Voleva donare loro una seconda vita o forse una prima, quella che non avevano mai avuto e che la società delle belle strade aveva negato loro. Faber sapeva che l’umanità più bella la si trova in via Del Campo, ed è l’umanità della graziosa fanciulla dalle labbra color rugiada e della puttana che ti regala il paradiso con un solo sorriso.

Tutti servi disobbedienti alle regole del branco.

Faber non parlava in italiano: la sua era una lingua universale, in grado di penetrare negli anfratti più bui, negli angoli nascosti pieni di polvere e dimenticati dalla luce. Non era solo ligure, non solo sardo; era la lingua di Creuza de Ma, del coro di Dolcenera, nascosta negli intervalli d’aria tra le gocce di pioggia dell’alluvione, dispersa sui monti di Trento dove Andrea fu ucciso. Solo la musica, guidata dalla sua voce calda e profonda, era ed è tutt’oggi in grado di diventare la melodia di tutti, la voce di tutti; ogni volta diversa, ogni volta inconfondibilmente uguale.

Questo è il fil rouge che ha unito le diverse canzoni dell’esibizione di sabato 26 ottobre presso il Teatro di Pergine Valsugana. Lo spettacolo tributo, dal titolo “ Mi innamoravo di tutto”, scritto e ideato da Paolo Ghezzi (con Annalisa Morsella e Alessio Dalla Costa), ripercorre i grandi successi del cantautore genovese, alternando musica e parole in una coinvolgente performance live.  Portato in scena a Rovereto e Bergamo, lo spettacolo ha sempre fatto sold out ed è stato più volte replicato.

Dal sipario aperto sulle rive del Fiume Sand Creek, passando per le spiagge dove s’era sopito un pescatore, fino ad arrivare nei quartieri della città vecchia dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi.

Tutt’oggi, a distanza di anni, Faber riesce ancora a regalarci volti, passioni, luoghi, storie intere, tutto tramite la sua musica. Qual è il suo segreto? Quale il suo comandamento segreto?

  1. Non giudicare
  2. Non giudicare
  3. Non giudicare…

10-… non giudicare….

Solo così saremo in grado di com-patire, patire con gli altri e regalarci un viaggio nelle vite di Piero, del suonatore Jones, Ella, Kate, Lizzie, Carlo Martello, dell’ottico, del chimico, del giudice, Sally, Franziska, Don Raffaé e in tutte le altre vite dimenticate che non sono nostre ma che, proprio per questo, proprio grazie a lui, forse un po’ ci appartengono.

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