Berlino, cinema e freddo

Parlare di storia è sempre difficile. O ne si parla in modo saggistico e dettagliato (attraverso interi libri) o in modo veloce e raffazzonato. Lo stesso è per il cinema e la storia del cinema. Ho provato dunque ad affrontare questo aspetto degli anni venti in modo diverso: un approccio più narrativo dà la possibilità di creare un veloce spaccato di vita del tempo, valorizzando una narrazione di sensi più che di senso.

Quando torni a casa hai solo qualche decina di minuti. Corri in camera, indossi il doppiopetto Principe di Galles che ti sei comprato per l’occasione, ti schiacci il cappellino di feltro in testa e vai in sala. Anja ti aspetta sul sofà e quando entri nel soggiorno ti sorride: “quel cappello è orribile, tesoro”. 

Tu lo cambi, lei ti sorride di nuovo e uscite. Salite elettrizzati sul tram, Hallesches Tor, scendete a Treptower park. Cinque minuti a piedi, nel freddo. Le strade sono luccicanti per le luci delle automobili, dei tram e dei lampioni. C’è ancora la neve ai lati della strada. L’Ufa Palast am Zoo, illuminato e a punta, si erge dall’altra parte del largo viale, come una cattedrale del mondo laico, circondato dal frenetico traffico dei Golden Zwazinger berlinesi. Gli occhi di Anja brillano insieme alle luminarie del viale. Vi mischiate con la Berlino del trucco pesante, dei capelli corti e delle Flappers. Stormi di ragazzi in giacca, ricchissimi, si  gettano freneticamente nelle fauci della città che li inghiotte. 

Quando entrate nel Ufa Palast ci sono i profumi, i suoni, i colori del mare di teste scintillanti della Berlino bene. La marea scorre e vi trascina nella sala. Vi sedete e siete confusi ed emozionati e storditi e gli occhi di Anja continuano a brillare e osservano tutt’intorno. Le luci si spengono. Entrano nella sala i quasi novanta componenti dell’orchestra, che si mettono ai loro posti.

Il film inizia. Entrate nella grande Metropolis, l’anno è il 2026. I grattacieli si stagliano alti come mai avreste immaginato potessero, i ricchi sono ricchissimi, i poveri poverissimi. Assistete a una storia delirante che parla di amore, di povertà, di rivoluzione e di futuri lontanissimi che nemmeno immaginate. Ogni tanto ti volti e guardi Anja, che non stacca gli occhi dallo schermo. Noti le sue reazioni. Noti tristezza e rabbia e allegria negli occhi di lei.

Ti guardi attorno. La gente ha reazioni diversissime. Chi guarda lo schermo assorbito dalla vicenda, chi gli dà qualche occhiata annoiata, chi parlotta. Qualche Flappers sonnecchia, qualche altra ridacchia con le compagne. L’orchestra accompagna la proiezione.

Il film finisce, vi alzate, nella folla fuori dall’Ufa Palast am Zoo serpeggiano commenti negativi: il film non è piaciuto. In gennaio a Berlino di notte si toccano anche i -10° e tu combatti contro il freddo. Anja è sognante e racconta dell’eroismo del giovane Freder, piccolo eroe della società povera. 

Tutt’intorno a voi la folla si stipa sul marciapiedi in attesa dei taxi, del tram o dei calesse. Qualcuno ti chiama da dietro, ti volti ed è Friedrich, il vice-caporedattore del settore cultura del giornale. “Barthold!” e ti stringe la mano. “Come ti è sembrato?” gli chiedi. “Banale, in realtà. Retorico, romantico in un modo superato. Utopistico in modo malsano, aggiungerei.”

Mentre siete sul tram, qualche minuto dopo, Anja si accosta al tuo viso e ti sussurra: “quel Friedrich è davvero una noia”. Sai che ha ragione, le stringi la mano e sorridi quieto, alzando la testa. Nel tram fa davvero freddo.

autore | Gianluca Bonzani


Redazione

La redazione de l'Universitario è composta perlopiù da studenti dell'Università di Trento

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