Di battito in battito…

To be or not to be. Un incipit efficacissimo, non credete? Purtroppo però l’argomento del presente articolo non sarà Shakespeare, bensì una tematica ben più ampia, che afferisce anche al bardo inglese: la poesia. Più specificamente, l’idea di questo articolo è di mettere in luce un curioso legame fra la metrica usata da Shakespeare (e da molti altri autori) e una peculiarità della natura umana come il battito cardiaco.

Partiamo dalla definizione di poesia. Stando all’enciclopedia Treccani[1], il termine poesia è un calco lessicale proveniente dal latinismo pŏēsis e a sua volta dal greco poίēsis e significa “creare dal nulla”. La “causa per cui ogni cosa passa dal non essere all’essere” per dirla con Platone.[2] Più volte nel corso della storia si è ricondotto il significato di poίēsis dall’ambito più generale della semplice creazione al significato specifico di mera composizione poetica o artistica. E proprio da questo uso frequente è nato il termine poesia. La creazione è un’attività tipicamente umana: tutte le arti (liberali e non) sono poίēsis in quanto dal nulla si creano oggetti nuovi, sia per fini puramente estetici sia pratici (ambito della téchne). In natura ciò non avviene. In natura non può succedere che qualcosa che non esiste venga, diciamo, “portato all’esistenza”: tutto segue spinozianamente per necessità. Solo all’uomo compete la creazione di cose precedentemente inesistenti. Questo vuole dire che ciò che l’uomo crea (le cose artificiali) sia completamente innaturale? La risposta è no e lo vediamo innanzitutto nella poesia.

Con piede si intende in metrica la successione di sillabe accentate alternate a sillabe non accentate, struttura che si ripete lungo tutto il verso. Per capire meglio cosa sia un piede si può compararlo al ruolo giocato dal ritmo in ambito musicale e coreutico,[3] entrambi sono una sorta di struttura che si ripete costantemente lungo tutto il componimento.[4] Il giambo è una particolare tipologia di piede caratterizzata dall’alternarsi di una sillaba accentata e una sillaba non accentata. Il verso dell’Amleto è un esempio di giambo perché l’accento cade su sillabe alterne, provo a mettere in evidenzia questo fatto così: /to bE or nOt to bE/ dove le lettere in maiuscolo sono le vocali accentate. Ancora meglio, per i linguisti: [tu ‘biː ɔ ‘nɔː tu ‘biː] rappresenta per iscritto il modo con cui quel verso andrebbe pronunciato.

È opinione diffusa che il piede si chiami così perché gli antichi poeti, che cantavano i loro componimenti “tenevano il tempo” battendo il piede, esattamente come facciamo noi oggi quando ascoltiamo una musica il cui ritmo ci “rapisce”. Da questo movimento si spiegano il significato delle due sezioni in cui si divide il piede: quando il piede-arto tocca a terra si trova nella sillaba accentata, chiamata tesi (dal lat. thesis, gr. thésis, der. del tema di tίthēmi “porre”, “collocare”, ”appoggiare”) del piede metrico; quando il piede-arto si solleva da terra, si trova sulla sillaba non accentata chiamata “arsi” (dal gr. arsis, der. Di airō, «sollevare») del piede metrico.[5] Il giambo nella poesia moderna distingue fra sillabe accentate e sillabe non accentate, che corrisponde invece alla distinzione nella metrica antica fra sillaba lunga e sillaba breve. Ma in cosa consiste esattamente questa distinzione di lunghezza fra due sillabe? Essa si spiega facilmente facendo riferimento al rapporto fra arsi e tesi, che è 1:2, questo significa che se l’arsi dura un determinato “tempo”, la tesi dura il doppio. Facendo la somma della lunghezza dell’arsi e della lunghezza della tesi viene 3. Tre sono le morae, ossia le unità in cui il piede è scomponibile e fungono da unità di misura della durata delle sillabe.


Ci sono stati nel corso del tempo diversi studi[6] volti a instaurare una sorta di legame fra il giambo e il battito cardiaco, non nel senso che il cuore batta irregolarmente “tù, tutù, tutù, tutù, …”, ma nel senso che due elementi diversamente accentati (come arsi e tesi) si collocano meglio in un ritmo caratterizzato da tre morae anziché da due sole, appunto perché la sillaba lunga (accentuata) si prende più “spazio” rispetto a quella breve (non accentata). Per spiegare meglio questo passaggio propongo la seguente immagine raffigurante un elettrocardiogramma: esso è la riproduzione grafica dell’attività del cuore e possiamo notare come questa attività descriva un piccolo sbalzo seguito da una impennata decisamente più forte, alla quale segue un momento senza particolari scosse, struttura tripartitica che poi si ripete:

Ebbene, si tenderebbe a leggere questo ritmo del cuore così: i tre forti sussulti che si vedono non sono altro che ogni singolo battito del cuore corrispondente a una sillaba tonica che si trascina anche nella piccola pausa seguente priva di scossoni, occupando dunque due “morae cardiache” (rappresentate dal colore nero di “be”, “not” e “be” ). Come terzo e ultimo elemento del piede metrico, una scossa più leggera (corrispondente a “to”, “or” e “to”) per poi ricominciare ricorsivamente con scossa grande, pausa, scossa leggera, e così via…[7] Per chiarire meglio questo fatto ho messo anche la trascrizione del verso nell’alfabeto fonetico internazionale (IPA), quello fra parentesi quadre, che rappresenta in forma scritta il modo con cui andrebbero pronunciate quelle parole: i doppi punti stanno a indicare il prolungamento della vocale immediatamente precedente a essi, una vocale più lunga delle altre insomma.[8]

Questo ritmo tipicamente letterario che abbiamo scoperto avere una forte connessione biologica si può trasporre anche nel campo musicale. Il ritmo in musica è in fondo la successione di movimenti (detti anche “tempi” alle volte) che si ripetono sempre uguali per velocità e per tempo, esattamente come il piede metrico. Esiste quindi una corrispondenza tra ritmo musicale e ritmo poetico (non a caso le poesie antiche venivano cantate). E come esistono vari ritmi ternari in poesia (vari piedi in cui si dispongono in modi diversi sillabe accentate e sillabe non accentate), esiste anche una pluralità di ritmi musicali in cui note accentate si dispongono in maniere diverse rispetto a note non accentate.

Il corrispondente ritmo musicale del giambo è un ritmo ternario formato da una nota accentata e una nota non accentata, la prima vale il doppio della seconda. È esattamente lo stesso discorso delle sillabe che si faceva precedentemente. Questo è il tipico ritmo presente in molta, anzi moltissima, musica popolare presente nella nostra penisola. Avete presente quel ritmo incalzante caratteristico di taranta, tarantella o monferrina[9]? Sto parlando di quello. Si pensi ad esempio a una canzone che faccia “tà, tatà, tatà, tatà, …”. Tutti questi ritmi vogliono rappresentare l’anima, la natura più intima del popolo a cui appartengono ed è così romantico pensare che in molte di queste determinazioni particolari si ritrovino in realtà elementi riconducibili a un carattere universale di umanità.[10] La relazione che abbiamo spiegato prima fra il ritmo del giambo e il ritmo del cuore serve ora a ricondurre quest’ultimo a determinate pratiche musicali e coreutiche folcloristiche[11].

Nella canzone popolare italiana, come scrive Paolo Talanca, si può ritrovare una reale essenza di “comunicazione artistica, che riesce come poche altre a descrivere il carattere di un popolo”[12], un carattere che è manifestazione dell’essenza universale umana (che abbiamo rintracciato nel battito cardiaco) che da essa si è poi sviluppata in forme metriche, musicali e chissà cos’altro.

Si afferma così come anche nelle più artificiali delle poiesis (produzioni) umane vi sia un elemento di naturalità. Insomma, una natura che si esprime anche attraverso l’artificiale, creato dall’uomo. E questa è la conclusione a cui volevo arrivare. Ho voluto argomentare contro la tesi iniziale secondo cui la poiesis, stando alla sua  etimologia, sia qualcosa di assolutamente innaturale dimostrando che anche nelle manifestazioni più particolari vi sia un carattere naturale e universale. Ammetto che questa tesi implichi un’analisi più approfondita che tuttavia richiederebbe ulteriori nozioni di linguistica, filosofia, musicologia e anche di biologia possibilmente. Qui si è proposto solo un argomento di possibile interesse musicale e linguistico senza intenzione di rivendicare alcuna autorità in questi ambiti, è solo una passione. Sarebbe interessante a questo punto andare a cercare se anche in altre culture vi sia l’espressione di qualcosa di universalmente intrinseco all’uomo, in riferimento al ritmo del cuore oppure a qualcos’altro. Intanto vi consiglio di vedere questo video presente su youtube, trovate il collegamento in quest’ultima nota.[13]


[1] https://www.treccani.it/vocabolario/poesia/ consultato in data 4 Dicembre 2020.

[2] Symposio, 205 b.

[3] Anche del ritmo si dà una definizione sbrigativa, sufficiente per proseguire l’articolo: successione fra accenti forti e accenti deboli delle note (immaginate che le note siano delle sillabe).

[4] Nota interessante: più piedi assieme formano le varie tipologie di versi (l’esametro con sei sillabe, il pentametro con cinque, etc.). Con l’espressione “pentametro giambico” ci si riferisce a un verso formato da cinque piedi giambici (ciascuno formato da due sillabe), perciò è un verso con dieci sillabe in tutto (decasillabo). Il pentametro giambico è molto presente nella letteratura classica, e anche in quella inglese. Per quanto riguarda le lingue francese e italiano, però, esso si è sviluppato in maniera differente. Infatti, la presenza in queste due lingue di molte parole tronche in fin di verso (accentate “sull’ultima sillaba”) e femminili ha portato ad aggiungere un’ulteriore unità al computo sillabico, passando da dieci a undici sillabe in tutto (ecco la nascita del famoso endecasillabo). Per un ulteriore approfondimento su questo punto consiglio Martin j. Duffell, A New History of English Metre,2008.

[5] https://www.treccani.it/vocabolario/arsi/ e https://www.treccani.it/vocabolario/tesi/ consultati entrambi in data 4 Dicembre 2020.

[6] Cito Alfred Corn, The Poem’s Heartbeat: A Manual of Prosody, Copper Canyon Press, 2008 e Charles Francis Abdy Williams, The aristoxenian theory of musical rhythm, Cambridge University Press, New York 1911.

[7] Faccio solo notare che il verso shakespeariano parte da un piede “incompleto”, cioè dalla terza mora per finire su un altro piede “incompleto” (prima e seconda mora e basta).

[8] C’è chi sostiene anche che questo schema ritmico sia presente nel modo quotidiano di parlare degli inglesi e che molta della fama di Shakespeare sia dovuta proprio all’uso di questa metrica [Margaret Layton, 2012].

[9] Cito solo i generi più conosciuti di questo ambito, ma ve ne sarebbero molti altri come la monferrina tipica invece del nord Italia.

[10] Esercitatevi con questo video trovato su youtube, chiarirà sicuramente il nesso fra piede giambico e pulsazioni cardiache: in https://www.youtube.com/watch?v=fE2qsc_17NY provate a ripetere ad alta voce più volte “to be or not to be” a tempo con le pulsazioni.

[11] In questo frangente credo possa bastare la definizione di folclore che dà il musicologo Philip Tagg in Popular Music. Da Kojak al Rave [Editrice Bologna, Bologna 1994, p.48], caratterizzato cioè da una trasmissione orale da parte di amatori, rara distribuzione di massa, presente in società nomade o agricola, compositore anonimo.

[12] Paolo Talanca, Il Canone dei Cantautori Italiani, Rocco Carabba, Lanciano 2017, p. 181

[13] https://www.youtube.com/watch?v=3ndFKqTw46Y

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