“POWER UP”: una lezione di vita firmata AC/DC

A volte i vecchi maestri ritornano e lo fanno quando è necessario dare una lezione che non deve essere dimenticata facilmente. Power Up è forse uno dei dischi più inaspettati del 2020, una saetta a ciel sereno che prorompe dal monte Olimpo della musica hard ‘n’ heavy per ribadire a noi, gioventù di instagrammer e consumatori di musica di plastica, chi è che comanda. Un anno difficile per tutti, sia chiaro. Ma nessuno si sarebbe mai aspettato un disco degli AC/DC nel bel mezzo di una pandemia globale, e soprattutto a tre anni dalla morte di Malcolm Young, pilastro fondamentale dell’inconfondibile sound della storica band. Eppure, eccolo qua. Potente, distorto, graffiato. Power Up è un disco che incarna l’intramontabilità di un genere che, nonostante le pessimistiche congetture e le chiacchiere da salotto, è duro a morire. Certo, ormai siamo abituati a ben altro. Suoni digitali, prodotti musicali dalla breve durata, artisti con più make up che talento e strumentali prive di strumenti. Questo e altro caratterizzano la musica in questa epoca di “millenials”, in questa  aberrazione storica rappresentata da social come Instagram e Tik Tok.

Ciononostante, il suono distorto di un amplificatore valvolare in saturazione rimanda ad una dimensione ancestrale e primitiva, che alcuni – si spera – al giorno d’oggi sono ancora in grado di cogliere. È questo il succo degli AC/DC in fondo, un hard-rock nudo e crudo, senza fronzoli, privo di inutili tecnicismi e abbellimenti. Al contempo, un hard-rock che continua fare il suo, infischiandosene dei giudizi della società indie-benpensante che lo reputa un genere superato, vecchio, deridendo con borghese disprezzo una band che ha sfornato “diciotto album tutti uguali”. Che si dia il caso essere, ora, fieramente diciannove. Una band che non ha mai dato grossi segni di cedimento, che è sempre riuscita a consolidarsi nei momenti di estrema difficoltà. La prima volta lo aveva fatto dopo la morte del vocalist Bon Scott, sfornando nel 1980 Back in Black, disco epocale che ha segnato almeno tre generazioni di rockers e che tutt’oggi rappresenta una pietra miliare del genere. In seguito alla perforazione dei timpani di Brian Johnson, inoltre, la band ha proseguito nel 2016 il suo tour con alla voce Axl Rose, frontman dei Guns ad Roses, storica band della scena rock di Los Angeles. Una scelta sicuramente curiosa, tra il resto inaspettatamente azzeccata, e comunque una delusione per molti fan fedelissimi. In ogni caso, il principio sotteso è ben noto, in musica ma non solo:  “the show must go on”.

Ed è proprio questo il messaggio che il disco sembra voler portare con sé in un momento storico così delicato: lo spettacolo deve proseguire, la vita deve andare avanti nonostante tutto. E prima o poi le cose volgeranno a favore, la tempesta si calmerà e il sole tornerà a splendere. Un disco, Power Up, che potrebbe tranquillamente non essere ascoltato, dal momento che il fatto stesso di essere stato prodotto è una testimonianza e un messaggio di forza e resilienza. Si potrebbe quindi parlare della sua sonorità modernizzata, che al contempo attinge a piene mani dal sound classico e “blueseggiante” dei primi lavori, così come si potrebbe elogiare l’ottimo lavoro svolto da Stevie Young alla chitarra ritmica. Ma davvero, non ce n’è bisogno. Power Up è un disco che parla da sé e lo fa ancora prima di togliere la pellicola della copertina.

Alberto Frigo

Musicante, filosofeggiante, sull'andante...

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