La generazione Erasmus in pandemia

Non è facile. Con questa frase mi sembra quasi doveroso iniziare questo articolo: non è facile andare in Erasmus in pandemia, per mille ragioni. La burocrazia è diventata più complessa, viaggiare mette sempre un po’ paura, la distanza da casa si sente di più a causa della inevitabile solitudine. L’esperienza dell’Erasmus è sempre un’avventura, lo è a prescindere da dove si va e a prescindere dalla situazione attuale, ma quest’anno, per coloro che hanno voluto intraprendere un semestre di studio all’estero, è stato sicuramente diverso.

Non è facile essere uno studente Erasmus in pandemia, ma ognuno di noi ha vissuto un esperienza diversa e personalissima, più o meno positiva. Molte cose però si assomigliano e dato che ho avuto il piacere di confrontare diverse avventure, mi piacerebbe raccontarvi di sei studenti e studentesse che quest’anno si sono trovati a studiare in diverse parti d’Europa.

La partenza

Partire per noi è stato non facile dal primo momento, nel cercare di passare il test di lingua che il CLA si rifiutava di organizzare, nel destreggiarsi tra i moduli trentini e quelli delle università di arrivo senza neanche sapere se le lezioni sarebbero state in presenza. Più di tutto però, partire per noi è stata più che altro una scommessa, un azzardo. E questo per una semplice ragione: chiunque torna da un’esperienza del genere racconta solo cose positive, riporta emozioni bellissime e a tutti noi è capitato di avere un amico che soffre “la nostalgia dell’Erasmus”; quest’anno invece noialtri non avevamo nessuna certezza che sarebbe stato tutto fantastico. Marco e io a settembre ci siamo detti che tanto non sarebbe potuto accadere nulla di peggiore del lockdown di marzo e aprile e, diretti l’una a Madrid e l’altro a Bath, eravamo convinti che le amministrazioni straniere avrebbero soddisfatto le nostre aspettative più che il governo italiano.

Siamo tutti partiti con delle grandi aspettative, ognuno di noi sapeva che sarebbe stato difficile, ma l’adrenalina con cui siamo saliti sui nostri aerei o treni non portava con sé ansia o paure, ma tanta voglia di iniziare. Michele e Giada, diretti al Nord (l’uno in Lettonia, l’altra in Finlandia) si sono diretti verso delle “isole felici”, dove il virus fa pochissimi contagi al giorno e dove le restrizioni sono minime.

Elena si è diretta in Svizzera, Chiara, sud-tirolese, è partita per Bilbao, nei Paesi Baschi dove sa che ad aspettarla ci sarebbero state delle montagne senza le quali “non sarei riuscita a vivere”.

Le prime settimane

I primi giorni sono stati emozionanti per tutti noi, ad attenderci nelle città di arrivo c’erano i ragazzi dell’associazione Erasmus Student Network, un aiuto fondamentale per chiunque vada in Erasmus: rappresentano un punto di riferimento per tutti noi e dopo qualche tempo diventano la nostra seconda famiglia.

Il più sfortunato è stato Marco, che a Bath non ha trovato nessuno e, con le lezioni interamente online, dopo un paio di mesi ha deciso di tornare in Italia. Mi sento tuttavia di dire che la sua esperienza è l’eccezione che conferma le regola, forse a causa del carattere inglese, forse per lo scarso impegno e interesse ad aiutare e accogliere gli studenti europei, forse per semplice sfortuna.

Per gli altri cinque, invece, le prime settimane sono state le più belle, la seconda ondata e le restrizioni erano una cosa lontana in molti paesi, si è cominciato a legare con gli altri studenti Erasmus, abbiamo imparato a conoscere la cultura nella quale ci trovavamo immersi da un giorno all’altro. C’è chi ha imparato una nuova lingua e chi ha rafforzato l’inglese, chi si è innamorato della città e chi ha legato subito con i propri coinquilini. Le lezioni sono state online per molti, mentre alcune università si sono sforzate di mantenere alcune attività in presenza.

La malinconia per un Erasmus “normale”

Non è stato un Erasmus normale, e ce ne siamo accorti subito: non potevamo viaggiare come avremmo voluto, conoscere e legare con i compagni di corso è stato quasi impossibile. In molti paesi, dopo le prime settimane di semi-libertà, sono state poste molte restrizioni e il coprifuoco. Michele si è ritrovato in una Riga dove si poteva uscire ma non c’erano posti in cui andare, io invece vivevo in un barrio con un’alta percentuale di contagi che veniva spesso messo in quarantena, Elena per somma sfortuna si è ritrovata positiva al Covid-19 e ha dovuto affrontare tutto il processo dei test e dell’isolamento lontana da casa.

Parlando con i miei compagni di avventura ho potuto riscontrare un sentimento comune: ogni tanto ci siamo sentiti un po’ soli. Non è facile legare con altre persone quando non si possono condividere dei momenti insieme e quest’anno non è stato possibile costruire la rete di amicizie che chi torna dall’Erasmus può vantare di avere. Michele è stato tentato di tornare a casa, preso un po’ dallo sconforto, ma ha tenuto duro in attesa che la situazione migliorasse cercando di cogliere gli aspetti positivi. Ad altri invece il pensiero di tornare in Italia non passa neanche per la testa, Elena e Giada ad esempio nello studentato in cui vivono, hanno fatto amicizia e hanno potuto scappare dal senso di solitudine.

Ne è valsa la pena

Non è facile essere studenti Erasmus nel 2020. Tuttavia può essere lo stesso molto bello. Io mi trovo a Madrid e so bene che non sto conoscendo la vera Madrid, la capitale della fiesta, ma mi sto innamorando di questo posto, di queste persone e non riesco a immaginare quanto più bello potrebbe essere senza la pandemia. Nessuno di noi è pentito di essere partito, come mi racconta Michele “dal punto di vista emotivo è stato tutto doppiamente difficile”, ma ci abbiamo guadagnato in crescita personale, ci siamo divertiti nei limiti delle norme e delle restrizioni, abbiamo interagito con culture diverse, imparato nuove lingue e affrontato un momento difficile per tutto il mondo da un punto di vista differente, mettendoci in gioco.

Cari lettori, alcuni di noi sono già tornati a casa, ad altri resta poco meno di un mese, e guardando a questa esperienza già abbiamo nostalgia. Sarebbe potuto essere differente? Sicuramente. Ma abbiamo fatto comunque un Erasmus e abbiamo appreso i valori di questa esperienza, torniamo sicuramente a casa con la stessa voglia di conoscere di più, vedere di più, legare con tanti altri giovani europei. Forse, proprio a causa delle difficoltà e delle limitazioni che ha la nostra avventura, abbiamo voglia di riprovare e ritentare ancora, mentre domani potremo sempre raccontare la nostra storia tutta particolare, di una generazione Erasmus in pandemia.

Voglio concludere ringraziando Chiara, Giada, Marco, Elena e Michele per avermi voluto raccontare la loro esperienza e aver condiviso con me le loro emozioni.

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