Ansia sociale

Quando parliamo di ansia sociale forse ci sentiamo tutti un po’ chiamati in causa, soprattutto in questi tempi, ma di cosa si tratta veramente? In questa nuova puntata della rubrica In punta di piedi cercheremo di spiegarne le caratteristiche, aggiungendo qualche riflessione sulle conseguenze che la sottovalutazione di questo problema può causare.

Per cominciare, intanto, ricapitoliamo quanto già detto nei precedenti articoli a riguardo, ricordando una distinzione importante: l’ansia è sperimentata da tutti in una situazione stressante ed è una risposta naturale del nostro corpo, la stessa che ci spinge a rispettare una scadenza o ad agitarci in una situazione di pericolo e allontanarci. Un disturbo d’ansia, invece, è la medesima sensazione, ma in una forma amplificata che emerge apparentemente senza motivo: non c’è niente di oggettivo a giustificare palpitazioni, sudorazione e tremori, per dirne alcune, eppure ci sono e sono travolgenti. Specificato questo, cerchiamo di osservare più da vicino l’argomento di oggi.

Le caratteristiche dell’ansia sociale si riassumono nella paura di trovarsi in situazioni comunitarie, specialmente se interattive, e non saper essere parte del gruppo. Gli altri ridono e scherzano, io non ci riesco, tra poco mi guarderanno tutti, si aspetteranno che dica qualcosa di intelligente, ma io non so più cosa dovevo dire, vorrei essere invisibile, perché quella ragazza mi sta guardando?, ora c’è silenzio, mi osservano, tutti vedono che sono a disagio, sembro un alieno, non voglio queste attenzioni, vorrei poter dire qualcosa e spostare i loro pensieri su altro, perché non lo so fare?, devo andare via, non sono fatta per questo: più o meno una cosa del genere. In chi ne soffre persistono la paura di parlare in pubblico o anche solo con un commesso in un negozio, un collega seduto accanto, il timore di non sapersi spiegare bene, di dimenticare le parole, sembra terrificante l’idea di telefonare ad uno studio per prendere un appuntamento, mangiare davanti ad altre persone, mi guardano tutti?, sono pazzo, ma perchè sto sudando così? 

Esistono due tipologie di questo disagio: semplice, quindi limitato a poche e precise situazioni; generalizzato, cioè diffuso in ogni ambito. Nei casi più eclatanti si arriva a parlare di “disturbo evitante di personalità”, vale a dire un pattern pervasivo di inibizione sociale che porta al chiudersi in se stessi e sentirsi inadeguati al primo passo fuori dalla porta di casa. 

Marielle Cornes, una giovane ragazza americana, ha testimoniato la sua esperienza con questo disturbo in un interessante TED talk. Qui ha raccontato la solitudine con la quale si è trovata a fare i conti e la depressione che ne è conseguita; poi, dopo due anni di consulti psicologici non proficui, è riuscita a trovare un terapista che ha riconosciuto e definito il suo problema, aprendole la strada ad una vita sociale più serena. 

È interessante aprire una breve parentesi sui fallimenti iniziali dei primi psicologi ai quali si è rivolta, perché spesso ci dimentichiamo che un analista è una persona come noi, con la quale possiamo essere più o meno in sintonia, e che è esperto di una materia tanto complessa come la psiche umana: se un terapista non ci capisce a pieno, non significa che il problema sia nel nostro modo di essere e, soprattutto,  che la ricerca di aiuto possa terminare dopo un solo tentativo. 

Inoltre, nella testimonianza di Marielle, spicca un altro aspetto importante, cioè la reazione delle persone intorno a lei. Nonostante iniziasse a mostrare, dopo un paio di settimane dall’inizio del percorso psicologico, dei miglioramenti, questi erano lenti ad estendersi a tutti gli ambiti della sua vita. Una volta, ha raccontato, non è riuscita a parlare in pubblico: è ridicolo, non trovare scuse, le hanno risposto. Un riscontro del genere l’ha rallentata molto nella gestione del suo disagio, perché si vedeva come una pazza, come una che, vista la sciocchezza che era il suo problema, non meritava aiuto e si è sentita molto sola.

Il supporto della madre, che l’ha incoraggiata verso la terapia, è stato prezioso per lei, ma non tutti hanno questa fortuna, ha commentato. Se non sai neanche di avere questo problema, diventa normale che inibisca la tua vita sociale. E quando hai paura che gli altri ridano di te, di non riuscire a far uscire le parole dalla tua bocca e che le persone non ti sappiano capire, ti isoli. Rispondi così ad un problema con un altro, perché la solitudine è una delle principali cause della depressione e di tutto ciò che a volte, purtroppo, ne consegue. 

Ogni volta che ci guardiamo intorno è possibile che ci sia qualcuno che soffre di ansia sociale, magari una persona seduta in disparte, quasi sempre da sola: come possiamo comportarci? Un consiglio che Marielle Cornes ci lascia è di non tirare ad indovinare: se non sei sicuro, non commentare; piuttosto, la sfida che ha lanciato è quella di essere gratuitamente gentili: un sorriso, un saluto o un complimento non richiedono alcuno sforzo per noi; su chi, invece, non riesce ad avviare una conversazione spontaneamente perché soffre di ansia sociale o, più in generale, su una persona che tende ad isolarsi, possono avere un impatto incredibilmente positivo, ricordandogli che niente è sbagliato in loro.

A volte ci sentiamo dire che, affinché gli altri ci possano voler bene, prima dobbiamo necessariamente amarci. Questo rimprovero, però, ha un punto debole: in realtà siamo tutti esseri umani e, in quanto tali, degni di affetto e attenzioni a prescindere dal rapporto che abbiamo con noi stessi, sul quale sì, è importante lavorare, ma che non si può pensare possa precludere agli altri la possibilità di volerci bene.

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