Il 41 bis non esisterà più?

Il 15 aprile 2021, la Corte Costituzionale italiana ha rilasciato una sentenza storica: la legge 41 bis del 1975 dell’ordinamento penitenziario, la quale prevede  l’ergastolo ostativo e sancisce la sospensione di qualsiasi beneficio penitenziario per i reati di associazione di stampo mafioso, per terrorismo oppure per eversione, è stata dichiarata incostituzionale. Stando alla sentenza della Corte, l’incostituzionalità di questa legge  risiede nell’impedimento all’accesso  ai benefici penitenziari, tra cui  la libertà condizionata, ai detenuti colpevoli di crimini di associazione mafiosa che non collaborano con la Magistratura italiana.
Tale decisione risulterebbe conforme ad un’altra sentenza precedentemente rilasciata dalla CEDU (la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) a Strasburgo nell’ottobre del 2019. La sentenza chiedeva allo Stato italiano di rivedere questa legge perché risultava in contrasto con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Il verdetto emesso dalla Corte Costituzionale ha suscitato diverse polemiche, ma risulta importante sottolinearne il reale significato, così come le possibili conseguenze all’interno dello Stato e della società, specie nella lotta contro il crimine organizzato. Per avere una lettura più chiara riguardo questa decisione, analizzeremo nel dettaglio la sentenza  emessa dalla CEDU del 2019, quella emessa dalla Corte Costituzionale ed alcune opinioni a riguardo di personaggi legati al mondo della Magistratura e della lotta al crimine organizzato.

La CEDU aveva domandato allo Stato italiano di rivedere la decisione di applicare il 41 bis al caso di Marcello Viola, ritenuto uno dei protagonisti della sanguinosa faida di Taurianova, cittadina nella Piana di Gioia Tauro, che visse un paio d’anni di terrore a causa di uno scontro per il dominio mafioso del territorio.
La CEDU ha sentenziato che lo Stato italiano doveva rivedere il 41bis perché in contrasto con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, senza stabilire un termine temporale  preciso e in che modo doveva avvenire questa modifica. L’articolo 3 sancisce la proibizione alla tortura nell’ordinamento degli Stati membri dell’Unione Europea,  non  tollerando pene che possano risultare degradanti o inumane nei confronti del detenuto.

La norma prevede la possibilità per il Ministro della Giustuzia di sospendere l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti previste dalla legge in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza per alcuni detenuti (anche in attesa di giudizio) incarcerati per determinati reati (sopracitati all’inizio dell’articolo)
Il regime si applica a singoli detenuti ed è volto a ostacolare le comunicazioni degli stessi con le organizzazioni criminali operanti all’esterno, i contatti tra appartenenti ad una stessa organizzazione all’interno di un carcere e i contatti tra gli appartenenti a diverse organizzazioni criminali, così da evitare il verificarsi di delitti e garantire la sicurezza e l’ordine pubblico anche fuori dalle carceri.
L’unica via per evitare l’assegnazione di questa forma di detenzione è la collaborazione attiva con la Magistratura (la presenza di questa condizione è stata aggiunta all’interno della legge a seguito delle stragi in Via Amelio e di Capaci nel 1992).

La CEDU ha motivato questa sentenza sostenendo che il detenuto possa avere più occasioni di collaborare con la giustizia e che la natura di questa scelta possa non sempre essere spontanea, ma fortemente condizionata da possibili ripercussioni verso se stesso e/o verso i propri familiari.

Però dobbiamo ricordare che la CEDU è un organo giudiziario a sé stante, indipendente rispetto all’Unione Europea. Ciò significa che non può esercitare il principio del primato, cioè non può far valere il proprio diritto al di sopra del diritto nazionale, diversamente da quanto accade con il diritto dell’Unione Europea. Stando al Trattato di Lisbona, l’UE può imporre il proprio primato attraverso direttive, da implementare all’interno dell’ordinamento nazionale degli stati membri, oppure regolamenti, con valenza immediata per gli stati membri.

Dunque, la CEDU può solo emettere dei pareri consultivi: può quindi emanare dei giudizi per verificare che la legge ordinaria di uno stato membro o i regolamenti europei siano conformi alla Convezione europea dei diritti dell’Uomo. Questo avviene attraverso una richiesta esplicita della Corte di Giustizia dell’Unione Europea o tramite la presentazione di singoli casi, suggerendo possibili modifiche. Infatti, La CEDU ha chiesto allo Stato italiano una rivalutazione del 41 bis, che prenda in considerazione la pericolosità attuale di un condannato e la garanzia del diritto alla speranza.

La legittimità del 41 bis potrebbe essere già stata messa in discussione dalla Magistratura italiana. Tuttavia, la Corte Costituzionale può essere interpellata più volte riguardo il medesimo oggetto di discussione, a condizione che venga presentata una costruzione, cioè una serie di motivazioni che ne giustifichino l’incostituzionalità, che sia diversa da quelle precedenti.

Infatti, già nel 2003 venne presentata alla Corte Costituzionale la prima richiesta di incostituzionalità della pratica del carcere ostativo. Il giudizio di incostituzionalità venne allora rigettato dalla Corte, che sostenne la possibilità del condannato di cambiare volontariamente idea, senza rischi di ripercussione verso i suoi confronti o dei suoi familiari. Per la Corte, quindi, il criterio di collaborazione di giustizia non era automatico.

Dieci anni dopo la Corte Costituzionale replica il giudizio della sentenza del 2003.  È solo con la sentenza 149 del 2018 che le cose cambiano: la Corte Costituzionale dichiara illegittima la legge 58 ter, che sancisce una pena di analoga misura a quella del carcere ostativo. Anch’essa non concedeva alcun beneficio penitenziario per reati quali il sequestro di persona a scopo terroristico, eversivo o estorsivo da cui fosse derivata la morte della vittima. Ciò risultava in contrasto con il principio rieducativo della pena, sancito dall’articolo 27 della Costituzione.

La prima modifica del 41 bis arriva con la sentenza 253 del 2019, nella quale viene decretato illegittimo privare dei benefici penitenziari un detenuto, a patto che non sussista il rischio di ripristinazione dei collegamenti con la criminalità organizzata. La Corte Costituzionale conferisce ai giudici ordinari la responsabilità di emettere sentenze per reati legati alla criminalità organizzata, valutando per ogni singolo caso la concessione dei benefici in virtù delle condizioni citate in precedenza. Inoltre, i benefici penitenziari possono essere concessi anche ai non-collaboratori.

Ritornando al 15 di aprile, La Corte Costituzionale sentenzia l’ incostituzionalità del 41 bis appellandosi, oltre all’articolo 3 della Convenzione europea, agli articoli 3 e 27 della Costituzione Italiana. La Corte Costituzionale giudica l’ergastolo ostativo in contrasto con il principio e la funzione educativa della pena sanciti dall’articolo 27, perché impedirebbe il re-inserimento del detenuto all’interno del tessuto sociale. Il contrasto con l’articolo 3, che sancisce l’uguaglianza sia formale che sostanziale dei cittadini di fronte alla legge, risiede nel fatto che tutti i detenuti debbano avere le stesse possibilità di richiedere i benefici penitenziari in conformità con la legge penale.

La Corte Costituzionale ha stabilito che entro maggio 2022 il Parlamento, incaricato di modificare il 41 bis, debba promulgare la legge già cambiata. Comunque, queste modifiche devono rimanere conformi alla particolare natura dei reati di associazione alla mafia, alle attuali regole penitenziarie e al valore della collaborazione con la Magistratura.

Di seguito le opinioni di esperti giuridici e persone dedite alla lotta contro la criminalità organizzata su questa decisione della Corte Costituzionale.
Sull’articolo del 16 aprile rilasciato dal bisettimanale “La Via Libera”, il procuratore aggiunto di Palermo Marzia Sabella, seppur mostrandosi a primo impatto favorevole alla decisione della Corte Costituzionale, è  preoccupata che ciò possa mettere a repentaglio gli interessi della collettività, quali la salvaguardia della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico. Marzia Sabella sostiene che la collaborazione sia l’unico criterio  sicuro al fine di garantire con efficienza gli interessi descritti. Si chiede inoltre se la richiesta della modifica corrisponda anche ad un effettivo cambiamento dell’opinione pubblica sul fenomeno della criminalità organizzata.

Su questo ultimo punto, l’articolo di “La Via Libera” del 15 febbraio del 2021 illustra le stime del rapporto di Libera “Il triangolo pericoloso. Mafie, corruzione e pandemia”. Queste mostrano il giudizio degli intervistati in merito all’efficienza degli strumenti per contrastare il crimine organizzato. Tra questi, il 41 bis, l’azione del Governo e le politiche amministrative.

Gli intervistati hanno espresso un’opinione fortemente favorevole all’uso del 41 bis per ridurre la presenza delle mafie, specialmente le categorie dei giovani, degli studenti, degli anziani tra i 55 e i 64 anni e di chi risiede nelle regioni del Centro, del Sud e nelle Isole. L’autrice di questo articolo afferma che questo unico strumento non è sufficiente a contrastare il fenomeno del crimine organizzato e sottolinea con preoccupazione la scomparsa della lotta alla corruzione e alla mafia dall’agenda politica dei partiti, preoccupazione espressa anche dai partecipanti del report.

Tra le criticità oggettive presenti  in questa situazione vi è la possibilità di vuoto normativo nel caso in cui i lavori parlamentari non dovessero rispettare la scadenza prefissata dalla Corte, con il rischio che i Tribunali e la magistratura non abbiano gli strumenti per conferire una pena adeguata e garantire la sicurezza dei cittadini. Questo possibile vuoto sarebbe sostanzialmente rivolto alle sentenze successive la data di scadenza; per quelle precedenti varrà l’applicazione del 41 bis con la modifica del 2019. Le modifiche del Parlamento rischierebbero di risultare inefficaci, in quanto troppo permissive, vaghe o flessibili nella concessione dei benefici penitenziari o nella valutazione della collaborazione, vanificando gli sforzi di chi lotta contro il crimine organizzato.

Abbiamo un anno per attendere quel che accadrà, ma bisogna rimanere costantemente vigili per evitare infiltrazioni mafiose nei vari ambiti della vita quotidiana e per avere adeguati strumenti giuridici per contrastarle. La classe politica dovrebbe investire nella lotta alla corruzione, ma è compito di ogni buon cittadino aggiornarsi il più possibile su questa vicenda andando sui siti istituzionali che sono pubblici.

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