La lezione di Mattarella all’Occidente

Nel suo discorso in occasione della celebrazione degli ottant’anni del Manifesto di Ventotene, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha colto l’occasione per porre attenzione sul ruolo richiesto all’Unione Europea nella gestione della crisi afghana. 

Un intervento, quello del Capo dello Stato, che da una parte ha richiamato all’unità e alla coesione ma dall’altra ha voluto puntare il dito contro una fetta della classe politica, restia nell’accogliere i profughi che scappano dai talebani: “In questi giorni una cosa appare sconcertante e si registra nelle dichiarazioni di politici un po’ qua e là in Europa. Esprimono grande solidarietà agli afghani che perdono libertà e diritti, ma ‘che restino lì, non vengano qui perché non li accoglieremo’. Questo non è all’altezza dei valori dell’Ue“. Anche se non espliciti, sono apparsi chiari e scontati i riferimenti a Salvini e Meloni, con la leader di Fratelli d’Italia che in occasione del meeting con il presidente ungherese Viktor Orbàn ha ribadito la linea condivisa da tutte le forze sovraniste: “I rifugiati afgani non devono gravare sull’UE”.

Le parole di Mattarella, per quanto virtuose possano apparire, rischiano di trasformarsi in nient’altro che fumo se le comunità europea e internazionale non saranno in grado di mettere in atto un vero e proprio progetto di accoglienza che non si limiti soltanto a permettere soggiorni ai rifugiati attraverso corridoi umanitari, che ma riesca anche a garantire a queste persone un piano di inserimento e un’efficiente integrazione. 

Nel suo discorso il Capo dello Stato si sofferma, inoltre, sulla necessità dell’Ue di migliorare le sue capacità e influenze in chiave di politica estera e di difesa: “Sono fermamente convinto dell’importanza della Nato, pilastro fondamentale per l’Italia e l’Europa. Ma proprio il rapporto transatlantico chiede che l’Ue abbia maggiore capacità di politica estera e di difesa” e continua dicendo “Questa prospettiva è importante anche per gli Usa perché in un mondo in cui i protagonisti internazionali sono sempre più grandi, il protagonista più vicino agli Usa credo debba avere una maggiore capacità operativa. Occorre quindi che l’Unione si doti di strumenti efficaci, reali e concreti di politica estera e di difesa”.

A questo proposito, è tornata in grande voga la richiesta di un esercito comune europeo, che riuscirebbe a dare all’Unione Europea un prestigio e un’importanza nelle decisioni geopolitiche sicuramente maggiore di quello di cui gode adesso. Potrebbe anche essere l’occasione di mettere sul tavolo un nuovo tipo di strategia politico-militare nelle zone dell’Oriente, che si allontani dalle tendenze di “esportazione della democrazia made in Usa, con interventi sul campo che cerchino di colpire direttamente le truppe dei talebani, coinvolgendo il meno possibile le popolazioni locali. In questi vent’anni di guerra in Afghanistan si sono contate 240 mila vittime, di cui oltre 70 mila civili e 685 fra giornalisti e personale umanitario; uno scempio del genere non deve più ripetersi.

Un altro tema molto caldo che in questi giorni è oggetto di dibattito è la possibilità di intraprendere veri e propri dialoghi con i talebani. In Italia forte sostenitore di questa linea sembra essere il Movimento 5 Stelle, con il leader pentastellato Giuseppe Conte convinto che la mediazione non sarebbe un riconoscimento della legittimità del nuovo governo a guida talebana, ma l’unico modo per garantire protezione a chi rimane in quelle zone. Di tutt’altra idea è il segretario della Lega Matteo Salvini, che si dice assolutamente contrario a qualsiasi tipo di dialogo o riconoscimento con gli estremisti islamici. 

Sicuramente il ritiro delle truppe dall’Afghanistan e la presa di Kabul da parte dei talebani apre una nuova pagina della storia geopolitica mondiale nella quale è necessario che tutte le nazioni, esportatrici di valori democratici, mettano in discussione tutte le politiche messe in atto negli ultimi vent’anni, cercando di non ripetere gli innumerevoli errori che hanno causato morte, distruzione e miseria nei paesi dell’Oriente; un approccio nuovo, volto non solo a tutelare i legittimi interessi nazionali dei singoli stati ma che riesca finalmente a porre al centro delle priorità tutti i diritti e le libertà di cui donne, uomini e bambini, dopo anni di lotte e conquiste, si vedranno ora privati. 

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