VIAGGIO VERSO EXUVIA – RISCOPERTA (2)

Il presente mi parla e non lo capisco

(La Matrigna – Skit)

Con l’interludio La Matrigna – Skit, Caparezza ci introduce alla seconda tappa dell’album: trovarsi di fronte a numerosi ostacoli che non sono nient’altro che un modo per riscoprire ciò che siamo. Queste difficoltà incontrate non sono solo esterne, ma anche conflitti interni.

Il tempo, qui ed ora, ci sussurra qualcosa, ma oltre a far fatica a udire ciò che viene detto, nel caso in cui riusciamo a sentire delle parole, non riusciamo a capire perché non siamo nella disposizione adatta a recepire alcuna informazione.

Però, come si può intuire, il termine “matrigna” ci richiama subito al tema della natura del noto poeta Giacomo Leopardi, di cui la stessa “skit” cita esplicitamente, portando a confrontarci con quello che è il primo ostacolo: la natura.

La natura, secondo il “gigante” di Recanati, si colloca in una filosofia negativa, non nel senso di critica decostruttiva per poi ricavare una risposta migliore, ma semplicemente una posizione pessimistica in cui essa non si cura dell’uomo, provocandoci dolori indiscriminatamente. In numerose sue opere compare questo concetto, come ad esempio nella poesia A Silvia:

Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor? perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?

Ma una testimonianza molto più convincente la riceviamo dal penultimo poemetto lirico-filosofico pubblicata nell’edizione postuma Canti nel 1845: stiamo parlando de La ginestra o anche Il fiore del deserto. Qui Leopardi non fa altro che ribadire la miseria umana e l’inesorabile destino dell’uomo, cioè vivere in una costante sofferenza. L’uomo, in una serie di similitudini e metafore, viene paragonato a un qualsiasi altro essere vivente.

Come un formicaio viene distrutto in maniera quasi banale, così anche l’uomo, di fronte alle forze della natura, ad esempio un’eruzione vulcanica, viene travolto senza poter reagire in alcun modo. Agli occhi della natura dunque non siamo altro che tasselli che sì, la compongono, ma che possono essere distrutti e subito dopo sostituiti e dei quali non si pone il problema della presenza di emozioni, quindi di conseguenza è assente l’elemento più significativo: il dolore umano.

Nella canzone seguente Caparezza fa sentire il suo grido nei confronti di Madre Natura e dell’intero universo. In Contronatura esprime questo suo dissenso a non essere considerati da Madre Natura: «Ma io voglio di più / Più del portare avanti la mia specie». Noi, infatti, siamo potenzialmente di più, vogliamo esserlo e, se la natura consuma l’uomo, l’unica soluzione rimanente è quella di andare “contronatura”, riscoprire quel “di più” che ci appartiene.

Successivamente annuncia in Eterno Paradosso,

Vivo un eterno paradosso
Un introverso fermo e con i fari addosso
E non affondo
Ora so nuotare a dorso
Lascio l’abisso alle mie spalle
Vago nel panta rei

“Panta rei”, ovvero tutto scorre e niente in questo mondo resta immutabile.

Allo stesso modo anche noi uomini, facendo parte di questo tutto, mutiamo in maniera ripetuta e ciò ci porta continuamente a cercare un nuovo posto sicuro dove approdare. Lo spazio dove eravamo prima ci sta stretto e dobbiamo dunque riscoprire il modo in cui si vive, ripartendo da capo più volte, come se vivessimo tante piccole avventure che costruiscono la nostra intera vita.

In un verso in particolare l’artista pugliese canta, «Sono un sognatore sveglio / Proteggo me da me stess. È proprio qui la vera ri-scoperta di se stessi.

Si riconosce a questo punto che, per quanto ci illudiamo, non possiamo rimanere fermi perché il mondo scorre. Quindi, una volta ricordatosi di ciò, salviamo noi da noi stessi, da quel nostro “io” che viveva in un sogno.

Altrimenti, la risposta alternativa sarebbe quella di un mondo che consiste in una propria rappresentazione, una propria illusione ottica. Scrive Schopenhauer:

È Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra, che egli prende per un serpente.

Il mondo come volontà e rappresentazione – Arthur Schopenhauer

Ci troviamo finalmente a passare oltre e troviamo subito un bivio assai difficile, in cui scegliere una strada piuttosto che l’altra porta con sé una determinazione di ciò che vogliamo essere e che diventeremo. In Marco e Ludo – Skit, ci presenta così le due figure che provano a dire la loro su quale sia la decisione migliore da prendere. Proprio nella canzone successiva i personaggi prendono vita e iniziano a raccontare la loro esperienza. Nel ritornello de La Scelta, però, Caparezza ci fornisce già una risposta su come affrontare questo enorme dilemma:

E sono contento della scelta che ho fatto
Nemmeno un rimorso, nemmeno un rimpianto
Sì, sono contento, che bella scoperta
Non serve nient’altro che fare una scelta
Patetica, eroica, patetica, eroica, patetica, eroica
Questa è la mia vita non dimenticarlo
Patetica, eroica, patetica, eroica, patetica, eroica
Questa è la mia vita non dimenticarlo
Questa è la mia vita non dimenticarlo

Qualunque sia la scelta, l’essenziale è non rinnegare se stessi. Scegliendo ciò che è più idoneo a noi, siamo portati ad un superamento della nostra condizione attuale, da una posizione misera a una migliore.

Dobbiamo per forza intraprendere uno dei due sentieri che troviamo posti di fronte a noi. Riprendendo una memorabile frase in L’essere e il nulla, opera scritta dal filosofo francese Jean Paul Sartre, «L’uomo è condannato ad essere libero», capiamo come “vivere”, per noi essere umani, comprende inevitabilmente “scegliere”.

Il viaggio di Caparezza prosegue con Azzera Pace. dove l’elemento chiave è la contraddizione. Una continua opposizione, infatti, implica una costante messa in discussione che permette di fare un ulteriore passo verso una “metamorfosi” completa. Tutto ciò consiste in nient’altro che rispolverare quei desideri che sappiamo di avere, ma che abbiamo accantonato in un angolo della nostra mente e dimenticato nel nostro cuore.

Questo non è solo una nostra colpa, ma una parte di responsabilità è data alla società che ci circonda, come spiegano bene i seguenti versi di Azzera Pace: «Quante banalità riempiono le piazze / Rimpiango quando riempivano i silenzi / Sì, mi fa paura l’ignoranza, lo vedo come dilaga / E brucia tutto, la vedo, è come di lava». Al giorno d’oggi non si fa altro che assopirsi con distrazioni continue, in cui il silenzio ormai ha perso il suo valore come spazio pieno di energie e possibilità. Non possiamo non riportare qui il concetto di alienazione di Marx. Nelle sue opere afferma come, nell’alienazione, l’essere umano, che dovrebbe essere il signore del suo prodotto, ne appare come il servo (dove il termine ‘prodotto’ può essere tranquillamente sostituito con quello di ‘società moderna’).  Nella Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico scrive di coloro che dovrebbero permettere di risolvere questo problema sociale, i filosofi.

È anzitutto compito della filosofia. operante al servizio della storia, di smascherare l’alienazione che l’uomo fa di se stesso nelle sue forme profane, dopo che la forma sacra dell’umana alienazione di se stesso è stata smascherata.

Un’altra via disponibile a contrastare questa modernità che assopisce l’uomo è l’arte e, come viene detto nell’outro di Eyes Wide Shut, «Art is better than life». L’immaginazione e la fantasia artistica, infatti, si pongono come una via d’uscita presente in qualsiasi momento, permettendoci di pensare e poi costruire un mondo diverso da quello esistente. Come afferma Hume, l’immaginazione ci permette di operare sulle idee e impressioni del mondo.

Non meno evidente è, dunque, il nostro secondo principio: la libertà dell’immaginazione di trasporre e cambiare le sue idee. Le favole, che troviamo nei poemi e nei romanzi, pongono questo principio fuori di ogni contestazione. In esse: la natura è totalmente sconvolta: non vi si parla che di cavalli alati, di draghi fiammeggianti e di giganti mostruosi. Né parrà strana questa libertà della fantasia, se si considera che tutte le nostre idee sono riproduzioni di impressioni, e che non vi sono due impressioni che siano perfettamente inseparabili. Per non dire che questa è un’evidente conseguenza della divisione delle idee in semplici e complesse: ovunque l’immaginazione percepisca una differenza fra le idee, può facilmente operare tra loro una separazione.

Trattato sulla natura umana – David Hume

Subito dopo, l’interludio Ghost Memo – Skit, ci introduce con il suo titolo al mondo raccontato nella canzone Come Pripyat, in cui Caparezza fa riferimento alla famosa città abbandonata a causa del disastro nucleare di Chernobyl; questo pezzo si trasforma in una critica del rap moderno fino ad arrivare a una critica politica. Non ci rimane altro che lasciare che la natura si riappropri dei suoi spazi, ma questo non significa abbandonarsi alla sofferenza, «Perché l’umana natura sta divorando ogni cosa / La carreggiata, le mura, persino i banchi di scuola», come dice alla fine di Come Pripyat, bensì consiste in una rivalutazione del mondo e del pensiero che circola tra gli uomini.

Questo salto qualitativo è dato dalla riscoperta di una cosa che ci appartiene da quando siamo nati che però crescendo si è persa: la meraviglia. È difficile, però, ritrovarla in questo bosco pieno di ostacoli. Siamo riusciti a superare il nostro vecchio “io”, abbiamo affrontato la natura, ma ancora dobbiamo avere a che fare con quello che ci circonda, che abbiamo creato e che nasconde la Bellezza presente nelle cose.

Sono troppo vecchio per fantasticare
Sono troppo giovane per il blackout
Faccio controvoglia quello che mi pare
Perché mi ricordo che così si fa

Scrive così l’artista pugliese ne Il Mondo Dopo Lewis Carroll. Non sappiamo più meravigliarci, “siamo adulti” ci ripetiamo. Come esplica il titolo, ci troviamo in un mondo privo di eventi sorprendenti, una dimensione che non è più quella di Alice nel Paese delle meraviglie, ma viviamo una esistenza inautentica, utilizzando una terminologia heideggeriana.

Non rimane altro allora che proseguire il nostro viaggio fino ad arrivare alla dimensione che ci appartiene e che permette a noi esseri umani di “coltivarci” e trasformarci.

Passare definitivamente ad una esistenza autentica, togliendo tutte le incrostazioni che costituiscono quell’involucro pesante e dannoso per noi: fare gli ultimi passi per arrivare così a Exuvia.

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