Green New Deal, ora o mai più

“Se avete messo un mulino a vento nel vostro cortile o dei pannelli solari sul vostro tetto, che Dio vi benedica. Ma renderemo il mondo più verde solo quando cambieremo la natura stessa della rete elettrica – spostandola dal carbone sporco o dal petrolio al carbone pulito e alle energie rinnovabili. E questo è un progetto industriale enorme – molto più grande di quanto qualcuno vi abbia detto. Infine, attraverso la versione verde del New Deal, si avrà il potenziale di creare un’intera nuova industria di energia pulita per spronare la nostra economia nel 21° secolo.”

Questa fu la dichiarazione al New York Times di Thomas Friedman, giornalista e saggista, che in quell’occasione – era il gennaio del 2007 – conio per la prima volta la fantomatica parola “Green New Deal”. Prendendo spunto dal New Deal – il piano di riforme economiche e sociali promosso negli anni 30 dal presidente Roosevelt – Friedman cerca di dettare quelle che avrebbero dovuto essere le linee guida per attuare la più grande rivoluzione ambientale mai vista. Un “manifesto green” che si proponeva di apportare in tutte le sfere della società – dalla vita di tutti i giorni ai settori di produzione – un sistema di riforme sociali a transizione verde, capace di azzerare le emissioni di CO2, creare lavoro sostenibile e ben pagato e ridurre le disuguaglianze economiche, in parte generate dai cambiamenti climatici.

Da quel giorno schiere di politici, attivisti e associazioni ambientaliste si sono appropriati e fatti promotori di questo progetto; davanti a tutti la deputata statunitense Alexandra Ocasio Cortez, che insieme al senatore Ed Markey, presentò nel 2018 in parlamento una risoluzione volta a stimolare un’economia verde e blu; la proposta venne nettamente bocciata dal parlamento americano.

In ambito europeo, fortemente sostenuto dalla Presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen, troviamo la versione europea del Green New Deal, il “Green Deal Europeo”, che si compone di una serie di obiettivi per trasformare l’UE in un’economia moderna, sostenibile, che elimini le emissioni di gas a effetto serra e che riesca a dissociare la crescita del consumo di risorse.

Rimane da chiedersi che cosa manchi al green New Deal per potersi concretizzare in riforme e disegni di legge. Certamente uno dei più grandi ostacoli è l’incapacità della classe politica di mettere in atto misure efficaci per combattere i cambiamenti climatici. Tra politici che minimizzano – e talvolta negano – la crisi climatica e politici che a parole si presentano come i salvatori del mondo ma che poi nei fatti si rivelano non altro che ciarlatani, si sono buttati almeno vent’anni di politica in cui si potevano prendere misure importanti e, quantomeno, tamponare fenomeni come l’innalzamento delle temperature. L’unica misura di un certo spessore che è stata presa è l’Accordo di Parigi del 2015, che stabilisce un quadro globale per evitare pericolosi cambiamenti climatici limitando il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2ºC e proseguendo con gli sforzi per limitarlo a 1,5ºC. Ma oltre a questo nulla, solo parole vuote, volte a guadagnare qualche consenso in più prima di un’elezione. 

E in tutto questo, assistiamo ad un quadro ancor più allarmante; confrontandosi con dati e grafici si possono notare anomalie termiche su tutta la superficie terrestre, così come la riduzione del ghiaccio marino artico (è da tener presente che i dati fino a dicembre 2020 si riferiscono alle medie 1981-2010, mentre i dati sulle anomalie registrate nel 2021 si basano sulle medie 1991-2020). È evidente, a prescindere dalla media di base usata, l’aumento delle temperature medie in tutti i mesi dell’anno, in particolare nelle aree polari e boreali, e la diminuzione del ghiaccio marino artico estivo, con minimo storico registrato nel 2012 e subito a seguire il 2020. È chiaro che non si tratta di una diminuzione graduale e il meno pronunciato calo registrato nel 2021 non indica affatto un’inversione di tendenza.

È da sottolineare, inoltre, che episodici eventi di freddo estremo sono sempre possibili, ma meno frequenti e durevoli degli eventi di caldo anomalo. Questi eventi estremi si moltiplicano negli anni a venire, per via dello spostamento della jet stream (corrente a getto) che opera nella stratosfera, procurando temperature eccezionalmente distanti dalle medie stagionali (in entrambi i sensi) a seconda delle zone e le cui cause sono ancora poco chiare. Il cambiamento climatico colpisce ogni zona del pianeta in maniera differente. Si crede, per esempio, che le aree a clima mediterraneo si desertificheranno più o meno gravemente e vedranno piogge sempre più scarse ma concentrate in eventi violenti e devastanti come il Medicane, che ha colpito Zante e Cefalonia, isole Ionie greche, il 17 settembre 2020. Al contrario, climi piovosi come quelli continentali umidi potrebbero vedere un aumento delle precipitazioni annue.

Uno spiraglio di speranza per gli ambientalisti è rappresentato dalla crescita esponenziale dei partiti verdi in Europa. Abbandonate le posizioni ideologiche tipiche degli anni ’70, tendenti a forme di anarchismo, questi nuovi schieramenti hanno assunto la forma di vere e proprie forze politiche, capaci di proporre all’elettorato programmi in grado di accollare i principi della eco- sostenibilità a tutte le sfere della società. Leader giovani, carismatici e preparati, che hanno saputo fare breccia soprattutto negli animi dei giovani europei, e che riescono a dare una speranza di fronte ad un fenomeno come il cambiamenti climatico, il quale rischia di trasformarsi nella più grande catastrofe a cui l’uomo abbia mai assistito. 

Particolare successo ha riscontrato il partito verde tedesco “Alleanza 90/I Verdi” , guidati dalla trentottenne Franziska Keller, che alle elezioni europee del 2018 sono riusciti a raggiungere la soglia del 20%, staccando i socialdemocratici (15%) e avvicinando sempre di più l’Unione Cristiano Democratica della Cancelliera Angela Merkel (29%). Un risultato quello dei Grünen che li proietta ad essere i veri leader dell’ambientalismo europeo (e non solo). 

Questa crescita dei partiti verdi non fa che rispecchiare la sempre maggiore sensibilità da parte delle nuove generazioni rispetto a temi come quelli dell’emergenza climatica. Una serie di input che il sistema politico – governi e partiti – ,volente o nolente, deve accettare come sempre più mainstream all’interno del dibattito pubblico, con la consapevolezza le sfide sono tante e il tempo davvero poco. 

(Raccolta dati ad opera di Marcello Di Maio)

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