Professori e alunni – La percezione scolastica sul grande schermo

Tutti abbiamo dei ricordi legati alla scuola, belli o brutti che siano. Tutti abbiamo avuto a che fare con interrogazioni, amori e odi con compagni di classe e scontri con i professori. Il cinema non poteva certo farsi scappare un mondo simile e infatti alcune pellicole ambientate tra i banchi sono diventati veri e propri cult (L’attimo fuggente) e sono spesso riusciti nell’intento di rappresentare intere generazioni di studenti (Notte prima degli esami). Oggi analizzeremo tre film scolastici forse meno noti, diversi per anno, nazionalità e impostazione ma uniti tutti dalla tematica del rapporto tra studente e docente. Le tre pellicole sono disponibili in streaming su PrimeVideo.La scuola (1995) è tratto dalla pièce teatrale Sottobanco di Domenico Starnone, scrittore ed ex-docente di lettere in un istituto tecnico di Roma. La pièce è a sua volta basata sulle varie cronache scolastiche pubblicate settimanalmente da Starnone su alcune testate come il Corriere della Sera e il manifesto tra gli anni ’80 e ‘90. La pellicola racconta, in modo umoristico, l’ultimo giorno scolastico in un malandato istituto tecnico della periferia romana. Qui, dopo le ultime disperate interrogazioni, i professori di una sgangherata classe daranno il via ad un tragicomico quanto interminabile scrutinio, sfogando tutti i malumori repressi durante l’anno. Vivaldi, tenero insegnante di lettere, si chiede se sia giusto ritenersi soddisfatti per gli ottimi risultati raggiunti dal “primo della classe” oppure se sia meglio concentrarsi sui ragazzi problematici, coloro che più di tutti necessitano dell’intervento della scuola. Il prof. (interpretato da Silvio Orlando) è infatti consapevole che dietro ogni comportamento o andamento all’interrogazione c’è un vissuto diverso, quindi, prova a dialogare con i suoi alunni per comprenderli, tenta di aiutarli a risolvere i propri problemi quotidiani, di farli stare bene con sé stessi e di trovare in ognuno di loro qualcosa di positivo. A comportarsi nell’esatto contrario è invece il dispotico vicepreside Sperone (Fabrizio Bentivoglio). Lui considera tutti gli studenti indisciplinati ed ignoranti e crede che solo pochi riusciranno a trovare un proprio posto nella vita. In classe Sperone si limita a trasformare le parole degli studenti in medie matematiche di voti che ne definiscano l’affidabilità come persone. Il terzo atteggiamento mostrato è quello del preside (Mario Prosperi) che cerca di far promuovere tutti non perché questa sia la cosa giusta da fare ma semplicemente per non avere problemi. Il suo è l’atteggiamento di chi non ha alcuna fiducia nei confronti dell’istituzione scolastica e che riduce il tutto ad una pura formalità: poco importa se i ragazzi svolgano un percorso davvero formativo perché in nessun modo la scuola potrà essergli d’aiuto per il loro futuro. I caratteri dei professori qui sono sì estremizzati ma risultano comunque credibili e, alla base, le loro linee di pensiero non sono poi così lontane da quelle di reali insegnanti anche dei giorni nostri. Nonostante la pellicola abbia l’obiettivo principale di far sorridere lo spettatore riesce a disseminare, qua e là, piccole riflessioni e domande non banali sul mondo scolastico diventando man mano sempre più amaro sino ad un finale decisamente malinconico.

Se La Scuola prende quanto di più disastrato c’è nell’ambiente scolastico e lo esagera per dipingerne un ritratto umoristico, invece, La classe (2008) adotta uno stile totalmente opposto cioè documentaristico, drammatico ed inserisce la tematica sociale. Il film non ha neanche un intreccio preciso ma segue piuttosto varie situazioni che si creano all’interno della classe protagonista, nel corso dell’anno. Siamo a Parigi, in una multietnica scuola media in cui povertà, disagio sociale e problemi d’integrazione sono all’ordine del giorno. Qui anche semplici considerazioni sulle partite delle varie nazionali di calcio sfociano in violenti scontri razziali tra gli studenti. Il nostro protagonista, l’insegnante di lettere François Marin (interpretato da François Bégaudeau, docente e autore dell’omonimo libro da cui è tratto il film) deve aiutare i suoi ragazzi a stringere legami sociali. Parte così dalle esperienze biografiche di ogni ragazzo ed assegna loro la scrittura di un autoritratto. Il compito diventa l’occasione giusta innanzitutto per capire cosa voler comunicare di sé agli altri (la percezione che ogni studente ha di sé stesso) e poi come metterlo in pratica. François quindi tenta, appassionato, di dimostrare l’utilità di un corretto linguaggio verbale nella quotidianità e l’esistenza di altre forme di comunicazione. Per farsi comprendere, François si pone in modo molto diretto nei confronti degli alunni usando i loro modi di dire (anche quelli più coloriti!), ricorrendo ai loro interessi di tutti i giorni come lo sport e i tatuaggi e non sgridandoli per un cattivo risultato ma provocandoli scherzosamente per spronarli a impegnarsi di più. Tutto ciò ha un solo scopo: insegnare ai ragazzi a non vergognarsi di sé, delle proprie radici e delle proprie idee e ad esprimersi nel rispetto degli altri.

François durante una lezione

Cambiamo decisamente ambientazione con l’ultima pellicola, Il club degli imperatori (2001). L’insegnante protagonista stavolta è William Hundert (Kevin Kline), stimato professore di storia antica presso il prestigioso St. Benedict College in Virginia. Egli svolge il suo lavoro con passione e orgoglio, consapevole del fatto che nel suo istituto forma la futura classe dirigente del Paese. Un giorno arriva nella sua classe l’intelligente ma indisciplinato Sedgewick Bell (Emile Hirsch), figlio di un importante senatore. A Bell non interessa nulla della carriera scolastica visto che grazie all’influenza del padre ha praticamente la promozione assicurata. Hundert dunque, spinto dall’orgoglio, inizia a motivare Bell e lo convince a prepararsi per le selezioni di un importante concorso del collegio che elegge lo studente con la miglior conoscenza del mondo classico.  Nel fare ciò Hundert punta tutto sul ragazzo, mette in secondo piano gli altri alunni arrivando addirittura a gonfiarne i punteggi pur di ammetterlo alla fase finale della gara e non fargli perdere fiducia in sé stesso. Gli sforzi del professore andranno a buon fine? Lo scopriremo nella seconda metà del film. Infatti, 25 anni dopo Bell, ormai adulto, richiama Hundert e compagni di classe per replicare la sfida. In questa rimpatriata il professore potrà capire se i suoi insegnamenti hanno reso l’ex allievo una persona migliore.  Quest’ultimo film quindi parte dal contesto scolastico per poi svincolarsene e concentrarsi sul ruolo dell’educatore e sul tema della formazione. Hundert, infatti, non si pone nei confronti di Bell come semplice professore ma come uomo adulto che cerca di trasmettere i propri valori positivi. Lui utilizza lo studio come strumento per insegnare al viziato ragazzo l’importanza del sacrificio per raggiungere onestamente i propri obiettivi, della responsabilità verso i propri doveri e della preparazione culturale in quanto fonte di automiglioramento. William decide di dedicarsi interamente a Bell perché da studioso dei processi storici crede stoicamente che ogni uomo abbia un dovere nei confronti della vita. Il suo è l’educazione delle nuove generazioni e dalla buona riuscita di questo compito dipende la sua validità come essere umano. Nel momento in cui l’educatore si confronta con gli allievi si confronta anche con sé stesso.

I tre film promuovono l’idea secondo cui, professore e studente non sarebbero poi tanto diversi: entrambi vivono le stesse difficoltà sentimentali e sociali, hanno ambizioni e paure simili ed entrambi spesso commettono errori. Il rapporto che i tre protagonisti si propongono di avere con i loro alunni è di fiducia, in cui ognuno dei due condivide il meglio di sé per un obbiettivo comune (la formazione).Tuttavia ciò viene rappresentato come qualcosa di raro, qualcosa che dovrebbe essere la normalità ma non lo è. Nella maggior parte dei casi gli insegnanti sembrano non sapere come comunicare con i ragazzi ed appaiono a questi ultimi semplicemente come un ostacolo. In ogni caso, cerchiamo di non generalizzare. Il tema dell’insegnante alternativo che rompe l’equilibrio precostituito è uno schema narrativo tipico di prodotti del genere e la vita reale è piena di docenti appassionati. Il fatto che film di nazioni diverse e distanti anche una decina di anni l’uno dall’altro continuino a presentare il tema in questi termini però dovrebbe insospettirci. Registi, sceneggiatori, autori dei libri di partenza o comunque l’intero pensiero comune percepiscono il rapporto tra alunno e professore come inadeguato. Questo tipo di rappresentazione è spia di un’esigenza ricorrente: è necessario riformulare la relazione tra le due parti. Certo, la scuola è un mondo vario ed in continua evoluzione, sarebbe stupido pensare di trovare un sistema valido sempre ed ovunque, ma fin quando cinema ed altre forme d’arte continueranno ad esprimere questa insoddisfazione, vorrà dire che, forse, non staremo facendo abbastanza.

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