Habemus Draghi

Non è facile trovare le parole per descrivere il momento politico-istituzionale italiano odierno. Il 13 febbraio 2021 nasce in via definitiva il Governo Draghi, il governo dei migliori, quello che avrebbe dovuto sostituire un premier come Conte che, dall’alto della sua presunta incapacità, era riuscito nella non facile impresa di accaparrarsi la più grande fetta del Recovery Fund

Il primo miracolo di Mario Draghi è stato quello di trasformare la Lega di Salvini in un partito di stampo europeista e riformista, con il nuovo ministro dello sviluppo economico Giorgetti  (Lega) che sembra essere diventato il suo discepolo più fidato. E se da una parte si può che dire che sia nata una Lega decisamente più presentabile rispetto a quella del #primagliitaliani, dall’altra è stato permesso a Giorgia Meloni di raccattare tutta quella fetta di elettorato di scontenti del sistema che l’hanno fatta volare in pochissimi mesi in cima a tutti i sondaggi elettorali. 

Ma i miracoli dell’ex presidente della BCE non finiscono qui. Anche il ministro degli esteri Luigi Di Maio (M5S) ha espresso grande stima e rispetto verso Draghi e il suo modo di fare politica; lo stesso Di Maio che prima delle elezioni del 2018 chiedeva l’uscita dall’euro e che si proclamava sovranista. Al Movimento 5 Stelle l’arrivo di Super Mario non si può certo dire che abbia portato benefici: la storica anima del Movimento, Alessandro Di Battista, ha definitivamente mollato il partito, reo ai suoi occhi di essersi troppo conformato a quell’establishment che il M5S aveva promesso di combattere e aprire come una scatola di tonno.

Poi abbiamo quelle che sono le vere e proprie cheerleader draghiane, Matteo Renzi e Carlo Calenda, che da un anno a questa parte passano le loro giornate a suon di dichiarazioni lusinghiere nei confronti del premier, ignorando (o volendo ignorare) la perfetta linearità delle politiche di Draghi con quelle di Conte, soprattutto nella gestione dell’emergenza Covid. A proposito, che fine ha fatto la battaglia di Italia Viva e Azione sull’adozione del MES? Conte era stato giudicato populista e anti-europeista per la sua contrarietà al fondo salva-stati, mentre su questo tema nessuno sta facendo le pulci a Draghi nonostante non l’abbia mai menzionato in quasi un anno che è alla guida del governo. Ma questi sono i misteri della fede draghiana.

Abbastanza controverso invece è stato il ruolo del Partito Democratico all’interno di questa fase storica: se da una parte si può dire essere stato la forza di governo che più ha giovato dell’arrivo del nuovo premier, sia in termini politici che elettorali, dall’altra sta perdendo ancora l’occasione per riconquistare sintonia con quella fetta di popolo che nulla ha a che fare con negazionisti e complottisti, ma che semplicemente chiede una maggiore giustizia economica e sociale. 

Una situazione dunque in cui tutte le forze di governo si prostrano di fronte al nuovo messia della politica italiana, al quale vengono attribuiti a priori tutti i meriti del processo di ripresa dell’economia. Esemplare è stato anche l’atteggiamento tenuto dai media in occasione del G20 di Roma: mentre i giornali di tutto il mondo hanno riportato quello che fondamentalmente è stato l’ennesimo fallimento della politica internazionale, le testate italiane hanno cercato di consolarci spostando l’attenzione sulle strabilianti capacità organizzative di Draghi, che del G20 è stato il padrone di casa in qualità di leader del paese ospitante.

E negli ultimi giorni è arrivata la stoccata di Giorgetti che vorrebbe addirittura Draghi Presidente della Repubblica pur senza rinunciare alla sua leadership dell’esecutivo, così da giungere ad una forma di governo a stile presidenziale. Tralasciando il fatto che una tale opera sarebbe incostituzionale, e solo questo dovrebbe far riflettere sulla preparazione giuridica di certi politici, rimango alquanto esterrefatto di fronte a tutto ciò: esterrefatto non nei confronti di Draghi (che probabilmente comincia anche lui a domandarsi con che personaggi ha a che fare), ma di una classe politica che ci sta raccontando che per risollevare il paese dai suoi milioni di problemi basta quello che a tutti gli effetti è “l’uomo forte” ; la cosa più sconcertante, inoltre, è che tale convinzione sia portata avanti dai partiti che sulla carta sono le anime del liberalismo, della democrazia rappresentativa e dello stato di diritto. Verrebbe dunque da chiedersi chi siano oggi i veri populisti

A tutto ciò si aggiunge un’opposizione come quella di Giorgia Meloni che, con discorsi come quello tenuto in Spagna (su invito del neo-franchista Santiago Abascal), certo esalta gli estremisti di destra (gli stessi che hanno assaltato la CGIL), ma fa anche piangere tutti coloro che possiedono un minimo di cultura liberal-democratica

Di fronte a tutto ciò, ancora ci sorprendiamo se la gente non va a votare?

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