Bernard-Henri Lévy – Sulla strada degli uomini senza nome

Anche se non credo né alla saggezza frutto dell’esperienza né alla fatalità dell’invecchiamento, è il momento di raccontare la storia delle mie follie”. 

Con queste parole Bernard-Henri Lévy, filosofo e reporter francese, all’età di settantatré anni decide che è arrivato il momento di spiegare ai suoi lettori, ma forse anche a se stesso, che cosa l’abbia spinto a rinunciare a una vita di benessere e tranquillità per mettersi in cammino “Sulla strada degli uomini senza nome”, titolo della sua autobiografia. Un’opera dove Lévy, prima di riportare otto delle sue esperienze nelle zone più degradate del mondo, offre ai lettori un’analisi di se stesso, di ciò in cui crede, degli “eroi” a cui per tutta la vita si è ispirato, cercando anche di dare una risposta a una serie di interrogativi sul genere umano e la sua condizione nel mondo. La storia di un pensatore “figlio del mondo”, di una vita passata cercando di dare un nome, un’identità e una dignità a uomini e donne che la guerra e la miseria hanno portato ad essere poco più che fantasmi sulla terra. 

Radicale puro, Lévy è il primo rappresentante della Nouvelle Philosophie. Si tratta di una corrente politico-filosofica di sinistra che, alla lotta contro la destra conservatrice e al capitalismo, accompagna un’accesa polemica ai principi comunisti del marxismo e del maoismo, giudicati colpevoli di aver contribuito alla nascita di regimi totalitari. Ebreo di nascita, si è dichiarato contro l’islamismo e si è a più riprese schierato contro l’anti-cattolicesimo della comunità ebraica che aveva mosso critiche contro Papa Pio XII e Benedetto XVI. 

Nel suo libro Lévy racconta di un’umanità minacciata dall’ascesa dei nazionalismi e degli egoismi, ma anche di una globalizzazione fittizia che vede nell’economia e nel profitto l’unico motore di una società che sembra aver dimenticato il valore della fratellanza e della giustizia, quella vera. Si arrabbia con i suoi compatrioti europei, condanna quelli che, pur condividendo in linea teorica i suoi principi, si sono rassegnati all’inevitabilità delle ingiustizie, precipitando in un immobilismo che ne è automaticamente complice. Nel suo libro Lévy offre la sua idea di internazionalismo, che nulla ha a che fare con l’abbattimento dei confini o con una società multietnica; il suo internazionalismo è piuttosto un ideale di fratellanza globale, il principio secondo cui tutti hanno il diritto di avere un nome, di essere qualcuno in un mondo che troppo spesso esclude.

Un racconto dove l’autore stesso a volte fatica a dare una spiegazione razionale alle sue mille follie, alle motivazioni che l’hanno spinto a rischiare più volte la vita in zone di guerra. Lévy ammette che non si è mai posto l’interrogativo sul perché scegliesse di intraprendere certe avventure, che erano tutte frutto di uno scatto, di un impulso del momento che lo ha portato in zone come Bangladesh, Nigeria e Libia. Una voce libera, schietta, così profonda e forte da farlo finire sulla lista nera del Presidente della Turchia Erdogan per aver denunciato le sue malefatte in Libia. 

Gli uomini senza nome non sono per il filosofo francese solo coloro che lui stesso ha incontrato nei suoi lunghi viaggi; sono anche tutti quei disperati che scappano da guerre e carestie, a bordo di barconi che certi politici hanno avuto il coraggio di definire “taxi del mare”. E non serve andare tanto lontano per incontrare miseria e povertà, perché se apriamo gli occhi esse sono visibili in ogni angolo delle nostre città. Le parole di Lévy risuonano ancor più forti in un’Europa dove si chiudono le frontiere e si ergono muri in nome della “sicurezza nazionale”, dove chi cerca di trasmettere valori di fratellanza viene additato come buonista e, se benestante, pure radical chic. E se la sua visione del mondo a volte può sembrare utopica, Lévy preferisce apparire come un illuso piuttosto che rinunciare a una morale che rappresenti l’anima, la vera parte spirituale dell’essere umano

Nonostante salgano gli anni, in un’intervista a “Porta a Porta” Lévy dichiara di non aver ancora perso la forza e l’energia di cinquant’anni fa. E se può aver abbandonato qualche illusione rivoluzionaria, il suo impegno per l’affermazione dei valori universali di libertà non è mai cambiato: quegli stessi valori che il mondo di oggi, soprattutto durante la pandemia, sembra aver dimenticato.

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