Il ruolo della Cina nella guerra russo-ucraina

In questo periodo di emergenza bellica in cui ci troviamo, un Paese sul cui ruolo credo sia importante riflettere è la Cina. 

La Cina ha sempre dimostrato comportamenti ambivalenti e poco chiari. 

È interessante dal punto di vista geopolitico, in quanto ha sempre agito senza prendere posizioni permanenti, ma cambiando schieramento a seconda dell’opportunità; I governi della Repubblica Popolare hanno sempre promosso il commercio nazionale e la cooperazione limitatamente al soddisfacimento di interessi nazionali. Storicamente, infatti, la Cina è sempre stata restia alla collaborazione con gli altri Stati, specialmente con l’Occidente, per il quale prova un risentimento risalente alla cosiddetta “epoca della vergogna” (che corrisponde approssimativamente all’età successiva alla sconfitta sionista nelle guerre dell’oppio contro l’Inghilterra). 

Nel periodo del Covid-19, la Cina ha dimostrato un comportamento poco incline alla collaborazione. Inizialmente, quando il virus era ancora localizzato solo nel suo territorio, ha cercato di tenere quanto più segreto possibile il fatto. E infine, anche quando il Covid-19 si è espanso al di là delle frontiere e ha raggiunto il resto del mondo, è stata restia alla condivisione di dati e informazioni, non permettendo addirittura per alcuni mesi ispezioni da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ciò ha reso più difficile per gli altri Paesi ricostruire l’accaduto e reagire in risposta all’emergenza.

Nel caso del conflitto in Ucraina, il suo comportamento si sta dimostrando difficile da identificare; infatti, nonostante la decisione iniziale di schierarsi con la Russia, al momento la sua posizione è controversa, e non si esclude che possa sfociare in un’aperta collaborazione con l’Occidente a sfavore di Putin. 

Per capire le mosse cinesi, bisogna risalire indietro di qualche settimana prima dell’attacco: il 4 febbraio, infatti, il presidente cinese Xi Jinping si era incontrato con Putin a Pechino, in vista delle olimpiadi invernali. Il confronto aveva portato i due Paesi a fare fronte comune contro gli Stati Uniti. I due presidenti si erano promessi sostegno reciproco in politica estera, condannando le mire espansionistiche della NATO e rafforzando i loro legami economici. I due leader, inoltre, avevano dichiarato di voler costruire un nuovo ordine mondiale e riformare l’attuale sistema internazionale, abbandonando l’originale significato greco del termine “democrazia” -che corrisponde al significato attualmente usato in occidente- a favore di uno non univoco, che dipende dalla visione che ogni nazione ha in merito al concetto stesso e ai suoi valori fondanti.

Molti hanno ritenuto che fosse stato proprio questo colloquio ad aver determinato l’iniziale appoggio cinese alla Russia, che ha ritenendo legittime le pretese sull’Ucraina, sostenendo il desiderio di Putin di riprendersi il territorio.

La posizione della Cina ora invece è incerta: si schiererà con Putin contro l’Occidente e ne approfitterà, o invece collaborerà con l’alleanza atlantica per rispondere alla crisi?

Da un certo punto di vista, Pechino è molto simile a Mosca per obiettivi e visione della NATO. Sono entrambe nazioni storicamente accentratrici e che tendono a voler avere sotto la propria sfera di influenza i paesi satelliti. Il loro obiettivo condiviso principale è dunque l’indebolimento della presenza americana in questi territori.

Inoltre, tra i valori della cultura politica sionista (l’insieme di principi fondamentali che determinano la cultura di un popolo) figura il principio fondamentale del rispetto della sovranità territoriale, cosa che, unendosi all’innato sentimento paranoico cinese verso le possibili insidie provenienti dall’esterno, l’ha spesso portata, nel corso dei secoli, ad interpretare le decisioni di altri Stati come una possibile minaccia al proprio Paese. 

In questo caso, ad esempio, le azioni della NATO potrebbero essere interpretate come una possibile futura minaccia alla propria sovranità territoriale; questo, potrebbe portare la Cina a fare un parallelismo tra il comportamento occidentale nei confronti dei territori ucraini, con quello che questi potrebbero avere nei confronti di Taiwan. Infatti, se la Cina attaccasse l’isola, come ha fatto la Russia con l’Ucraina, si ritroverebbe a dover affrontare una risposta mondiale simile a quella che sta accadendo ora, se non peggiore. 

Seguendo questo filo di pensiero, il riconoscimento dell’azione di Putin come la legittima risposta alle paure per la sicurezza e la sovranità del Paese – che si rifà al principio del rispetto della sovranità territoriale, con particolare condanna dell’intromissione occidentale nella sovranità altrui – sarebbe un pretesto per la Cina per giustificare un suo futuro attacco a Taiwan, attraverso la stessa pretesa usata oggi da Mosca.

Questo ha portato alcuni a temere che la Cina, sulla scia russa e sicura del suo appoggio, possa in un futuro non troppo lontano, rivendicare l’isola e dare il via ad un’altra escalation militare, che porterebbe gli Stati Uniti e il mondo occidentale a fronteggiare una potenza nucleare in ascesa. 

I recenti eventi hanno portato gli stessi abitanti di Taiwan a temere per la propria indipendenza, vedendo nella popolazione ucraina lo specchio di cosa potrebbe accadere alla loro. 

Se ci avvaliamo di questa tesi, e dell’alleanza russo-sionista, il comportamento cinese sembrerebbe fin qui in linea con la sua cultura politica e coerente con quanto detto.

Tuttavia, negli ultimi giorni la Cina sembra aver invertito la rotta, non sentendosi più tanto sicura della posizione presa in precedenza, e propensa piuttosto ad allontanarsi dalla Russia. 

Il primo di marzo, infatti, la dichiarazione del Ministro degli Esteri cinese Wang Yi è stata quella di porre la Cina come mediatore per il cessate il fuoco tra Ucraina e Russia, e il giorno seguente, in occasione della votazione sulla risoluzione ONU che condanna l’invasione russa, la Cina si è astenuta. Questo potrebbe essere indice della fragilità dell’alleanza sino-russa. 

Xi Jinping ha anche intrattenuto una conversazione telefonica con Emmauel Macron e Olaf Scholz, in cui afferma di essere disposto a cooperare con l’Europa per rispondere alla Crisi in Ucraina, ma si astiene dall’uso di sanzioni troppo rigide, dicendosi preoccupato per l’effetto che stanno avendo sull’economia globale, con la volontà quindi di collaborare per ridurre l’impatto negativo che queste stanno avendo sui mercati. 

Seguendo questo ragionamento, Xi Jinping potrebbe essere, al momento, il miglior mediatore presente sulla piazza. Se consideriamo il legame passato e presente tra i due Paesi, infatti, c’è la possibilità che Putin sia più disposto a trattare con lui che con i Paesi occidentali. Poiché entrambi sono regimi non democratici e storicamente ostili all’Occidente, e poiché sono partner commerciali e diplomatici molto forti, il capo del Cremlino ha infatti una migliore considerazione del governo cinese rispetto alle amministrazioni dell’alleanza atlantica.

C’è da chiedersi perché la Cina stia facendo tutto ciò e abbia deciso di cambiare direzione. 

Non c’è una risposta certa.

Sappiamo però che la Cina ha negli ultimi anni stretto maggiori rapporti commerciali e diplomatici con i paesi occidentali, partecipando a summit di vario genere ed entrando a far parte di molte organizzazioni internazionali. La Cina non sembra volersi inimicare l’occidente, ma neanche la Russia. 

Inoltre, l’avere legami stretti con il Cremlino e volere entrambi indebolire l’influenza statunitense, non toglie il fatto che queste potenze sono rivali in alcuni paesi, nei quali vogliono ottenere l’influenza egemonica.

Xi Jinping, nonostante il desiderio di divenire una potenza autocratica, non può sfuggire alla globalizzazione: l’interdipendenza economica odierna, infatti, ha portato gli Stati ad essere sempre più dipendenti ed influenzati da ciò che accade all’economia degli altri Paesi, e ad essere spesso vittime indirette di ricadute economiche causate dalle decisioni degli altri.

L’azione russa in Ucraina ha portato pesanti ricadute nel Paese in termini di sanzioni economiche, e la Cina, per paura di essere trascinata da questa in un isolamento economico, probabilmente ha preferito accantonare il suo risentimento nei confronti dei capitalisti per “salvare la faccia”.

La posizione cinese non è ancora chiara e definita. Si può però ipotizzare che, essendo un Paese che pone spesso l’accento sull’importanza del proprio sviluppo economico, questa decida, per salvaguardare i propri interessi, di cambiare definitamente schieramento.

In tal caso, si potrebbe dire fallito il cosiddetto “banco di prova” dell’alleanza sino-russa, rappresentato dalla crisi ucraina.

In qualsiasi modo deciderà di agire, rimane un attore da non sottovalutare, in quanto potrebbe ricoprire un ruolo importante nel determinare l’esito del conflitto.

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