Riflessioni di un’equilibrista perenne

Quando ci siamo immaginati la nostra vita adulta, abbiamo spesso sognato di avere una casa tutta nostra, di fare il lavoro che più desideravamo e tanti altri mille progetti avendo sempre quella certezza che nulla avrebbe scosso la nostra quotidianità.
Adesso che abbiamo all’incirca vent’anni e stiamo entrando nel mondo degli adulti, comprendiamo sempre di più quanto sia precario e instabile il nostro futuro. Invece di essere liberi e indipendenti nel compiere le nostre scelte, dipendiamo, almeno in Italia, ancora in una certa misura dall’eredità materiale e immateriale dei nostri genitori, la quale crea le basi della corda che ci serve per librarci nell’aria come degli audaci funamboli. Tale eredità ci detta le possibilità che potremo intraprendere, ed inoltre come generazione saremo più poveri dei nostri genitori, perciò senza il loro patrimonio come potremo mantenerci?
Ancora oggi purtroppo, l’errore e l’imprevisto dettano la nostra condanna più di quanto ci venga in aiuto la nostra formazione. Sappiamo quanto sbagliare sia necessario per poter comprendere le vie che vogliamo intraprendere nel nostro percorso e a quali mezzi possiamo e dobbiamo ricorrere per poter raggiungere gli obiettivi prefissati.

Per di più il mondo che abbiamo non è di gran supporto. Pensiamo un attimo al lavoro: siamo sempre più soggetti a contratti brevi e che ci valutano, nella maggior parte dei casi, più per la nostra performance che per la creatività. Il lavoro del nostro futuro è dettato da una serie di compromessi come ad esempio mettere in secondo piano il tempo libero, la salute, le passioni. Vivo per lavorare o lavoro per vivere? Il lavoro è divenuto la nostra sussistenza e la nostra ragione di esistenza.
Se pensiamo alla giornata dei nostri genitori, o dei nonni, per loro era fortemente scandita la separazione tra il tempo del lavoro e quello dello svago e quest’ultimo era sacro in quanto si riteneva che fosse importante anche il riposo. Oggi dobbiamo essere sempre iperconnessi, cosa che rende assai confuso o inesistente lo spazio del non-fare anche perché è ritenuto un difetto, in quanto dobbiamo restare sempre aggiornati sulle nuove richieste del mondo del lavoro e sulle emergenze che ci assalgono di giorno in giorno.

Quanto è arduo camminare con le punte dei piedi interamente fasciati e con addosso tutti questi pesi, con gli occhi scavati dalla stanchezza che rende l’andamento del passo traballante. C’è chi è continuamente angosciato per un futuro incerto ed instabile, c’è chi ride e scherza per dimenticare la propria precarietà e c’è chi si arrabbia per la tensione disuguale ereditata. Vorremmo rimanere stabili e stare fermi per un attimo a respirare e a ritrovare l’equilibrio che ci consentirà di scoprire il nostro passo per muoverci nel mondo.

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